Una chiesa capace di profezia
È stata una grande gioia l’aver partecipato al convegno di Molfetta dedicato a don Tonino Bello. Un vescovo che ha osato la pace, per usare le parole di Bonheffer. E l’ha osata su strade che altri vescovi hanno avuto paura a percorrere. Una profezia pagata, però, a carissimo prezzo. Al punto che molti suoi amici ritengono che la sua stessa malattia sia stata la somatizzazione delle violente critiche, dei rimproveri, dell’emarginazione che Tonino ha subìto, proprio per le sue prese di posizioni, in particolare sulla guerra.
Infatti, la profezia che la chiesa è chiamata a vivere sulla pace spacca e divide, come ogni profezia. Per questo ritengo sia fuori luogo il dibattito che si è innescato sulla chiesa non "pacifista" ma “pacificatrice”. È chiaro che una chiesa non può non schierarsi. E se si schiera per la pace e compie scelte come le ha compiute Tonino Bello, è prevedibile che susciti vespai. La profezia della pace quando è calata nel contesto storico suscita critiche.
Quando Tonino Bello scrisse la sua Lettera ai parlamentari, pubblicata sul Manifesto (con l'esortazione “Risparmiateci, vi preghiamo, la sofferta decisione, quale extrema ratio, di dover esortare direttamente i soldati, nel caso deprecabile di guerra, a riconsiderare secondo la propria coscienza l’enorme gravità morale dell’uso delle armi che essi hanno in pugno”), gli piovve addosso una valanga di critiche. Quando entri nel bel mezzo della storia, di scelte politiche, scateni il putiferio. Come la mettiamo, allora, con quei distinguo tra “pacifista” e “pacificatrice”? Se la chiesa fa profezia non può non provocare rotture. Come ha fatto Tonino Bello, nonostante il suo carattere così solare.
E poi c’è differenza fra pacifismo e nonviolenza attiva. La parola pacifismo ha assunto, purtroppo, in questo tempo, un senso quasi di rassegnazione, molto diverso dall’atteggiamento cristiano, o meglio da quello del Cristo, che è di nonviolenza attiva. Anche Gandhi ha continuato a ripetere di avere imparato dal Vangelo la nonviolenza attiva. Noi cristiani, invece, non riusciamo ancora a dirlo!
Nonviolenza attiva è la capacità di rimettersi in piedi, di ritrovare e ridare dignità, di cercare tutte le vie – ad eccezione di quella della violenza – per riaffermare il diritto e ripristinare la giustizia. Nel movimento per la pace c’è gente che non ne vuol sapere delle guerre ma ci sono anche molti credenti che hanno optato per la nonviolenza attiva, che richiede una profonda spiritualità, un enorme coraggio, la forza di trovare tutti i mezzi per ostacolare il potere e per reagire. Piuttosto allora che dibattere sui termini, è importante essere consapevoli che la chiesa è chiamata come Cristo a essere profetica.
Ma con quelle scelte concrete, storiche, che vanno ad incidere su temi e scelte reali. Ad esempio nel dire no alle armi, per cui non si può accettare la nuova corsa al riarmo che tutto il mondo (anche il nostro Paese) sta vivendo. Dire no alla bomba atomica, che è lo strumento più peccaminoso che l’uomo abbia mai inventato. E dire parole chiare su tutte le obiezioni. Se la chiesa considera complici le infermiere che aiutano i medici negli interventi abortivi, e quindi le reputa scomunicate, cosa dovrebbe dire delle persone che sono negli eserciti professionisti? Se loro possono fare tranquillamente la comunione vuol dire che non c’è più moralità.
O il Vangelo lo prendiamo sul serio a tutti i livelli o diventa moralismo. Ed è chiaro che così si scatena il putiferio. Altro che chiesa “pacificatrice”! Sarà lei, anzi, a creare dissidio. Ma deve crearlo, perché il Vangelo della pace consegnatoci da Gesù di Nazareth è un dono radicale. A noi tocca tradurlo nella storia. Davvero un certo dibattito odierno è falsato in partenza: la chiesa ha un unico Vangelo da proclamare, ed è quello della pace.