Se la violenza è domestica
Cosa fare per arginare e proteggere le persone più deboli?
Passiamo distrattamente davanti a uno schermo acceso che proietta il telegiornale della sera e rimaniamo colpite dal sottofondo di violenza che abita le varie notizie, dai salotti politici alle ultime di cronaca. Apriamo un quotidiano e anche qui sembra restituirci il racconto di una società a tinte scure e nere, dove la violenza, nelle varie forme, rimane la risposta prevalente. Ci domandiamo: perché oggi prevale questa narrazione della violenza come unica risposta alla frustrazione, al dolore, al senso di impotenza, alla paura? Perché una narrazione diversa dell’umano sembra essere così inascoltata? Poi ci soffermiamo a riflettere che anche la violenza domestica è cambiata e continua a cambiare. Assume forme più articolate e complesse del femminicidio; dell’omicidio di donne perché donne, bloccate in una relazione di potere asfissiante e poco dignitosa. Si uccidono anche i figli, i genitori, e poi si compie l’estremo gesto verso se stessi. Si eliminano tutti i testimoni di una vita che non abbiamo più la forza di vivere. Se in questo dramma qualche soggetto rimane miracolosamente vivo, si porta un fardello di memoria e di dolore che richiede tempo e risorse per ricucire. L’8 marzo scorso è stato presentato l’ultimo Rapporto della Onlus WeWorld (weworld.it) il cui titolo ci dice della preoccupazione prevalente “La violenza sulle donne colpisce anche i loro figli”. “La violenza sulle donne in due casi su tre colpisce anche i bambini: 400.000. La violenza assistita è quindi molto più diffusa di quanto appaia. La subiscono i bambini quando sono costretti ad assistere a violenza domestica, fisica o verbale tra familiari. La trasmissione da una generazione all’altra del fenomeno è ben testimoniata dal rapporto che esiste tra chi vive o assiste da piccolo alla violenza e il comportamento violento in età adulta: il partner è più spesso violento con le proprie compagne se ha subìto violenza fisica dai genitori (tra il 2006 e il 2014 il dato aumenta: se ha assistito alla violenza del padre sulla propria madre dal 5,2 al 22%!). […]Per questo motivo è molto preoccupante l’aumento del numero di violenze domestiche a cui i figli sono stati esposti, segnalato dall’Istat tra il 2006 e il 2014: la quota è salita al 65,2% rispetto al 6,3% del 2006; in due casi su tre i bambini assistono alla violenza, circa 120 mila bambini all’anno. Infine nel 25% dei casi i figli sono stati anche coinvolti direttamente nella violenza, (15,9%).” (Blog di Marco Chiesara, Presidente di WeWorld, su HuffPost del 8.3.2018. Il Rapporto WeWorld è consultabile online sul sito www.weworld.it/pubblicazioni/2018). La violenza domestica che vede scomparire entrambi i genitori (perché entrambi sono morti per omicidio e suicido, o perché una è morto e l’altro è in prigione) sta creando un vero e proprio esercito di bambini orfani e soli. “Ogni 2 giorni una donna viene uccisa dal partner, dall’ex o da un familiare. Molte di queste donne erano madri e negli ultimi 10 anni si stima che siano oltre 1.600 i bambini rimasti orfani per femminicidio”.
L’associazione WeWorld si è fatta anche sostenitrice di una proposta di legge che potrebbe ampliare il fondo di solidarietà esistente (rivolto ora alle vittime di mafia, usura, terrorismo) agli orfani di femminicidio. Il quadro legislativo deve adattarsi a nuove realtà sociali di bisogno, soprattutto quando queste vedono coinvolti minori. Tutto questo ci interroga come donne e cittadine di questa società. Se la nostra società non è una casa accogliente, è compito della famiglia umana tutta prendersene cura. “Noi, uomini e donne, siamo intessuti di relazioni violente. Sebbene fisicamente e statisticamente prevalga la violenza maschile, i rapporti di potere nella società sono permeati da meccanismi violenti e la loro dinamica originaria, da quanto emerso, è quella gerarchica. Studiare la gerarchia fra maschio e femmina, poiché l’uomo è quasi sempre in posizione dominante rispetto alla donna, permette di capire come il modello gerarchico permei molti altri tipi di relazione, per esempio fra abile e disabile, fra migranti e autoctoni, fra etnie.” (Combonifem magazine, marzo-aprile 2018, pag. 20. L’autrice del contributo è Cristiana Ottaviano, docente di Sociologia dei processi culturali all’Università di Bergamo).
L’importanza delle reti
La mancanza di alternative è mancanza di reti sociali che possano contenere e assumere il disagio e gestirlo insieme, vedendo altri punti di vista e non rimanere avviluppati nel proprio; soprattutto quando è intriso di dolore e senso di impotenza. Proprio nella seconda parte del Rapporto ci si focalizza opportunamente su alcuni modelli di intervento e buone pratiche, tra cui l’Home visiting e Spazio donna. Se l’Home visiting è, nella prevenzione del maltrattamento familiare dell’infanzia, una delle pratiche più importanti e attuate, il cui fine è il recupero delle risorse presenti nel nucleo familiare attraverso la costruzione di una relazione d’aiuto capace di sostenere e accompagnare la genitorialità, il modello Spazio donna si presenta piuttosto come programma rivolto a donne che vivono in aree disagiate, coinvolgendo in maniera attiva il territorio e la comunità. Questo programma di WeWorld conta già un triennio sperimentale (2014-2017) nelle città di Roma, Napoli e Palermo ed è pronto per essere proposto in altre città. L’idea di fondo che ha ispirato il percorso nella sua prima fase parte dalla consapevolezza che “sebbene la violenza sulle donne sia trasversale alle classi sociali, ci sono alcuni fattori che la favoriscono e che si concentrano in contesti di forte disagio sociale, caratterizzati da povertà strutturale, alta disoccupazione, criminalità, struttura familiare fortemente improntata al patriarcato, bassa alfabetizzazione”. Tutti i servizi coinvolti, non solo centri antiviolenza e servizi sociali ma anche scuole, parrocchie, terzo settore no profit e altri ancora, e le attività messe in campo mirano a sostenere e dispiegare quattro capacità di base per l’empowerment femminile delle donne raggiunte dal programma: 1) Prendersi cura di sé 2) Prendersi cura degli altri 3) Lavorare 4) Accedere alle risorse e ai sevizi pubblici. Vale la pena sottolineare la pertinenza e la valenza di questo approccio (WeWorld - 2017, Spazio donna. Modello di empowerment, child care e prevenzione della violenza in contesti urbani a rischio): una visione globale dello sviluppo e della promozione personale della donna in un’ottica sistemica, mentre si ricostruiscono le trame di un tessuto sociale e culturale troppo spesso inesistente o frammentario, sfondo a solitudini violente e alienate. La sperimentazione ha validato il modello “come una delle strategie primarie per la prevenzione della violenza contro le donne […] promuovendo l’empowerment femminile si previene non solo la violenza domestica sommersa, ma si rende possibile una precoce risposta preventiva ai maltrattamenti e alla violenza assistita dei bambini/e attualmente non offerta da nessun servizio pubblico”. È prevista sempre l’attiva partecipazione di tutto il nucleo familiare, in particolare dei partner, quando possibile. Pur riconoscendo e apprezzando i cambiamenti avvenuti a livello legislativo e sociale in questi ultimi anni (almeno dal 2013, quando l’Italia ratifica la Convenzione di Istanbul ed emana la legge 119 “recante disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere”), il Rapporto si conclude con un auspicio, un invito: considerando l’ampiezza del fenomeno sociale e ormai strutturale della violenza domestica, sarebbe tempo di pensare a un strategia complessiva riconducibile a una Legge Quadro. Questo permetterebbe di incidere “sulle ragioni profonde della violenza sulle donne (la disparità di potere tra uomini e donne), sugli strumenti della presa in carico delle vittime e sulle azioni economiche e sociali per realizzare un’effettiva inclusione, nel rispetto delle differenze di genere”. Violenza contro le donne, pari opportunità, ma anche politiche per la famiglia: diversi temi per un approccio tanto articolato quanto unitario in tempi di complessità.