Il corpo e il mondo
Abitualmente non ci rendiamo conto di quanto il corpo rappresenti non solo noi stessi, ma il contesto sociale e simbolico che abitiamo: il corpo sociale, i corpi intermedi, i corpi militari… Così come non ci rendiamo conto di quanto il corpo sia socialmente definito, a partire dalle società tradizionali – in cui le frontiere del corpo non disegnavano quelle dell’individuo e i segni del corpo fornivano anche indicazioni sul ruolo e sulla posizione occupata dalle persone in una totalità che rendeva impossibile scindere il corpo dal mondo in cui era inserito – fino alle società individualizzate, in cui il corpo fornisce i confini dell’identità dando la sensazione di essere se stessi.
D’altra parte il corpo è il grande codice della società dell’immagine. Tutto si dice attraverso il corpo che regna ormai incontrastato, dopo aver sottratto la scena all’anima. Nel nostro tempo che celebra il trionfo dell’immanenza assoluta, tutto si gioca e si decide sul terreno dell’apparire: desideri aspettative, valori, identità, successo, felicità. Non abbiamo più un corpo ma siamo il nostro corpo. E basta. Tormentarsi per qualche chilo in più o per qualche centimetro in più significa, dunque, dare un peso e una forma alle nostre paure di vivere. Significa ricondurre il nostro smarrimento complessivo a una serie di atti pratici con i quali operiamo esorcisticamente contro le mille cause della nostra insicurezza, del nostro mal di vivere. Come se riconoscere ed eliminare uno per uno tutti i pericoli – reali o immaginari – che si annidano in quel che mettiamo dentro di noi ci desse l’illusione di riconoscere ed eliminare tutti i pericoli che si annidano fuori di noi. In fondo è più semplice cambiare dieta che cambiare il mondo. È così che il controllo sugli alimenti diventa il succedaneo consolatorio del controllo su una realtà che ci sfugge da ogni parte. Marino Niola, Homo dieteticus, il Mulino, 2015
D’altra parte il corpo è sia il luogo sacro dell’incarnazione che quello privilegiato, in cui viene rappresentato e agisce il potere (si pensi ad esempio alla detenzione, alle punizioni corporali, alla gogna, alla tortura, agli stupri etnici, così come all’obbligatorietà, per ragioni economiche, di vivere in luoghi insalubri, senza accesso al cibo o alle cure mediche, in condizioni di lavoro insicure, schiavizzanti o foriere di danni permanenti, troppe volte mortali); è la costrizione da cui liberarsi per accedere alla purezza dello spirito (in alcune forme di ascesi o misticismo) o il luogo in cui combattere in forma estrema la coercizione reale/relazionale (dallo sciopero della fame all’anoressia, ecc.). O ancora il perimetro entro cui si rischia di essere prigionieri quando la sua sopravvivenza è legata ad una macchina, il confine tra vita e morte sfuma ed altri sono chiamati a definirlo per noi.
Ma è anche il luogo in cui si manifestano le emozioni, le pulsioni, i desideri; in cui si avverte piacere e dolore, si percepiscono vita e morte e un mutare continuo e incessante: una sorta di testo che scriviamo e da cui siamo continuamente scritti e che contestualmente leggiamo così come ne siamo letti dagli altri. All’interno di un reticolo complesso che ingloba biologia e cultura, materia e spirito, individualizzazione e relazione. Che comunica incessantemente, con gesti, segni, mimica, sguardi, parola. Ma anche con simboli, indumenti, movimenti, presenza. Tanto che anche un corpo morto non smette di comunicare.
Il contesto culturale e sociale contribuisce in maniera importante alla definizione del corpo, anche dettando quell’insieme di regole e norme a cui quest’ultimo dovrà sottostare: dalle pratiche igieniche ai dettami della moda, dai codici di comportamento a quelli della cura e della salute, dal cosa e come mangiare alla sessualità. Basti pensare a uno sportivo, un militare, un religioso, che si sottoporranno volontariamente a un regime e a una disciplina capace di incidere anche il proprio corpo: la muscolatura, la postura, il taglio dei capelli, la mimica; o viceversa al corpo di chi non vuole o non può scegliere e decidere della propria vita (anche se per lungo tempo e in parte ancora oggi arruolarsi nell’esercito e avvicinarsi al contesto religioso non è una scelta ma una necessità), come un senza fissa dimora, un tossicodipendente, un profugo costretto alla fuga o un povero incapace di sostenere il costo economico di alcune terapie. O a chi, detenuto, disperato, “invisibile” o altro ancora decida di infliggere al proprio corpo ferite mortali, finanche consegnandolo alla morte.
La prima costruzione dell’Io è la distinzione tra Io e mondo esterno: ma da che cosa è data questa distinzione? Da io corpo, che è roba mia, dalle cose che sono fuori di me. I bambini non nascono con questa distinzione, la guadagnano gradatamente assumendo i confini del proprio corpo. Le carezze delle madri servono a delimitare il corpo, e quindi a creare la separazione tra me e ciò che è al di fuori di me, dentro e fuori sono categorie corporee... E poi c’è la malattia, lì forse si ha l’idea più potente di che cosa significhi organismo e di che cosa significhi corpo. Perché se la salute consiste nel rapporto tra uomo e mondo, quando uno sta bene una delle caratteristiche del corpo è di farsi ignorare, quando si sta bene si ignora il corpo. Del corpo ci si incomincia ad accorgere quando sta male. Ma cosa succede esattamente quando sta male il corpo? Succede che si spacca la struttura originaria del rapporto corpo-mondo...
Umberto Galimberti
È complesso e articolato insomma approcciare il tema del corpo e di ciò che lo riguarda. Contempla i riti di passaggio che spesso lo hanno attraversato, i canoni che lo hanno definito bello o brutto, la scienza che lo ha classificato come sano o malato o il sistema economico che lo ha reso forza lavoro o consumatore onnivoro e insaziabile. E nella realtà attuale contempla anche i progressi scientifici che hanno dischiuso possibilità prima inimmaginabili, bellissime e/o inquietanti: dai trapianti (il corpo di qualcun altro diventa parte del mio) alla manipolazione del dna, dalla fecondazione assistita alla possibilità di cambiare sesso o a quella di “downloadare” la propria mente nella memoria di un computer, superando il limite del corpo – mortale – per raggiungere l’immortalità, o presunta tale, di un software.
Al tempo della modernità, caratterizzato da incertezza e insicurezza, il “nostro corpo diventa l’unico bene su cui investire. La nostra interfaccia con una realtà sempre più complessa e problematica. E in una società secolarizzata come la nostra, da cui è svanito ogni orizzonte trascendente, religioso o laico, la sacralità si è ormai trasferita nel corpo che è diventato il simulacro di Dio” (Niola). Nelle pagine che seguono, dunque, offriamo alcuni approfondimenti che, lungi dall’esaurire un tema tanto vasto, cercheranno di aprire sguardi e offrire possibili orizzonti.