MIGRAZIONI

Lo sgombero degli sgomberi

Roma palcoscenico di abusi. Le forze dell’ordine, di notte, sgomberano una piazza da coloro che avevano subito un precedente sgombero. Intervista a Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International.
Cristina Mattiello

Lo sgombero dello sgombero dello sgombero... sono stati giorni drammatici a Roma per i rifugiati etiopi e eritrei  – un centinaio – cacciati il 24 agosto dopo quattro anni dal palazzo occupato di piazza Indipendenza, con una violenza denunciata anche dalla stampa internazionale: idranti, manganellate, insulti anche su donne, disabili, bambini. Se l’episodio si inserisce nel contesto globale dell’emergenza abitativa a Roma, colpisce, nella dinamica, una particolare disumanizzazione delle vittime, svegliate nel sonno dal getto d’acqua, alcune donne prese per i capelli, bambini portati via sui pullman e, come sempre, distruzione degli effetti personali, con la corsa dei volontari per salvarli mentre l’AMA si affretta a ripulire tutto. 

E sul posto solo Medici Senza Frontiere, che hanno subito soccorso i primi 13 feriti, chiamando poi le ambulanze. Nei giorni seguenti, ancora sgomberi, da ogni spazio trovato per dormire all’aperto: “Alla fine moriremo…”, ha detto una donna. 

Africani… quindi non persone? Come per i migranti assistiti da Baobab, del resto, la straordinaria esperienza di accoglienza dal basso chiusa dalle istituzioni e che continua in tendopoli improvvisate, distrutte una dopo l’altra, intorno alla stazione Tiburtina, con l’aiuto di una rete di volontari che resiste. Accanto al razzismo quotidiano che invade la mente e le coscienze di tanti, infatti, c’è ancora una Roma solidale che, due giorni dopo “piazza Indipendenza”, ha detto no a questa deriva, con una bella e solare manifestazione “multietnica”.

A Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, abbiamo chiesto un commento nella prospettiva dei diritti umani.

La prima cosa da mettere in evidenza è questa: gli sgomberi e soprattutto lo “sgombero degli sgomberi” di piazza Indipendenza, avvengono senza un “Piano B”. Questo, in termini più legati ai diritti umani, sta a configurare quel genere di sgomberi come “sgomberi forzati”, quindi illegali dal punto di vista del diritto internazionale. Perché uno sgombero non sia forzato occorre che ci sia una notifica anticipata alle persone coinvolte, occorre individuare con loro una soluzione e soprattutto avere a disposizione quella soluzione. Tutto questo non c’è stato e mette in luce il secondo elemento, la cronica assenza di un duplice piano nella città di Roma: un piano di accoglienza, che ci si aspetta degno ed efficace da una capitale del G8, e un piano per la casa.

Quando la sindaca, per giustificare il fatto che non c’erano soluzioni adeguate per gli sgomberati di piazza Indipendenza, ha detto che ci sono romani in fila da decenni, ha ammesso il fallimento di tutte quelle amministrazioni, inclusa la sua – ma evidentemente bisogna andare indietro nel tempo! – che hanno creato questa fila di decenni ai cittadini romani, i quali probabilmente ai loro eredi vedranno assegnata la casa cui hanno diritto. Quindi, sono problemi che si sommano, a dimostrazione che i diritti o sono per tutti o, quando mancano, colpiscono indifferentemente tutti.

Nel caso di piazza Indipendenza l’aspetto paradossale è che si trattava di persone a cui lo Stato italiano aveva garantito protezione internazionale. Ora, nel concetto di protezione c’è anche l’avere un tetto sopra la testa. E, quindi, quello che abbiamo visto è stato offrire protezione con la mano sinistra e manganellare con la mano destra! 

Questo, tornando all’assenza di un piano edilizio-abitativo, non porta un’organizzazione per i diritti umani a dire che occupare è giusto, che occupare è doveroso. Occorre che le autorità prendano in considerazione ormai questa necessità che va avanti da decenni: è paradossale che, a fronte di un numero di persone che necessitano di un’abitazione, quello delle case non abitate sia molto ma molto più alto. Eppure se la situazione non si sblocca, deve esserci qualche problema.

È stato dichiarato a più riprese che l’obiettivo di questo e altri sgomberi è “ripristinare la legalità”. 

Posto che non c’è una linea dogmatica per cui lo sgombero è sempre doveroso e l’occupazione è sempre contraria alla legalità, noi dobbiamo verificare come avvengono queste cose. Ovvero se lo sgombero avviene con quelle caratteristiche che lo rendono “forzato” e oltretutto è effettuato con violenza estrema, o quanto meno non necessaria, mi viene il dubbio su dove sia l’illegalità. E resta il fatto che oggi il concetto di legalità, è un concetto che, da neutro, rischia di diventare per così dire sproporzionato, nel senso che può andare a colpire persone sulla base del loro censo o della loro origine. È una “legalità” di alcuni contro l’“illegalità” di molti.

Questo è un concetto che evidentemente non va bene. Soprattutto non va bene, come si ripete da tempo, che temi quali la legalità e la sicurezza debbano essere affrontati con un atteggiamento repressivo e punitivo nei confronti dei diritti.

Non c’è sicurezza più autentica per tutti che una sicurezza basata sul rispetto dei diritti umani. E chi pensa il contrario dovrebbe chiedersi quanto in questi ultimi anni aver cercato la sicurezza a scapito dei diritti abbia davvero reso il mondo più sicuro.

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