Corpi Civili di Pace
Il 5 giugno 2017 è una di quelle date che troveranno posto nella storia del movimento per la pace e la nonviolenza italiano. È in quel giorno, infatti, che sono stati avviati i primi progetti di Servizio Civile dei Corpi Civili di Pace, una novità per il nostro Paese. Ma come si è arrivati a questo appuntamento? È utile ripercorrere le tappe di un cammino… iniziato nel secolo scorso.
Esordi
Già Tonino Bello, con la “marcia dei 500 a Sarajevo”, e Alex Langer, con le sue proposte al Parlamento europeo che cominceranno a prendere forma solo dopo la sua morte, avevano sognato la creazione, a livello internazionale, di un “esercito disarmato” che potesse intervenire nella prevenzione e gestione dei conflitti. La stessa Campagna di obiezione alle spese militari individuava, sin dagli anni Ottanta, la difesa popolare nonviolenta quale obiettivo di fondo da perseguire e molti obiettori verseranno le proprie somme “obiettate” al Fondo del servizio civile. Anche a livello di Nazioni Unite, con l’Agenda per la Pace di Boutros-Ghali, si sanciva il ruolo attivo dei civili nella cornice più ampia del peacekeeping e del peacebuilding. Nel frattempo, proprio durante gli anni della guerra nella ex-Jugoslavia, l’“Operazione Colomba”, promossa dalla Comunità Papa Giovanni XXIII di don Benzi, organizzò l’invio di decine di obiettori di coscienza per l’aiuto alle popolazioni civili vittime del conflitto.
In quel tempo si discuteva in Parlamento la riforma della legge sull’obiezione di coscienza al servizio militare e sembrò naturale a molti che proprio gli obiettori fossero i primi a poter essere impiegati, come dirà la legge del 1998, in “missioni umanitarie”, anche in presenza di nostri militari, per servizi non armati, non di supporto a missioni militari, e posti sotto il comando di autorità civili anche sotto egida dell’Onu. Sembrò che anche il legislatore italiano spingesse per la costituzione di un contingente di Caschi Bianchi da mettere a disposizione dell’Onu e dell’UE e la creazione di un Corpo Civile europeo di Pace.
I Caschi Bianchi
Nel frattempo, tra la fine degli anni Novanta e il 2000, associazioni ed enti del Servizio Civile si organizzarono costituendo una “Rete Caschi Bianchi” (oggi costituita dalla Papa Giovanni XXIII, dalla Focsiv, dal Gavci e dalla Caritas Italiana) per l’invio di obiettori e volontari in Servizio Civile all’estero. Ma lo stesso servizio civile svolto oltre confine resta una cenerentola del più generale Servizio Civile volontario: basti pensare che su quasi 350mila giovani avviati al servizio tra il 2001 e il 2015 (ultimi dati disponibili), solo l’1,5% di essi lo ha svolto all’estero, e non soltanto per attività di peacekeeping.
Nel 2001 la legge che, una volta sospesa la leva obbligatoria, istituì il Servizio Civile su base volontaria, introdusse la possibilità di svolgerlo all’estero per interventi di pacificazione e cooperazione fra i popoli, istituite dall’UE o da altre istituzioni internazionali.
Nel 2005 il “Comitato per la difesa civile non armata e nonviolenta”, istituito presso la Presidenza del Consiglio, elaborò delle linee-guida per progetti sperimentali di Servizio Civile all’estero nell’ambito della difesa alternativa. Tuttavia, bisognerà attendere il 2011 per poter realizzare il primo progetto sperimentale di Servizio Civile (con sei volontari) applicato a un conflitto, quello derivante dall’antico codice del Kanun in alcune zone dell’Albania, più di tipo sociale e culturale che di tipo militare tradizionale, sebbene altrettanto cruento.
Qualcuno potrebbe obiettare che quanto riassunto fin qui non c’entra nulla con i Corpi Civili di Pace, che sono “un’altra cosa” rispetto al Servizio Civile. Vero, in parte. Non si può, infatti, dimenticare che la storia di questo “sogno” è stata finora legata al mondo del servizio civile, anche perché non esisteva formalmente in Italia una “cosa” chiamata Corpi Civili di Pace. Almeno fino a una notte di dicembre 2013…
Quel 17 dicembre 2013
È martedì 17 e la Commissione Bilancio della Camera inizia i suoi lavori alle 10.10. All’ordine del giorno c’è l’esame della Legge di stabilità per il 2014, già approvata dal Senato. I lavori andranno avanti fino alle 2 di notte. Tra i tantissimi emendamenti presentati ne viene approvato uno dell’on. Giulio Marcon (gruppo SEL) che stanzia 9 milioni di euro per “l’istituzione di un contingente di Corpi Civili di pace, destinati alla formazione e alla sperimentazione della presenza di 500 giovani volontari da impegnare in azioni di pace non governative nelle aree di conflitto o a rischio di conflitto o nelle aree di emergenza ambientale”. Il tutto da realizzare nel triennio 2014-2016. Per rendere la proposta praticabile immediatamente, Marcon inserisce questo contingente di CCP nel sistema del servizio civile, non senza ricevere critiche da quanti preferiscono non confondere i due “mondi”. Passa un mese e lo stesso Marcon firma per primo una proposta di legge (la n. 1981) per istituire in Italia i Corpi Civili di Pace, cioè “i gruppi, i contingenti e le unità operative non violenti e non armati formati da operatori di pace con lo scopo di realizzare attività di prevenzione dei conflitti”.
Mentre questa proposta di legge resta (ancora oggi) una proposta, quel famoso emendamento è legge. Passano i mesi, il governo Letta lascia il posto al governo Renzi, ma quell’emendamento resta lettera morta. Bisognerà attendere il maggio 2015 perché venga emanato un decreto interministeriale che regolamenti l’organizzazione di quel famoso contingente di 500 giovani da dispiegare, oltre che all’estero, anche in Italia (!). Passano altri sei mesi e a dicembre viene emanato il “Prontuario” secondo il quale gli enti devono elaborare i progetti che verranno poi valutati. Il totale dei posti disponibili è di 200 volontari, 175 all’estero e 25 in Italia (per interventi di emergenza ambientale). Viene, inoltre, stilata una lista di 47 Paesi nei quali si possono progettare gli interventi dei CCP, compresi Stati come Kiribati, Nauru, Saint Kitts e Nevis, Samoa, St Vincent e Grenadine, St Lucia, Tonga, Tuvalu… nei quali risulterà difficile presentare progetti.
Sarà anche per queste limitazioni che la risposta degli enti è inferiore alle aspettative governative: vengono presentati 20 progetti per complessivi 106 volontari (ridotti poi a 102) da parte di 9 enti. Alla vigilia di San Silvestro 2016, viene emanato il “bando” che mette a concorso i 102 posti, 24 in Italia e 78 all’estero. I Paesi esteri: Libano, Haiti, Bolivia, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Filippine, Perù, Guinea Bissau, Ecuador, Giordania, Tanzania. E così si arriva al fatidico 5 giugno quando, a tre anni e mezzo dalla quella famosa seduta notturna a Montecitorio, partono finalmente i primi volontari dei Corpi Civili di Pace.
Oggi
E adesso? Anzitutto c’è da completare il contingente restante di 398 posti, nella speranza che questa volta l’elenco dei Paesi nei quali poter progettare gli interventi sia più abbordabile del precedente.
Ma, soprattutto, occorre pensare a una stabilizzazione di questa esperienza. Terminato il triennio di sperimentazione previsto dall’emendamento Marcon che cosa resterà dei CCP? Se fosse ancora in vita il prof. Antonio Papisca, che ci ha lasciato nel maggio scorso e che fino agli ultimi istanti di vita ha lavorato per questo progetto, ci ricorderebbe che esiste una legge, la n.145 del 2016, dedicata alla partecipazione dell’Italia alle missioni internazionali che prevede i Corpi Civili di Pace tra i soggetti autorizzati, accanto alle Forze Armate, a intervenire all’estero. Accanto a questo ottimo risultato c’è da ricordare che la nuova legge sul Servizio Civile universale approvata l’anno scorso non prevede affatto la coniugazione tra Servizio Civile e Corpi di Pace.
Per questo è urgente una nuova iniziativa del Parlamento (magari approvando la legge ad hoc proposta da Marcon, insieme a quella per istituire il Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta) che assicuri un futuro a questa esperienza. Sperando che ancora una volta la notte porti consiglio ai parlamentari…