POLITICA

Guerra preventiva e articolo 11

Oscar Luigi Scalfaro
Fonte: Dall'intervento pronunciato durante un incontro pubblico tenutosi a Roma il 15 gennaio scorso

È strano, nel 2003, ritrovarsi di fronte all'interrogativo: guerra o non guerra? È impressionante sul piano dei valori umani. Per questo io partirei dal riflettere, più con interrogativi che con esami poco argomentati, su quel che pensiamo noi della guerra e su quello che pensano coloro che devono decidere. Siamo convinti che la guerra è il male assoluto, senza eccezioni. Siamo convinti che è contro l'uomo, contro la persona umana, per la distruzione della persona umana, a cominciare dalla distruzione dei più indifesi. Riteniamo che il raziocinio sia un fatto dell'uomo, sia espressione della dignità dell'uomo, sia qualificazione dell'uomo; che dal raziocinio discende il dialogo, il colloquio, il saper discutere, il trattare, il convincere. A un certo momento, però, la persona rinuncia al pensiero e al raziocinio, in favore dei muscoli: è un'ascesa di promozione o un degrado? Si rinuncia all'argomento e si passa alle armi.

Alleati o sudditi

Le alleanze sono un movimento naturale delle persone, dei popoli, degli Stati: riflettono il desiderio di unione per essere più forti nei vari campi, come quello economico, sociale, della sicurezza. Le alleanze servono per potersi difendere meglio, per sentirsi più sicuri. A condizione, però, che le alleanze siano su posizioni di parità: se vi è qualcuno nell'alleanza che ha una posizione di dominio o di imposizione, ebbene quella non è alleanza. E se qualcuno, di fronte alle posizioni di predominio, di imposizione, accetta senza discutere, quella non è più alleanza. Non è alleanza se vi sono posizioni di sudditanza, una sudditanza imposta e accettata. Faccio un'ipotesi, dura, ma la faccio perché la temo: la sudditanza può persino venire scelta, magari come prova di fedeltà all'alleanza e all'amicizia. È il massimo degrado. Ebbene, proprio in quanto alleati esiste il diritto-dovere di far sentire la propria voce, il proprio motivato parere. Invece circola un atteggiamento che non è nuovo (l'imbecillità non è mai nuova!) e si presenta dicendo: se non sei amico degli Stati Uniti, tu non sei alleato. Invece è proprio perché sono alleato che devo cercare di avvertire i miei alleati circa i possibili errori, devo convincerli che stanno scegliendo strade ardite, che forse valevano qualche millennio addietro. Occorre cercare adesioni al nostro no alla guerra. Certamente le motivazioni del presidente della Repubblica francese non sono perfettamente le stesse del cancelliere tedesco; e certo queste posizioni avrebbero meritato un intreccio di passi, di cura diplomatica, per vedere di agganciare altri, di fare forza comune. E comunque, sarebbe stato più produttivo muoversi in quella direzione invece di dichiarare con forza adolescenziale: "io sono amico di Bush". Non molto tempo fa, al Senato, dissi: "Constatata la realtà dei fatti (il famoso rebus sic stantibus), dico a lei, presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, che è suo compito la capacità politica di far vivere insieme pace e alleanza". Gli feci anche i miei auguri, perché gli interessi della Patria superano ogni divisione di impostazione politica.

Una politica di pace

La politica di pace l'Italia l'ha iniziata immediatamente al termine dell'ultima disastrosa guerra (era la prima volta che una guerra aveva molti più morti tra i civili che non tra i militari e forse nessuno saprà mai dire esattamente quanti sono stati i morti di quella guerra). Come si possa, dopo cinquant'anni, avere una tale velocità di dimenticare è cosa che meriterebbe uno studio dal Ministero della Sanità! La politica di pace e di alleanze l'Italia l'ha perseguita da sempre, da quando ci sono libertà e democrazia. Una politica che ha portato a una scelta internazionale (questo fu sempre il quadro per me, che ero presente, affascinante dell'impostazione politica dei governi di De Gasperi), da cui discendeva la scelta di alleanze per quanto riguarda le relazioni internazionali e di collaborazione nella politica interna tra i partiti cosiddetti democratici. Sul piano internazionale si poneva la questione dell'Europa: di Europa allora non c'era ancora nulla, se non la fede forte e formidabile di quelli che ci hanno creduto e che noi chiamiamo i profeti dell'Europa e per i quali solo un'Europa politica avrebbe avuto la forza di dire un no definitivo alla guerra. Solo un'Europa politica: siamo ancora in viaggio... E insieme all'Europa, il Patto Atlantico: un'alleanza con un popolo ben più giovane, popolo che crede nella libertà e nella democrazia e che, pur rispettandolo, devo dire che non possiede il concetto e la possibilità della verità assoluta. Quindi un popolo che può sbagliare, i cui capi possono sbagliare. Rimango convinto che la politica estera dell'Italia debba ancora oggi avere come punto fermo l'alleanza con gli Stati Uniti, ma questo non vuol dire firmare una carta che delega ad altri le scelte dominanti per la vita dei popoli. Questo vuol dire la parità di dignità! Questo è un diritto che abbiamo come singoli: non c'è nessuno che può dirigere questo popolo, che può permettersi il lusso di macchiare in qualche modo o mortificare in qualche modo la dignità del nostro Paese. Dunque abbiamo avuto una politica internazionale ininterrotta.

Il ripudio della guerra

Ma veniamo all'articolo 11 della Costituzione. Io l'ho votato: ricordo gli applausi. Sono andato a rileggere i verbali di quella discussione, che fu breve. Penso che oggi si discuterebbe chissà quanto. C'è un punto umano da non dimenticare: tutti quelli che discutevano erano usciti dalla tragedia della guerra. La seduta del voto di questo articolo è del 24 marzo 1947, a meno di due anni dalla fine della guerra. Tale fu la tragedia che non ci fu nessuno, nella discussione, che si disse contrario al no. Poi uscì dalla Commissione quel termine scultoreo, "ripudia", un verbo che non ammette incertezze. Un no unanime, dunque, per un articolo che parla con chiarezza assoluta e in modo profetico: l'Italia ripudia la guerra in due forme, come strumento di offesa, come aggressione, alla libertà degli altri popoli, e come mezzo di risoluzione delle controversie: se ci sono delle questioni, discutiamo, mettiamoci intorno a un tavolo, cerchiamo mediazioni, mobilitiamo l'universo, ma troviamo una soluzione. La guerra non risolve nulla. Dopo questi due no, l'Italia consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni della sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni, promuove e favorisce le organizzazioni internazionali. Ha ragione Pietro Ingrao quando dice che queste organizzazioni internazionali, per loro natura, sono solo per la pace. Noi diciamo: aspettiamo che l'Onu dia la benedizione alla guerra. Ma quell'organizzazione è nata solo per la pace! Quando osserviamo, con valutazione giuridica, la Costituzione, l'articolo 11 consente all'Italia la guerra solo in caso di legittima difesa: diciamo che l'unica ipotesi di una guerra legittima, cioè secundum legem, (attenzione: non ho detto lecita!), secondo Costituzione, è solo la legittima difesa. Tuttavia, la legittima difesa è un istituto giuridico, che non può essere interpretato dal politico di turno che decide di applicarlo in un modo piuttosto che in un altro. Ed è lo stesso istituto che vale per i singoli: richiede che l'offesa sia in atto e che ci sia un equilibrio tra l'offesa e la difesa. Tutto questo contrasta profondamente con la dottrina della guerra preventiva. È chiaro che, nel caso di un'aggressione, non sono solo io ad essere aggredito, perché, se sono legato ad alleanze, ho il diritto che anche gli alleati mi aiutino, ma anche gli altri hanno diritto che io li aiuti se vengono aggrediti. Mi pare che questo discorso sia piuttosto semplice e accettabile. In numerosi dibattiti, cui ho partecipato negli ultimi tempi, mi sono state rivolte delle obiezioni incredibili del tipo "ma noi abbiamo firmato degli accordi che superano fortemente l'articolo 11". Io non credo che ci siano, e vorrei comunque conoscerli, questi accordi. Ma se per caso li avessimo firmati, abbiamo il dovere morale di avvertire la controparte che quell'accordo non regge perché è contro la nostra Costituzione. Se poi qualcuno pensa che un accordo internazionale modifichi la Costituzione di uno Stato, allora vuol dire che è nato un diritto nuovo, che non so da quale cranio equilibrato possa essere uscito! L'articolo 11 è caduto in desuetudine, come dice Pietro Ingrao. Ebbene, se però crediamo che gli articoli della Costituzione possano cadere in desuetudine, stiamo attenti perché c'è un articolo che prevede che ogni cittadino ha il diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero e se dovesse andare in desuetudine….

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