Ordine o disciplina?
Il continuum delle guerre
Il processo di militarizzazione delle forze di polizia in Europa risale agli anni Novanta. Si tratta della conseguenza ed estensione della Revolution in Military Affairs (RMA) che negli Stati Uniti è stata promossa dai think tanks dell’amministrazione Reagan e poi del primo e del secondo Bush. Cioè la teoria e la pratica che hanno portato alle guerre permanenti, sposata dai governi europei, innanzitutto da Blair, tanto amato anche dalla “sinistra” italiana.
Questa postura tattica e strategica ha innescato non solo le guerre a “bassa intensità”, ma anche il continuum fra guerre sempre più frequenti e continue e la gestione della sicurezza interna negli stessi Stati cosiddetti democratici. In altre parole, da allora, progressivamente, è stata promossa la conversione poliziesca delle forze armate e quella militare delle forze di polizia. La gestione della sicurezza interna (in particolare nei Paesi cosiddetti democratici) ha acquisito caratteristiche militaresche: si parla di minacce, nemici, assedi e anche di guerra, e si passa a modalità operative di tipo militare (da allora – e in particolare dal G8 di Genova – abbiamo in città carri armati, militari a fianco di polizie, repressioni violente di manifestazioni pacifiche ecc).
Cancellando ogni speranza di democratizzazione alimentata in Italia dalla riforma della polizia del 1981, questa postura “postmoderna” dell’orientamento e delle pratiche delle polizie è stata imposta proprio perché il dominio neoliberista non vuole concedere nulla ai subalterni e anzi vuole erodere le conquiste sociali e democratiche della fine degli anni Sessanta e degli anni Settanta.
“Meno Stato più mercato” vuol dire anche meno tutele per i subalterni e imposizione violenta di condizioni di lavoro e di vita che lo stato di diritto democratico e, quindi, le polizie avrebbero dovuto garantire. Per certi versi, si torna alla fine del XIX secolo, quando non c’era alcun diritto e le neo-schiavitù erano diffuse dappertutto insieme alle violenze anche sulle donne e i bambini. L’esasperazione del carattere repressivo e quindi delle violenze, abusi e persino della tortura da parte delle forze di polizia si inscrive, quindi, non solo nella continuità del colonialismo, ma soprattutto come continuum delle guerre permanenti e della conversione militaresca delle polizie. Conseguenza è che qualsiasi soggetto sociale antitetico o semplicemente non conforme rispetto al dominio e agli interessi neoliberisti è trattato come nemico da abbattere.
L’autore ha scritto i seguenti libri:
Mobilità umane, ed. Cortina, 2008
Polizia postmoderna, ed. Feltrinelli, 2000
In lingua inglese:
Governance of Security and Ignored Insecurities in Comtenporary Europe, Ashgate, 2016
The Italian Police Forces into Neo-liberal Frame, in European Journal of Policing Studies, 3/1, 2015,
Racial Criminalization of Migrants in 21th Century, Ashgate, 2015
Emigration, immigration, mobilités: un fait politioque total, in Mobilités. Actes Colloque ACSALF
ASF, edited by A. Temblay & MC Haince. Ottawa: 2015
Le forze di polizia sono oggi quasi totalmente pervase dalla distrazione di massa, cioè dal discorso super mediatizzato che definisce nemici sullo stesso piano il terrorismo, la protesta, l’eccedente umano (i marginali, i poveri, i mendicanti). Questa distrazione orienta l’azione delle polizie solo sugli obiettivi e nemici “comodi” e soprattutto esclude i compiti che dovrebbero perseguire secondo il cosiddetto stato di diritto democratico.
Così queste forze non s’interessano alla tutela delle vittime dei disastri sanitari, ambientali ed economici (fra i quali le economie sommerse, le neo-schiavitù, la corruzione e le violenze da parte degli attori dominanti – vedi caporali – sui soggetti senza tutela, in particolare donne e immigrati irregolari). Le vittime di questi disastri sono in maggioranza morti o ammalati di tumori e per gli incidenti sul lavoro (cfr. Resistenze ai disastri sanitari, ambientali ed economici in Mediterraneo, Agenzia X, in stampa, nda).
L’impunità di cui godono le forze di polizia è di fatto la stessa che è accordata agli attori dominanti, cioè il diritto di fatto di commettere reati.
Il potere
C’è un’evidente correlazione fra i cosiddetti “valori” neoliberisti e la diffusione di atteggiamenti e comportamenti violenti non solo nelle relazioni fra i soggetti sociali in posizioni di potere e i subalterni, ma, purtroppo, sempre più spesso anche fra colleghi di lavoro o compagni di scuola e vicini di casa. La logica della competitività, della riuscita a tutti i costi, della massimizzazione della produttività e quindi dei guadagni conduce alle derive del mobbing e dello stalking. Lo stesso vale in tutti gli sport anche amatoriali, nelle palestre e nelle discoteche e nei momenti e luoghi o occasioni di svago e tempo libero.
In quest’universo è immersa tutta la popolazione e ovviamente anche tutti i membri delle forze di polizia e dell’apparato dello Stato (compresi insegnanti, amministratori locali ecc.). Contrariamente alla vecchia teoria delle polizie come “corpo separato” dello Stato, o come “istituzioni totali” (aspetti in parte ancora persistenti), le donne e gli uomini di queste forze pensano e si comportano alquanto similmente ai loro coetanei “comuni mortali”. Ciò è ancor più evidente quando si osserva che fanno parte di diverse cerchie sociali e di riconoscimento morale, cioè di cerchie di amici, parenti, vicini che condividono mentalità, atteggiamenti e comportamenti a prescindere dalla coerenza con le norme dello stato di diritto democratico per il quale tutti i dipendenti dello Stato dovrebbero giurare fedeltà che, appunto, è fedeltà alla Costituzione. Si potrebbe dire, per esempio, che nei ranghi delle polizie c’è lo stesso tasso di razzismo e di fascisti che c’è fra la popolazione.
Ma, in realtà, in quasi tutti i ranghi delle polizie questo tasso è più elevato perché gli appartenenti a queste forze più spesso fanno parte di cerchie sociali intrise di cultura razzista e reazionaria; basti pensare agli agenti e ai funzionari di polizie (anche municipali) amici di caporali e padroncini o di bulli, “palestrati” e aspiranti rambos che si nutrono di neo-schiavitù, che praticano abitualmente violenze sulle donne e ogni tanto si divertono a schernire se non pestare qualche “negro” o “feccia immigrata”.
La relativamente alta presenza nei ranghi delle polizie (anche municipali) di razzisti e fascisti è palesemente conseguenza dell’attuale congiuntura neoliberista che induce a favorire il reclutamento di giovani con mentalità e atteggiamenti conservativi e comportamenti “muscolosi”.
A tal proposito è assai grave la scelta reiterata dei governi italiani di riservare il reclutamento nelle forze di polizia esclusivamente ai giovani che sono stati militari volontari nelle missioni all’estero. Come osservano alcuni vecchi poliziotti democratici: “immettere nell’attività di gestione della sicurezza urbana, per giunta direttamente, un giovane che ha solo esperienze militari in zone di guerra, peraltro segnate da caratteristiche di guerra ‘santa’ all’islamismo, inevitabilmente vuol dire introdurre una militarizzazione guerresca che conduce a sospettare ogni immigrato di essere un terrorista da abbattere e ogni manifestante anche questo un eco-terrorista o qualcosa di simile”.
I diversi gravissimi fatti di abusi, crimini, violenze e torture da parte di membri delle polizie non possono essere considerati solo opera di “mele marce”. Appare ancora più grave che in Italia non solo s’è votata una legge sulla tortura che, di fatto, molto raramente permetterà di condannare chi la pratica, ma si continua sempre ad assicurare impunità a persone responsabili di reati inammissibili. Basta guardare che tutti i diversi autori di omicidi (da Aldrovandi a Cucchi alle altre decine) nonché i responsabili di violenze e torture al G8 di Genova o per esempio a Parma (violenza di vigili urbani contro Bonsu) non solo non sono mai stati espulsi dalle forze di polizia, ma in molti casi sono stati anche promossi.
Se si vuole scongiurare una deriva fascista e razzista che rischia di trionfare in Italia e in Europa, non resta che auspicare il serio impegno degli italiani e degli europei ancora effettivamente democratici nella difesa dei diritti universali di tutte le persone.