NUCLEARE

Italia, ripensaci!

Mentre il Trattato di Proibizione delle Armi Nucleari dovrà essere ratificato, si addensano le minacce di guerra nucleare: è più che mai urgente passare
dalla proibizione all’eliminazione di queste armi.
Angelo Baracca

Si sono spenti da poco i riflettori sulla cerimonia del conferimento a Oslo del Premio Nobel per la Pace ad ICAN (International Coalition for the Abolition of Nuclear Arms) – per la verità mai accesi dagli indecenti media italiani – e può sembrare fuori luogo ritornare ancora una volta (cfr. Mosaico di pace di marzo 2018, “Verso il baratro”, pagg. 10-11) sui rischi di guerra nucleare che incombono, ma oggi è più che mai necessario intensificare la sensibilizzazione e la mobilitazione per ottenere la vera e totale eliminazione di queste armi che minacciano la scomparsa dalla Terra della società che conosciamo. Eppure, per quanto possa sembrare paradossale, di fronte alla volontà crescente della società civile mondiale i potenti (e meno potenti, ma comunque arroganti) che indegnamente governano i destini del mondo continuano ad alimentare in modo irresponsabile le micce accese sotto la polveriera nucleare.

La prima miccia

La miccia più nota è la crisi coreana della quale abbiamo trattato su Mosaico di pace di novembre, dove abbiamo osservato che essa è la prova eclatante che le armi nucleari sono inservibili per gli scopi per i quali vengono pretestuosamente “giustificate”. Esse sono solo un rischio inaccettabile. Non è pensabile da parte degli Stati Uniti un first-strike alle forze nucleari coreane, poiché avrebbe conseguenze dirette inevitabili sulla Corea del Sud (dove stanziano quasi 25.000 soldati statunitensi) e meno direttamente sul Giappone e sulla Cina, che peraltro non potrebbe comunque tollerare un attacco nucleare ai propri confini: insomma, sarebbe la guerra nucleare mondiale, per colpa di Washington, a causa del suo arsenale nucleare! E non si può trascurare il rischio sempre presente che la situazione possa sfuggire di mano in modo irreparabile. Si sta poi accendendo una seconda miccia, sulla quale l’opinione pubblica è meno informata. Forse non molti ricordano (tanto meno i giovani) che 30 anni fa, l’8 dicembre 1987, venne firmato dal presidente Usa Ronald Reagan e del segretario generale dell’Urss Michail Gorbachev il primo trattato che stabilì una riduzione degli arsenali nucleari delle due super-potenze, il Trattato INF (Intermediate-Range Nuclear Forces): esso impose la rimozione delle testate tattiche su missili a raggio breve e intermedio (tra 500 e 5.500 km) basati a terra e anche il divieto della sperimentazione di armamenti nucleari con queste caratteristiche. Il trattato INF rimane un pilastro del regime di non proliferazione: se esso crollasse rischierebbero di crollare anche i successivi trattati START (Straetigc Arms Reduction Treaty), con conseguenze inimmaginabili. Ma da qualche anno Washington e Mosca si scambiano accuse reciproche di sperimentare nuove armi che violerebbero l’INF. Il problema presenta aspetti complessi, anche perché in 30 anni le tecnologie sono profondamente cambiate e si tratta di valutare se e come armi che allora non esistevano rientrino o meno nei divieti imposti dall’INF. Ebbene, da un lato Washington accusa Mosca per lo sviluppo di un nuovo missile cruise che sarebbe vietato dall’INF. L’evidenza che gli Stati Uniti riportano nei documenti ufficiali è piuttosto generica, come sostiene un grande esperto di armamenti nucleari russi, Pavel Podvig (“The INF Treaty culprit identified. Now what?”, Russian Strategic Nuclear Forces, http://russianforces.org/blog/2017/12/the_inf_treaty_culprit_identif.shtml). Ma, a sua volta, Mosca replica con diverse accuse nei confronti di Washington. La prima è che il lanciatore antimissile Mark-41 (Aegis) schierato in Polonia e in Romania sarebbe in grado di lanciare missili cruise a medio raggio che violerebbero il trattato INF. La seconda accusa è che gli Usa, per sperimentare gli intercettori delle difese antimissile, hanno sviluppato numerosi missili usati come bersagli che hanno caratteristiche simili a quelli a medio raggio vietati dal trattato INF. Infine, Mosca denuncia che alcuni droni armati (che non esistevano nel 1987) possiedono caratteristiche che rientrano nella definizione dei missili cruise lanciati da terra. Ai primi di dicembre Trump, con il suo stile inconfondibile, ha tagliato con le polemiche approvando un nuovo pacchetto di sanzioni contro la Russia perché essa avrebbe violato il trattato INF, e in più annunciando l’avvio della realizzazione di un nuovo missile da crociera nucleare. Un’ulteriore miccia, che qui possiamo solo accennare, è stata innescata da Trump con la decisione di non certificare nuovamente l’Iran Deal, l’accordo sul nucleare iraniano raggiunto dall’amministrazione Obama dopo anni di laboriosissimi negoziati. Questa decisione, contrastata dalla IAEA e dagli altri Paesi, potrebbe preludere ad altre decisioni gravissime: basti pensare che dietro al recente riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele sembra delinearsi un patto che coinvolge anche l’Arabia Saudita per una guerra contro l’Iran.

Tra India e pakistan

Mentre la crisi coreana tiene col fiato sospeso, l’opinione pubblica sembra essersi dimenticata che l’India e il Pakistan – Paesi in costante stato di tensione esplosiva, spesso degenerata in conflitto armato – hanno sviluppato in questa ventina d’anni arsenali nucleari valutati in 120-130 testate per parte: ce n’è più che a sufficienza per scatenare una scambio di attacchi nucleari le cui conseguenze (ricadute radioattive, sconvolgimenti climatici, ecc.) a livello globale metterebbero a rischio la vita di miliardi di persone!

Last but not least

Il continuo perfezionamento della tecnologia, lo sviluppo di innovazioni radicali e di sistemi d’arma nuovi, generano nuovi rischi, anche per gli armamenti nucleari: la crescente sofisticazione dei sistemi non garantisce affatto maggiore sicurezza, ma introduce nuove vulnerabilità e automatismi incontrollabili. Sappiamo bene che lo stato di allerta e lancio immediato (launch on warning) dei missili nucleari, anacronistico residuato della guerra fredda, costituiscono una minaccia permanente che ha sottoposto più volte l’umanità al rischio di falsi allarmi e guerra nucleare per errore (Noam Chomsky ha detto “Se siamo ancora vivi è un miracolo”!): eppure gli Stati che li possiedono non solo non mostrano nessuna intenzione di deallertarli, ma stanno mettendo a punto missili supersonici che, oltre ad altri pericoli, ridurranno i tempi di reazione in caso di allarme. Si alza sempre più il livello di guardia e si riduce il margine di controllo e di reazione. I crescenti pericoli di cyberwar generano rischi inaspettati anche per il controllo e l’uso delle armi nucleari. Che cosa potrà avvenire se un domani un ufficiale addetto al controllo degli allarmi di un attacco nucleare non sarà più sicuro se quello che vede sullo schermo sono davvero missili, o è un inganno informatico? O se gli ufficiali non saranno in grado di comunicare con coloro che controllano gli armamenti nucleari durante una crisi internazionale? Scenari da incubo! Purtroppo plausibili: uno specialista ha scritto “Attacchi informatici potrebbero compromettere la pianificazione dei sistemi di lancio, interrompere comunicazioni critiche, condurre a falsi allarmi di un attacco, o potenzialmente anche consentire a un avversario di prendere il controllo degli armamenti nucleari”. Insomma, se non fosse follia, sembrerebbe che i potenti che reggono le sorti del mondo stiano cercando in tutti i modi scorciatoie per accelerare l’apocalisse prima che il nuovo trattato TPAN possa esercitare il divieto: o è davvero follia? Fermiamoli prima che sia troppo tardi!

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