CHIESA

Suore social

Il mondo religioso femminile e i nuovi social network che caratterizzano la comunicazione del nostro tempo. Ma quanto sono social le suore?
Patrizia Morgante (Communication Officer della UISG)

Il primo libro che sia stato stampato è stato la Bibbia; per quanto attiene la censura nei secoli è stata particolarmente aspra per quella religiosa; il primo quotidiano italiano è stato l’Osservatore Romano; il primo documento del Concilio Vaticano II è stato sulle “meraviglie della comunicazione sociale” (Inter Mirifica); è risaputo l’uso della radio da parte di Papi e prelati per annunciare il Vangelo.

Cosa ci dice questa breve premessa? A me richiama l’attenzione che la Chiesa, sin dalle origini, ha avuto per l’annuncio, la condivisione e la diffusione. Ha saputo sempre adattarsi ai mezzi di comunicazione moderni per arrivare in ogni angolo. E oggi non è da meno.

La Segreteria del Vaticano per la Comunicazione (comunicazione.va) è il più vasto Dicastero della Curia Romana; ha sostituito, in un lungo e articolato processo di riunificazione di tutte le piattaforme e canali comunicativi vaticani, ben nove entità differenti. Si legge nel sito, citando il Motu Proprio del 2015 “per integraretutte le realtà che, in diversi modi, fino ad oggi, si sono occupate della comunicazione’, al fine di ‘rispondere sempre meglio alle esigenze della missione della Chiesa’. In tale processo di riorganizzazione, il Dicastero è diventato il referente unitario dei processi comunicativi, sempre più complessi e interdipendenti nell’attuale scenario mediatico, e tutti gli organismi della comunicazione sono in esso confluiti”.

In questo quadro qual è il ruolo delle religiose nel mondo digitale social? Qual è la loro voce nella comunicazione della Chiesa?

Sono la responsabile dell’Ufficio Comunicazione dell’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG – www.uisg.org), un’organizzazione nata nel 1965 e che riunisce quasi 2000 membri nel mondo. Le Superiore sono le responsabili generali delle Congregazioni di Suore di Vita Apostolica (queste non includono le monache, la cui vocazione è prevalentemente contemplativa), esse rappresentano le circa 800 mila religiose del mondo, presenti praticamente ovunque; spesso ci sono suore dove neanche un giornalista o un prete arriva. Pertanto, il mio panorama è vasto e mi offre l’opportunità di raccontare in questa riflessione, luci e ombre di una presenza importante ma ancora poco visibile.

Passo alla seconda domanda: qual è la loro voce nella comunicazione della Chiesa? La comunicazione ufficiale di quest’ultima è molto più centrata sul ruolo dei sacerdoti e dei vescovi; la vita religiosa in generale è quasi assente, e quella femminile, pur rappresentando l’80% del mondo religioso, è praticamente invisibile. Nonostante i numerosi richiami di papa Francesco nel sottolineare il ruolo significativo delle donne, la comunicazione istituzionale vaticana continua a mostrare un solo volto, quello maschile e sacerdotale. Questa realtà non ci scoraggia, anzi! Ci stimola a essere creative nel cercare tutte le vie possibili per raccontare la bellezza dell’azione delle religiose nel mondo: donne come ponti di pace, come testimoni di amore, come protagoniste di una narrazione controcorrente, come curatrici di ferite esistenziali e sociali profonde. 

Ecco che arriviamo alla prima domanda: in questo quadro, qual è il ruolo delle religiose nel mondo digitale social? Molte si sono dotate di un sito internet e di una presenza nei social già da diversi anni, che, seppur poco efficace, ha saputo ritagliarsi uno spazio di visibilità dalla base. Attraverso foto e racconti hanno saputo offrire la loro parola di pace, di riconciliazione, di sanazione a un mondo sempre più violento e frammentato. 

La sfida per me, che mi occupo di “rendere più visibile la loro missione nel mondo” (così recita il mio mandato di lavoro), è aiutarle a comprendere che, oggi, se desideriamo arrivare a tutti, dobbiamo imparare ad abitare con sapienza e competenza il mondo digitale. Non basta la buona volontà per raccontare al mondo cosa facciamo, è necessario imparare tecniche di comunicazione e di storytelling perché il messaggio arrivi e faccia la differenza nella vita delle persone e dei popoli.

Il mondo religioso femminile è vasto e variegato, ovviamente. Ci sono congregazioni che hanno investito grandi risorse nella comunicazione istituzionale e nel branding dell’istituto, altre hanno formato suore alla comunicazione, altre ancora non hanno una minima presenza digitale e sono fiere nell’affermare che non sono presenti in nessun social. Quando dico loro che i dati ci dicono che una donna che vuole entrare nella vita religiosa, cerca su google, si sorprendono. 

Prima una ragazza entrava nella Congregazione delle suore della scuola che frequentava, oppure di quella presente nel proprio paese o nella parrocchia di appartenenza. Oggi cercano su internet la spiritualità che possa rispondere alla ricerca personale di senso vocazionale. Giusto o sbagliato? Non lo so… ma è quello che accade; pertanto le religiose devono scegliere se curare o meno la loro identità digitale. 

Resistenze

Quali sono le resistenze delle suore verso il mondo dei media digitali? Ne hanno paura perché non lo conoscono; sono restie a raccontarsi e a “metterci la faccia” per un’idea, a mio avviso distorta, di umiltà e nascondimento; sono radicate in un modello di “missione” monolitico e tradizionale (essere presenti nel mondo digitale non è missione).

Un giorno una superiora, alla fine di un corso di formazione sulla comunicazione nella vita religiosa, mi disse: “Oggi ho capito che nella mia congregazione devo nutrire e animare una cultura della comunicazione, che è molto di più di sapere usare bene twitter o avere un sito responsive”.

È questa la sfida: costruire una cultura della comunicazione. Io chiedo sempre alle partecipanti alla formazione che realizziamo da anni in questo ambito (online e in presenza): cosa fate quando dentro sentite una gioia grande? Molte dicono “la racconto alla mia amica o telefono a un familiare”. Questa è la comunicazione: un’urgenza di qualcosa di forte e grande che non puoi tenere per te e vuoi condividerlo, diffonderlo, perché altri vi partecipino e perché si contagino di questa bellezza. Perché il bene che facciamo non possiamo tenerlo per noi. Il mondo digitale ci offre uno spazio infinito da abitare con consapevolezza e professionalità per dire quella parola che solo le suore possono dire, perché viene da loro vissuto al fianco di popoli in cammino; per raccontare che, tutti insieme a loro, possiamo fare la differenza nel luogo dove siamo.

Vorrei fare un accenno anche alla vita monastica femminile: la vita di silenzio e preghiera offre alle monache una visione più profonda e attenta dei bisogni delle persone e del mondo digitale in generale. Possono gestire la loro presenza social in modo più consapevole e, senza entrare nel turbinio e nella velocità tipica del nostro tempo, offrire una parola di sostegno, un orizzonte umano più alto, uno sguardo profondo, un invito a prendersi cura dell’altro e della vita in generale. 

Nell’ultimo documento promulgato da due Dicasteri del Vaticano “Cor Orans” si legge un paragrafo dedicato proprio al tema dei “mezzi di comunicazione”: “La normativa circa i mezzi di comunicazione sociale, in tutta la varietà in cui oggi si presenta, mira alla salvaguardia del raccoglimento e del silenzio: si può, infatti, svuotare il silenzio contemplativo quando si riempie la clausura di rumori, di notizie e di parole. Il raccoglimento e il silenzio è di grande importanza per la vita contemplativa in quanto ‘spazio necessario di ascolto e di ruminatio della Parola e presupposto per uno sguardo di fede che colga la presenza di Dio nella storia personale e in quella delle sorelle […] e nelle vicende del mondo’ [106]. Tali mezzi pertanto devono essere usati con sobrietà e discrezione, non solo riguardo ai contenuti ma anche alla quantità delle informazioni e al tipo di comunicazione […].  L’uso dei mezzi di comunicazione, per motivo di informazione, di formazione o di lavoro, può essere consentito nel monastero […] Le monache curano la doverosa informazione sulla Chiesa e sul mondo, non con la molteplicità delle notizie, ma sapendo coglierne l’essenziale alla luce di Dio, per portarle nella preghiera in sintonia con il cuore di Cristo”.

Per essere delle comunicatrici efficaci non basta essere su facebook o instagram. È importante essere consapevoli che siamo figlie di un Dio che è comunicazione e relazione. I Vangeli sono il social network più antico e efficace che esista, e noi possiamo diventare dei social network viventi che sanno interagire, online e offline, in un continuum integrato e fluido, senza strappi e divisioni. Un social network che con la parola, le immagini, i video può raccontare di un modo diverso di vivere: come famiglia umana, una e diversa.

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