DIRITTI

Stop Tortura

Finalmente anche in Italia la tortura è reato.
Dopo un lungo e tortuoso iter legislativo, la legge è varata. Luci e ombre, attese e prospettive.
Sempre e comunque, dalla parte delle vittime di tortura.
Patrizio Gonnella (Presidente Antigone – Cild, Coalizione italiana libertà e diritti civili)

In Italia, dopo decenni di melina parlamentare e governativa, finalmente la tortura è reato. C’è voluto un dibattito parlamentare lungo ben ventotto anni per giungere a questo risultato. Un dibattito per lunghi tratti triste, incolto, illiberale, ricco di opposizioni pretestuose. Nel nome delle forze dell’ordine si è cercato di renderle immuni da responsabilità. In passato è stato sostenuto che fosse sufficiente avere nel codice il reato di percosse, di maltrattamenti in famiglia o quello di lesioni non considerando che nulla hanno a che fare con la tortura. La tortura appartiene a un altro campo semantico che è quello dei rapporti tra il potere dello Stato e la libertà personale dei suoi cittadini. Se non si accetta questa sua collocazione storica, filosofica, morale, antropologica vorrà dire che non si è ben capito cosa sia la tortura e cosa abbia significato nella storia, anche quella più recente, anche quella delle nostre fragili democrazie.

Quale legge?

Retroguardie culturali hanno condizionato il dibattito pubblico contribuendo a produrre una legge criptica, non lineare e non rispondente alla definizione presente nella Convenzione Onu contro la Tortura del lontano 1984.

Quella che segue è la definizione di tortura secondo il legislatore italiano. “Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona”.

Vi è, poi, un comma successivo che prevede pene più alte nel caso in cui a commettere il fatto sia un pubblico ufficiale. Ben più lineare sarebbe stato non prevedere un delitto generico che può essere commesso da chiunque, ma un delitto proprio di agenti formali o informali (che agiscono in nome e per conto) dello Stato.

In due punti la legge approvata è di difficile digeribilità: la previsione della pluralità delle condotte violente affinché vi sia la configurabilità del delitto, il riferimento espresso alla condizione della “verificabilità” del trauma psichico. Un tentativo pacchiano di restringere l’area della punibilità del presunto torturatore. Seppur vero che tutto debba essere verificato all’interno del processo penale, il riferimento alla “verificabilità del trauma psichico” pare scritto apposta per rendere difficile la prova della sussistenza di uno degli elementi essenziali del reato.

La proposta 

Era il dicembre del 1998 quando Antigone elaborò la sua prima proposta di legge, fedele al testo delle Nazioni Unite. Da allora, insieme ad Amnesty International, le abbiamo tentate più o meno tutte per convincere i riluttanti governi italiani succedutesi nel tempo i quali hanno usato le più svariate strategie di risposta o di non risposta: dilatorie, apertamente oppositive, falsamente disponibili. Nel frattempo, giudici nazionali, europei o internazionali sono intervenuti per stigmatizzare l’assenza del delitto di tortura nell’ordinamento giuridico italiano. Sono sopraggiunte condanne della Corte europea dei diritti umani che avrebbero dovuto essere considerate infamanti per una democrazia che si onora di chiamarsi tale, come nel caso delle torture alla scuola Diaz a Genova nel 2001.

Dal 5 luglio abbiamo una legge che incrimina la tortura. Nonostante una legge scritta con tante riserve mentali, le Corti italiane da oggi possono incriminare un pubblico ufficiale per tortura. Gli avvocati e le associazioni che si battono per i diritti umani hanno a disposizione una norma in più: nell’ipotesi di segnalazioni di casi che palesemente potrebbero rientrare nella definizione universale di ‘tortura’ va fatto di tutto perché la legge sia applicata davanti ai giudici nazionali. E se questi latitano – un po’ dipende anche da loro rendere quella fattispecie operativa – si potrà ricorrere davanti alle Corti internazionali. Così come si potrà chiedere alla Corte Costituzionale di intervenire per far fare un passo in avanti a una legge incerta nei contenuti.

Uno sguardo va rivolto ad altre parti della legge ugualmente importanti le quali riguardano la non espulsione di persone che rischiano la tortura nel Paese di provenienza, la negazione dell’immunità a dittatori stranieri e l’estradizione di persone non italiane accusate di tortura e attualmente residenti nel nostro Paese. Qualora applicate in sede amministrativa o giurisdizionale con ragionevolezza e spirito democratico potrebbero salvare molte vite da un lato e rompere il circolo vizioso della impunità dei torturatori di Stato dall’altro. 

Da domani ci si augura, ad esempio, che le Commissioni territoriali per il diritto d’asilo, i giudici amministrativi, i giudici di pace e i magistrati di sorveglianza non espellano persone verso Stati dove la tortura è sistematica. Da oggi è ben difficile motivare come si possa espellere una persona in Egitto, dopo aver visto quanto tragicamente accaduto al povero Giulio Regeni.

Nessuno è, però, così ingenuo dal pensare che, ottenuta la legge, buona o brutta che sia, la tortura sarà di conseguenza definitivamente bandita dalle nostre prigioni, dalle nostre caserme, dai nostri centri per migranti, dalle nostre strade. Il reato è una condizione necessaria ma non sufficiente per la punizione di chi commette atti di tortura. È necessario che vi sia una rivoluzione umanocentrica che metta al centro la persona e la sua dignità. Fondamentale è che se ne rendano contano tutte le forze dell’ordine offrendo inequivocabili segnali culturali in questa direzione. Alcune cose si possono fare subito: rendere identificabili coloro che hanno funzioni di polizia, non assicurare impunità o favorire le carriere dei torturatori, risarcire prontamente e adeguatamente le vittime della tortura.

Per le vittime di tortura

Nella legge manca un Fondo per le vittime della tortura. La sua istituzione, anche a livello amministrativo, colmerebbe gap politici, umani, sociali, culturali. Non perché i soldi restituiscano memoria e giustizia alle persone torturate, ma possono indubitabilmente aiutare a superare i momenti di crisi dovuti alla violenza e alla umiliazioni subite. La persona torturata, quando sopravvive alla tortura, vive nell’angoscia che possa ripetersi, con il senso di colpa e la vergogna per quanto subito o per come ha reagito. Un risarcimento morale e talvolta economico è per lui vitale. 

Dunque, ora la parola è nelle mani degli operatori del diritto. Speriamo prevalga una cultura giurisdizionale e amministrativa non reazionaria.

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