Tutti corresponsabili
Quali dibattiti e riflessioni si sono aperti sul diaconato femminile?
Domandarsi cosa “c’è di nuovo” sul fronte del dibattito che si sviluppa nella Chiesa cattolica attorno a donne e diaconato, sullo sfondo dell’orizzonte conciliare della corresponsabilità ecclesiale, non può che, in primo luogo, portare l’attenzione ai lavori della Commissione e alle decisioni che potrebbero seguirne.
Oltre ai testi suggeriti da Cristina Simonelli, ci permettiamo di consigliare la lettura dei seguenti articoli, pubblicati in Mosaico di pace e disponibili nel sito internet della rivista:
Adriana Valerio, Valere senza contare, maggio 2005
Serena Noceti, Diaconesse, giugno 2006
Serena Noceti, Ministeri e sacerdozio, maggio 2012
Sr. Teresa Dagdag, Costruire ponti, aprile 2013
Nicoletta dentico, Una Chiesa per due, dicembre 2013
Patrizia Morgante, Di donne e di uomini, ottobre 2014
Rispetto a questo, tuttavia, non ci sono ancora elementi sicuri, al di là del fatto che la Commissione ha potuto far tesoro di molti studi esistenti e non sembra, dunque, si sia collocata nell’idea di ricominciare tutto daccapo e che nessun comunicato ufficiale ne ha annunciato la conclusione. Ulteriore dato “sicuro” è che questa Commissione non ha mai avuto l’incarico di prender decisioni di alcun tipo, bensì quello di considerare nell’insieme, nuovamente, la questione e consegnare il frutto del proprio lavoro direttamente a papa Francesco, certo con un testo scritto (non si sa se sarà reso o meno pubblico) e magari, si potrebbe auspicare, anche attraverso un incontro personale con i teologi e le teologhe (sei e sei, ricordiamo) che compongono il gruppo di studio. Si potrebbe, dunque, dire che, a questo livello, di nuovo effettivamente non c’è “ancora” niente.
Uno spazio sinodale
Su altri versanti, tuttavia, la domanda è comunque pertinente, se può esser vero, come in diverse/i abbiamo a suo tempo sostenuto, che aver aperto in questa forma il confronto e il dibattito, non lascia comunque niente come prima. Qualunque ne possa essere l’esito istituzionale (nessun cambiamento, ministero istituito della carità per uomini e per donne, ministero istituito della carità solo per donne, ordinazione diaconale anche per le donne), questo momento, proprio nella sua indeterminazione, è un tempo aperto e sinodale, in cui tutto è possibile. Certo la soluzione che verrà adottata – o non adottata, ma anche questa è una scelta gravida di conseguenze – sarà comunque il punto di avvio di qualcosa d’altro, di recezioni e di plausi, di dissensi e di parziali consensi. Ora, tuttavia, lo spazio che si è aperto non è semplicemente “vuoto”, ma è parte stessa del percorso ecclesiale, in tutti i suoi aspetti, compreso quello del confronto ecumenico (in particolare con le Chiese che da tempo hanno il pastorato delle donne).
Basta, infatti, anche solo digitare il tema in un motore di ricerca e si visualizzeranno seminari (ad esempio, a Vicenza il 28 ottobre scorso), dibattiti (ad esempio, a Brescia il 6 novembre scorso) nonché numerose presentazioni di libri, da Diacone (Queriniana, a cura di Serena Noceti) a Donne e Riforma della Chiesa, (EDB, a cura di Cettina Militello e Serena Noceti). Chi ha occasione, poi, di partecipare a eventi che trattano di altri temi, ad esempio connessi a donne/Bibbia/Chiese, può inoltre testimoniare come spesso fra le domande ci sia anche quella sulle diacone. Una delle cose più interessanti di tutto questo, a mio avviso, è la consapevolezza sempre più acuta che spostare anche un solo elemento vuol dire ripensare l’intero orizzonte e che non è in discussione “qualcosa” per le donne, quasi volessero un contentino, ma la figura e la credibilità della Chiesa nel suo insieme, che, nella sua forma cattolica, è attualmente connotata da ministeri esclusivamente maschili, in un’epoca in cui questa omogeneità è decisamente singolare.
Diacone?
C’è tuttavia almeno un altro aspetto per cui ha senso domandarsi cosa c’è di nuovo sul nesso donne/diaconato. Devono, infatti, probabilmente esistere dei meccanismi complessi – non nel senso di difficili o misteriosi, ma nel senso di formati da diversi ingranaggi – per cui le informazioni di questo genere non riescono neppure a farsi udire. Prendo in prestito uno dei tanti dibattiti, tipo quelli a cui ho fatto cenno, e mi scuso col protagonista, se si riconoscerà: non è in questione, infatti, la singola persona, ma le dinamiche che si sviluppano. Verso la fine di una serata abbastanza lunga, con molte informazioni sulla situazione allo studio e anche con un nutrito dossier sulle antiche diacone, un attento ascoltatore, con abito religioso, interviene ringraziando. E dicendo, con molta sincerità, di aver ascoltato cose per lui totalmente nuove, che l’avevano anche colpito favorevolmente. Un buon risultato, non c’è dubbio! Ma, contemporaneamente, anche l’occasione di domandarsi come sia possibile che si attraversino anni di studio della teologia e di ministero presbiterale senza neanche imbattersi almeno “di striscio” nelle antiche diacone o nel dibattito attorno a donne/ministeri che si è dipanato prima, durante e dopo il Vaticano II.
In questo caso, è ancora più significativo che non si trattasse di persona preoccupata dalle “richieste delle donne” o contraria in via di principio alla re/istituzione di una forma diaconale femminile. Del resto, anche la disarmante risposta di papa Francesco alle Superiore, in quella assemblea del maggio 2016 che ha dato il via all’attuale discussione, andava proprio nella stessa direzione. Entrambi, si passi il paragone asimmetrico, testimoniano che tanti studi e tanta bibliografia non escono da gruppi ristrettissimi, non vengono insegnati nei percorsi teologici, non vengono trattati nei corsi di aggiornamento e nei ritiri, infine non sfondano il muro di insignificanza e silenzio che, per gli onesti, riguarda le cose delle donne, sviluppandosi peraltro, in soggetti meno limpidi, in sarcasmo e irrisione. Non sempre le cose stanno così: in alcuni casi la contrarietà a ruoli femminili (tutti: da”lettorato” in avanti..) è netta e dà vita, nei meno accorti, a evidenti quanto incontrollati processi difensivi, nei più “preparati” a strategie articolate, che vanno dalla rimozione alla requisitoria.
Horror vacui
C’è tuttavia in tutto questo un convitato di pietra dal ruolo niente affatto secondario: si sente nell’aria un’ansia da “vuoto”, una forte preoccupazione per il calo dei numeri dei praticanti e fra questi delle cosiddette vocazioni. Questione certo molto seria, vero e proprio test per la “salute” delle comunità ecclesiali, per la loro capacità di iniziare processi più che di possedere spazi (EG 223), vivendo con speranza i cambiamenti in atto. In questo quadro, il ricorso alle donne potrebbe rappresentare quello che in Occidente fu l’inserimento delle donne nel mondo del lavoro durante il secondo conflitto mondiale: esattamente per mancanza di uomini. Constatazione non esaltante, ma dalla cui realtà “superiore all’idea” (EG 233) sono scaturiti enormi cambiamenti, non solo per le donne, ma per la società intera.
Del resto, lo stesso codice di diritto canonico mostra più di un passaggio in cui l’orizzonte della supplenza “si confessa” e lascia intravedere altro. In due casi, ad esempio, si concedono ruoli ai laici (e le donne sono da pensare come maggioranza) per supplire a una carenza, dichiarando così che motivi dottrinali di contrarietà non sussistono, perché se così fosse non si potrebbe neanche derogarne: (can 230) §3. Ove le necessità della Chiesa lo suggeriscano, in mancanza di ministri (deficientibus ministris), anche i laici, pur senza essere lettori o accoliti, possono supplire alcuni dei loro uffici, cioè esercitare il ministero della Parola, presiedere alle preghiere liturgiche, amministrare il battesimo e distribuire la sacra Comunione, secondo le disposizioni del diritto.
Simile il can 517 § 2, secondo il quale il “vescovo diocesano, a motivo della scarsità di sacerdoti”, può affidare “a un diacono o a una persona non insignita del carattere sacerdotale o a una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia”.
È ben triste quest’orizzonte, che si dipana fra l’idea di supplenza e quella di concessione. Tuttavia, negli interstizi, fra i silenzi che connettono le parole, possono passare anche molte trasformazioni. Sarebbe più luminoso pensare che le riforme nella Chiesa nascano “solo” da nobili ed evangeliche motivazioni. La storia, anche quella religiosa, è tuttavia complessa e procede per chiaroscuri e potrebbe essere così anche in quest’occasione. Personalmente, ritengo che lo scandalo che suscita questo modo di operare possa comporsi con la ragion pratica che consiglia di accogliere anche le motivazioni spurie di riforme buone, a condizione di non abbassare la posta: attivare processi è anche riflettere senza pigrizia su tutti gli elementi in gioco, sulla forma ecclesiale, sulla sua ministerialità, sulla laicità, sull’essere uomini e donne nel mondo, nei ruoli e al di là di essi.