CINEMA

Ermanno Olmi

Esprimiamo gratitudine per il grande cinema che il regista ci ha lasciato.
Bellezza e lettura del tempo, tenerezza e storia si intrecciano nei suoi film e nelle loro trame.
Andrea Bigalli

Non sarà una classificazione di livello elevato, ma sovente le cose semplici dicono l’essenziale: ci sono onesti artigiani della regia cinematografica, ci sono gli autori, capaci di imprimere alle loro opere uno stile determinato e riconoscibile, e ci sono i maestri. Questi ultimi fanno tracimare dai loro film ben più di una visione su di un tempo, una stagione storica, una serie di elementi culturali. Quel che chiediamo agli artisti e alle artiste sono elementi di comprensione, chiavi di lettura, alfabeti del dirsi, e del narrare le componenti del pensiero. Per abitare una stagione in piena consapevolezza e portarvi frutti.

Il percorso 

Il percorso di Ermanno Olmi verso la cinematografia è stato del tutto particolare. Figlio di un ferroviere (che lo lascia presto orfano, morendo in guerra) e di una operaria, è proprio per conto dell’azienda in cui lavora la madre che realizza i suoi primi documentari, da autodidatta e senza, quindi, aver frequentato nessun tipo di scuola di cinematografia. Approdato al lungometraggio, si farà notare fin dai primi lavori per una sensibilità sociale e poetica di grande capacità di lettura umana, dandoci opere magari non conosciutissime al grande pubblico, ma assai apprezzate dalla critica e dagli spettatori più attenti. Negli anni Sessanta e Settanta ci regala film come Il posto (1961), I fidanzati (1963), E venne un uomo (1965, sulla figura di papa Giovanni XXIII), La circostanza (1974). Ma il passaggio che lo consacra come maestro è il film che gli vale la Palma d’oro al Festival di Cannes nel 1978, L’albero degli zoccoli, a cui seguirà il Leone d’oro al Festival di Venezia per La leggenda del santo bevitore nel 1988. Le evoluzioni del suo cinema negli anni seguenti saranno, a mio parere, ancora più significative; Lunga vita alla signora! (1987, realizzato dopo una lunga pausa per una grave malattia), e due capolavori come Il mestiere delle armi (2001) e Cantando dietro i paraventi (2003) , fino alle ultime opere, del tutto rilevanti, come Il villaggio di cartone (2011) e Torneranno i prati (2014). Il suo lascito ultimo è rappresentato da un bel documentario dedicato alla figura del cardinal Carlo Maria Martini, Vedete, sono uno di voi (2017). 

Il tempo contemporaneo

Al di fuori dell’ambito delle scuole italiane, Olmi, per vari elementi (la ritrosia ad adoperare attori professionisti, preferendo di gran lunga persone comuni; il calarsi nel lavoro del cinema assumendo spesso personalmente le funzioni di operatore e montatore; molti riferimenti alla cultura contadina, espressione di un Paese che sembra dissolto), è stato spesso accostato a Pier Paolo Pasolini, anche per la capacità di osservazione acuta e sovente critica della contemporaneità. Il loro cinema è stato ricerca di senso e prospettiva, non necessariamente sempre in chiave spirituale, ma di certo attraverso quella poetica del guardare che rende ragione ai poveri e ai marginalizzati, contro la cultura borghese che li vorrebbe invisibili perché insignificanti. Il rapporto con la radice religiosa della loro identità fece scaturire dinamiche espressive solo in apparenza lontane: se Pasolini si pensa al di là della sua formazione cattolica, diventando un radicale contestatore della realtà ecclesiale, Olmi è sempre stato classificato come un regista cattolico. In realtà, il primo ci ha dato film come Il Vangelo secondo Matteo (1964), di assoluto rigore spirituale, e La ricotta (1963) dove, dietro una vena corrosiva e apparentemente dissacrante, si identifica facilmente una nostalgia del sacro che consenta domande assolute al di là dei vuoti e dei formalismi delle Chiese: Olmi, ben lungi da essere un artista allineato, non lesina critiche e dissenso nei confronti del cattolicesimo. Basti pensare a un film come Centochiodi (2007), in cui le comunicazioni cristallizzate, e quindi morte, tra le persone e Dio, vengono inchiodate alla loro inutilità e alla responsabilità delle Chiese, per rincentrare la speranza di linguaggi pienamente umani sulla figura del Cristo, sempre più in là rispetto alle teologie e ai tentativi di schematizzarne l’insegnamento nelle etiche e nei sistemi di potere. La tematica sociale non mancherà mai nei suoi film, sempre dettata dall’amore per gli umili, i segregati nelle classi subalterne, coloro che vengono dichiarati sacrificabili sugli altari delle logiche istituzionali. 

L’albero degli zoccoli fu considerato da parte della critica italiana (in generale sempre trattenuta a riconoscere il genio di Ermanno) un’opera che beatifica la rassegnazione di (supposto) segno evangelico di fronte all’ingiustizia dei padroni: in realtà rappresenta la rivolta della poesia all’estetica del potere, tratto dominante già dai suoi primi film. Lunga vita alla signora! è un altro titolo in cui vediamo analisi e destrutturazione del potere sociale, reso vano dai sentimenti umani, che motivano a una fuga felice, non certo indice di rassegnazione. Ne Il villaggio di cartone la riflessione del regista sull’immigrazione diviene un appello alla Chiesa a convertire energie, risorse e coraggio nell’accoglienza, vista come unica speranza per ridare senso a strutture, non solo materiali, altrimenti destinate a una assoluta perdita di significato per donne e uomini di oggi. La pietà cristiana deve tornare al centro dell’etica, e non in chiave confessionale, ma come indicazione di un umanesimo assoluto, che si nutre di tenerezza e a tutti è rivolto.

Contro la guerra 

Non di poco conto la sua avversione verso i conflitti armati, che diverranno oggetto di contestazione soprattutto in Il mestiere delle armi, Cantando dietro i paraventi e Torneranno i prati. Questi tre film rappresentano una sorta di trilogia del pensiero di pace di Olmi, maturato in sinergia con l’amico Mario Rigoni Stern, (grande scrittore, testimone di guerre per chiedere di non farne più, suo vicino di casa sull’altipiano di Asiago), come narrazione e disamina della crudeltà della guerra, affermazione della dignità che si ricava dal contrastarne le logiche. Ne Il mestiere delle armi la ricognizione storica va a ricercare il passaggio che la rese ancor più disumana con l’introduzione delle armi da fuoco, che sopprimono ogni possibile residua nobiltà del conflitto: la  forza cieca della violenza che nulla risparmia, né amore, né gioventù, né futuro. Il contesto asiatico – peraltro artificiosamente ricostruito altrove – diviene, in Cantando dietro ai paraventi, teatro della forza della donna, che dopo aver dimostrato che può dar battaglia come gli uomini, mette in atto una cultura capace di farla cessare. Infine, la memoria della Prima guerra mondiale di Torneranno i prati diviene modo di riaffermare la forza dei poveri anche in ciò che li sconfigge e li sacrifica, in un canto di speranza per quando finirà l’inverno dello spirito e torneranno le dolcezze miti della stagione delle primavere. 

La vita comunque inesauribile come segno del tempo: un segno preciso della forza della Resurrezione, che tornerà nel ritratto del cardinal Martini nel documentario. Olmi si immedesima nel vescovo, in un contesto di malattia e morte prossima; insieme a lui esprime la sua fede nel Cristo, che vivendo l’amore relativizzò l’apparente invincibilità del concludersi dei giorni.

Salutiamo, quindi, un maestro e lo facciamo sospesi tra dolore e gratitudine. Lasciamo che la seconda prevalga sul primo, perché chi lascia una scia di bellezza e di verità – per quanto mai asserita da padrone, mai ostentata, mai imposta; per questo sofferta e onesta – gira, monta e proietta nel segno di quanto dura, e lievita valore nel tempo.

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