Occhio per occhio?
Si prevede la revisione dell’articolo 52 della nostra Costituzione.
Di cosa si tratta? E con quali conseguenze?
“Occhio per occhio, dente per dente”. È la metafora del principio di proporzionalità tra azione e reazione: una regola giuridica introdotta dalla legge mosaica per sottrarre il diritto penale alla barbarie della vendetta privata senza limiti. Gesù insegnò ai suoi seguaci (con non grande fortuna, invero, stando alla storia) che neppure bisogna reagire, ma piuttosto porgere l’altra guancia. Ma, almeno, negli ordinamenti secolari la proporzionalità è d’allora un principio di civiltà giuridica. Perfino il fascismo, che pure come ogni regime totalitario inasprì al massimo le norme penali sostanziali e processuali, non osò toccarlo. Secondo l’art. 52 del codice penale del 1930, tuttora vigente, la difesa contro un pericolo attuale di una offesa ingiusta è legittima “sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”: in tal caso si è giustificati e si va esenti da pena. Se si eccede si viene puniti, sia pure con la pena più lieve prevista per la colpa (per esempio, omicidio colposo e non volontario).
Legittima difesa
La legittima difesa è una causa di giustificazione del reato commesso e, quindi, di esenzione dalla pena. L’atto compiuto per difendersi rimane oggettivamente antigiuridico, solo viene giustificato. Invece con il disegno di legge in discussione in Parlamento, nel caso in cui l’azione venga compiuta con violazione di domicilio (casa, ufficio, negozio ecc.), quell’atto diventa giuridico in quanto esercizio di un diritto soggettivo. Il diritto di difesa in luogo della legittima difesa. Questa trasformazione viene realizzata grazie all’eliminazione della valutazione giudiziaria della proporzionalità. Tutto si gioca con un “sempre”: il primo comma continua a recitare, come prima, “sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”, ma il secondo comma stabilisce perentoriamente che “sussiste sempre il rapporto di proporzione”.
In particolare, “agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”. Chiunque creda di trovarsi di fronte a un’intrusione con effrazione di un estraneo armato (il quale cioè sta forzando una finestra per entrare in casa) può dunque sparagli. Analogamente, la punibilità è esclusa “a prescindere” se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità, sempre nel proprio domicilio, ha agito in circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa o “in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”: in pratica sempre, dal momento che un’aggressione, anche al proprio patrimonio (mi stanno rubando la macchina o si stanno introducendo in casa attraverso una finestra, ad esempio), provoca in chiunque un grave turbamento.
Proporzionalità
Per reagire all’aggressione alla propria vita privata altri ordinamenti, come quello tedesco, richiedono ben di più: uno stato di terrore o di panico. Mentre da noi anche l’opposizione (PD) ha “visto invece favorevolmente l’inserimento del termine ‘turbamento’” , proponendo anzi di togliere l’aggettivo “grave”: ed è stata la maggioranza governativa a bocciare un emendamento in tal senso. Si fa strame con generale incoscienza di norme di principio, come quella contenuta nell’art. 90 cod. pen.: “gli stati emotivi o passionali non escludono né diminuiscono l’imputabilità”. Ma non deve sorprendere: una riforma del genere era già stata approvata un anno fa dall’allora maggioranza PD-Nuovo Centrodestra (su iniziativa del deputato Ermini, ora eletto vicepresidente del CSM, e con l’appoggio di tutta la destra: la novità presente sono i 5 Stelle) anche se non definitivamente a causa della fine della legislatura.
Del resto, questa torsione era cominciata già una dozzina d’anni fa quando s’introdusse nell’art. 52 una “presunzione di proporzionalità”: si appesantiva così l’onere probatorio dell’accusa di vincere la presunzione legislativa a favore dell’imputato, che aveva reagito all’offesa subita. Ma, comunque, pur alterando il rapporto tra le parti processuali con questo favor rei, il giudizio sulla proporzionalità era rimasto e continua a essere compito del giudice, attraverso un regolare processo, che lo accerti in concreto, caso per caso. Con la riforma approvata dal Senato, invece, questo giudizio scomparirebbe, si astrarrebbe dal caso concreto e si introdurrebbe un automatismo tra offesa avvenuta nel domicilio e assoluzione.
Quale emergenza?
Certo, la sicurezza è la condizione per l’esercizio delle libertà personali e democratiche e, se è in pericolo, bisogna intervenire. Ma siamo davvero in emergenza per i reati commessi con violazione di domicilio? Dalle statistiche richiamate in Senato risulta che in quattro anni (dal 2013 al 2016) i procedimenti definiti in dibattimento nei tribunali sono stati appena dieci per la legittima difesa e cinque per l’eccesso colposo di legittima difesa (quattro dei quali conclusisi con archiviazione). Di fronte a questi numeri esigui e a esiti conformi agli auspici del legislatore, che motivo (e, anche, che urgenza) c’è d’intervenire con questa riforma?
In effetti, il risultato che si vorrebbe raggiungere è evidentemente un altro e si evince dall’esempio fatto dal relatore di maggioranza: un tabaccaio che è stato assolto dall’accusa di omicidio, ma dopo tre gradi di un processo durato sette anni. Si vuole, cioè, aggirare il processo, se non proprio evitarlo. L’azione penale, infatti, è costituzionalmente obbligatoria e, prima che si arrivi all’archiviazione, occorrerà pur sempre avvisare l’autore del possibile reato, invitarlo a difendersi, fare qualche accertamento peritale, sentire persone informate sui fatti e solo dopo rinunciare all’esercizio dell’azione penale (con possibilità di impugnazioni e di ricorso per Cassazione). Con la riforma in esame certamente i tempi sarebbero ridotti; ma per realizzare questo minimo vantaggio personale si produrrebbero sfracelli al sistema.
Il primo è appunto quello di banalizzare il processo e il ruolo del giudice. Il processo è il luogo in cui le parti su un piede di parità ricostruiscono il fatto con le prove e offrono al giudice gli elementi indicativi dell’eventuale responsabilità personale dell’imputato, come prescrive l’art. 27 della Costituzione. Eliminare pregiudizialmente il dibattimento segnala la volontà politica di confinare il ruolo di garanzia del giudice nel mero accertamento della presenza in casa dell’aggredito. Il resto seguirebbe automaticamente. Si cerca, quindi, di fare del processo un inutile e retorico orpello, quando invece – come ha sottolineato l’associazione dei professori penalisti – indagini e processi si svolgono anche quando si uccide il cane del vicino (nel reato di uccisione di animali).
La seconda conseguenza è sul piano sostanziale ed è assai inquietante: chi viene aggredito a casa, pur solo nel patrimonio, ha licenza di uccidere. Anche nel caso in cui l’aggredito abbia esagerato con tutta evidenza nel procurare all’aggressore un danno ben più grave di quello temuto, come gli si potrà disconoscere, infatti, il grave turbamento in cui è venuto a trovarsi? Dunque, sarà in ogni caso assolto, anzi archiviato, in tempi brevi (si prevede una corsia preferenziale per questi processi), riavrà indietro il denaro speso per l’onorario del suo avvocato (cui lo Stato rifonderà anche un’indennità di trasferta se proveniente da fuori distretto) e non subirà neppure una citazione in sede civile perché viene stabilito, inoltre, che “la responsabilità di chi ha compiuto il fatto è esclusa”.
Corollario finale: una volta stabilita per legge un’immunità penale e civile per la difesa da aggressioni in casa è prevedibile un discreto incremento del commercio di armi. Avremo stabilito anche noi “the right to bear Arms” (secondo emendamento della Costituzione americana). L’unico costo da sopportare sarà quello dell’arma. Ma il costo per la collettività sarà quello di vivere in una società armata e, come in America, frequentemente martoriata dal mass shooting e dalle tragedie da “armi facili”.