ARMI

Armi e armi ancora

Disamina e analisi della Relazione 2004 sull’export di armi italiane.
Giorgio Beretta

Un vero boom, è il caso di dirlo. Si tratta dell’export italiano di armi. Crescono quasi del 30% le consegne effettuate nel 2003 rispetto all’anno precedente passando dai 487,2 milioni di euro del 2002 ai 629,6 milioni di euro dello scorso anno. Ma soprattutto aumentano le nuove autorizzazioni che raggiungono la cifra record dell’ultimo quadriennio toccando 1 miliardo e 282 milioni di euro con un incremento che sfiora il 40% (39,36%) rispetto ai 920 milioni di euro del 2002 quando già si era registrato un aumento del 6,6% in confronto al 2001, anno in cui le autorizzazioni erano di circa 863 milioni di euro. Sono le cifre che si ricavano dall’ultima “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento e dei prodotti ad alta tecnologia” trasmessa dalla Presidenza del Consiglio al Parlamento nel marzo scorso.
Un dato quanto mai preoccupante emerge già dall’esame dei Paesi destinatari delle armi made in Italy. Infatti, se al primo posto del portafoglio d’ordini compare la Grecia con circa 248 milioni di euro (pari al 19,35% del totale), la lista delle autorizzazioni governative prosegue con tre Paesi che sono ai primi posti nelle graduatorie delle violazioni dei diritti umani e delle restrizioni delle libertà civili: la Malesia, destinataria di commesse per circa 166 milioni di euro; la Cina che riceve autorizzazioni per oltre 127 milioni e l’Arabia Saudita con 109 milioni di euro.
Dai vari rapporti di Human Right Watch si apprende che in Malesia, dove per vent’anni è perdurato il regime autoritario del primo ministro Mahathir bin Mohamad, vi sono tuttora “detenzioni arbitrarie di oppositori politici, maltrattamenti e casi di tortura” e Reporter senza Frontiere segnala le persistenti limitazioni alla libertà di stampa del Paese asiatico. Per la Relazione governativa, invece, la Malesia rappresenta “un mercato di notevole interesse per la produzione italiana” destinatario di una “rilevante fornitura di siluri tipo ‘Black Shark’ della Whitehead Alenia per un ammontare di oltre 87,5 milioni di euro”.

Cina e dintorni…
Ancor più esplicita è la violazione della legge italiana ed europea sul commercio delle armi da parte del Governo nel caso della Cina. La riforma della legge 185/90 apportata lo scorso giugno prevede infatti che l’Italia non esporti armi a Paesi “nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite o dell’Unione europea”.
E proprio verso la Repubblica popolare cinese è in vigore un embargo di armi deciso dalla Comunità europea già nel 1989 dopo la strage di piazza Tienanmen e riconfermato lo scorso dicembre dal voto e da una specifica dichiarazione del Parlamento Europeo (approvata con 373 voti a favore, 32 contrari e 29 astensioni) nella quale si afferma che “la situazione dei diritti umani in Cina resta insoddisfacente, le violazioni delle libertà fondamentali continuano, così come continuano le torture, i maltrattamenti e le detenzioni arbitrarie”.
Una denuncia, tra l’altro, ribadita da un documento ufficiale presentato nelle scorse settimane a Bruxelles da Amnesty International nel quale Amnesty ricorda come “la situazione dei diritti umani in Cina presenta ancora un quadro terrificante: centinaia di migliaia di persone continuano a essere arrestate in tutto il Paese in violazione dei fondamentali diritti umani; condanne a morte ed esecuzioni hanno luogo regolarmente al termine di processi irregolari; i maltrattamenti e le torture sono tuttora diffusi e sistematici; la libertà di espressione e di informazione resta fortemente limitata”. Vien da chiedersi, perciò, in base a quali criteri l’attuale
Governo possa permettere la vendita di armi italiane alla Cina: si tratta di sette autorizzazioni per oltre 22,8 milioni di euro rilasciate nel 2002, alle quali vanno aggiunte altre tre rilasciate lo scorso anno del valore complessivo di ben 127 milioni di euro.
Stupisce non poco trovare scritto a pag. 16 della Relazione governativa che “anche nel 2003, fra le autorizzazioni rilasciate, oltre a non esserci alcun Paese rientrante nelle categorie indicate nell’articolo 1 della legge, il Governo ha mantenuto una posizione di cautela verso i Paesi in stato di tensione”. Il Governo si sarebbe avvalso “per i casi più delicati” del contributo di un “Comitato interdirezionale costituito all’interno del Ministero degli affari esteri e presieduto dal Sottosegretario di Stato delegato”. Forse al Comitato e al Sottosegretario sarà sfuggito che è in atto un esplicito embargo dell’UE verso la Cina.

Destinatari di autorizzazioni
E non si capisce come tra i “Paesi in stato di tensione” – verso i quali il Governo avrebbe mantenuto una “posizione di cautela” – non sia stata annoverata la stessa Cina (che ancora recentemente ha minacciato un intervento militare contro Taiwan), o il Pakistan, destinatario di 16 autorizzazioni per complessivi 69,6 milioni di euro, da anni in conflitto con l’India per i territori del Kashmir; o la stessa India, che annovera 37 autorizzazioni per un ammontare di 26,4 milioni di euro; per non parlare della Nigeria, dove gli scontri nella regione petrolifera del delta del Niger sono sempre più frequenti, che ha ricevuto autorizzazioni per 11 milioni di euro o di Israele, al quale lo scorso anno sono riprese le autorizzazioni che hanno raggiunto la “modica” cifra di 2 milioni e 621 mila euro.
Considerando poi che la riforma della legge 185 ha introdotto l’aggettivo “gravi” per specificare le violazioni dei diritti umani, ci si domanda come sia da ritenere la mancanza della libertà di pratica religiosa, di espressione e di associazione visto che all’Arabia Saudita, Paese denunciato da vari organismi per la privazione di queste libertà fondamentali, sono state concesse autorizzazioni per acquistare armi italiane per oltre 109 milioni di euro; o se il “fenomeno diffuso e persistente” della tortura documentato da Human Right Watch per quanto riguarda l’Egitto – che ha ricevuto autorizzazioni per oltre 10 milioni di euro e consegne di armi per ben 41 milioni – non sia da ascrivere alle “gravi” violazioni dei diritti umani.
Se è vero, quindi, che nel 2003 i Paesi della Nato hanno acquisito 565 milioni di euro pari a circa il 45% del totale delle nuove autorizzazioni, in netta diminuzione rispetto all’anno precedente quando avevano raggiunto il 55%, non va però dimenticato che quasi il 44% delle autorizzazioni Nato è assorbito dalla mega commessa della Grecia la quale, con l’acquisto di 12 velivoli C27 in versione militare dalla Alenia Aerospazio per un valore complessivo di oltre 235,4 milioni di euro, da sola costituisce il 18,3% di tutte le esportazioni autorizzate. Tra i Paesi Nato, Osce e dell’Unione Europea si registrano infatti poche autorizzazioni di rilievo tra cui si distinguono quelle alla Francia per un ammontare di 88 milioni di euro (pari al 7% del totale), alla Polonia con 49 milioni (3,8%), alla Danimarca con 40,5 milioni (3,1%), agli Stati Uniti con poco più di 37 milioni di euro (2,9%) e alla Finlandia con 37 milioni (2,9%).
Oggi il mercato italiano di armi si sposta sempre più verso le “zone di tensione” come il Medio Oriente: all’Arabia Saudita (che ha ottenuto autorizzazioni per oltre 109 milioni di euro e la cui fornitura maggiore, pari a 55 milioni di euro, riguarda pezzi di ricambio relativi al programma di cooperazione internazionale Tornado cui partecipano anche Germania e Regno Unito), al Kuwait (35,7 milioni di nuove autorizzazioni) agli Emirati Arabi Uniti (oltre 25 milioni di nuove autorizzazioni e ben 41,3 milioni di consegne), Bahrein (7,2 milioni), Oman (3,3 milioni), Israele (2,6 milioni), Qatar (4mila euro) e la stessa Turchia alla quale sono state rilasciate nuove autorizzazioni per 7,4 milioni di euro e consegnate armi per 20,2 milioni.
Per non parlare della Siria, che ha ricevuto nel 2003 consegne di armi per oltre 55 milioni di euro che fanno parte di una mega commessa da 266,3 milioni di euro firmata nel 1998 alla quale va aggiunta l’autorizzazione del 2002 di 12,5 milioni di euro per “sistemi di visori notturni di puntamento” prodotti dalla Galileo da installare su carri armati T72 di fabbricazione sovietica, la cui destinazione suscita il sospetto di triangolazioni che è urgente verificare: lo scorso anno, infatti, l’amministrazione Bush ha accusato la Siria proprio di aver inviato “visori notturni e altro materiale bellico” all’Iraq di Saddam Hussein, un fatto documentato anche da un’inchiesta pubblicata nei mesi scorsi dal Los Angeles Times (si veda su questo un mio articolo su Missione Oggi 5/2004).
Da non dimenticare infine Cipro, isola europea dell’area medio orientale, che riceve nuove autorizzazioni per 11 milioni di euro. Insomma quello medio orientale si conferma come un “mercato strategico” e in forte ripresa come ribadisce la stessa Relazione governativa dove leggiamo che “dopo aver fatto registrare un volume di vendite fortemente decrescenti negli anni 2000-01, le commesse autorizzate per quest’area che per molti anni ha rappresentato uno dei mercati strategici per le imprese italiane del settore, sono risalite nel 2002 e anche per l’anno in esame si confermano destinazioni di rilievo, con un ammontare di esportazioni pari a 198 milioni 494 mila 552 euro”. Ma non solo.
I nuovi clienti dell’industria bellica italiana stanno anche più a Est e specificamente in Asia che si aggiudica oltre il 32% dello share complessivo di nuove autorizzazioni. Come già detto tra i principali portafogli d’ordine dello scorso anno ci sono la Malesia e la Cina, ma la lista prosegue con i già menzionati Pakistan e India, per continuare con le nuove autorizzazioni rilasciate a Corea del Sud (7,5 milioni di euro), Brunei (4,9 milioni), Bangladesh (4,5 milioni), Singapore (4,4 milioni), fino al quelle minori per Thailandia, Filippine, Taiwan, Indonesia e Giappone. Il tutto per una cifra di 412.538.581 euro. Anche per quanto riguarda l’Africa ci sono novità consistenti.
Sempre la Relazione documenta che lo scorso anno sono state effettuate consegne di armi all’Egitto per un valore di 41 milioni e 813 mila euro (che ne fa la quinta esportazione in ordine di grandezza) destinatario di nuove autorizzazioni per oltre 10 milioni di euro; alla Nigeria dove sono arrivate armi italiane del valore di 3 milioni e 577mila euro e concesse autorizzazioni di oltre 11 milioni di euro per modifiche al sistema di tiro del semovente 155/41 Palmaria della Oto Melara; alla Tunisia (consegne per quasi un milione di euro e nuove autorizzazioni per 700 mila euro); al Marocco (consegne per 216 mila euro e nuove autorizzazioni per ben 3 milioni e 600 mila euro); al Kenya (86 mila euro di consegne), al Sud Africa (oltre 900 mila euro di nuove autorizzazioni), ma anche allo Zambia (consegne per 24 mila euro) e al Ghana (consegne per 17 mila euro).
Per quanto riguarda l’America Centromeridionale la Relazione governativa lamenta invece “un valore complessivo decrescente di circa la metà rispetto al dato precedente”. Il totale delle nuove autorizzazioni è di 24,5 milioni di euro e si tratterebbe peraltro di “esportazioni di non grande entità, a ulteriore conferma del ridimensionamento della presenza della produzione italiana nell’area”. Il “dato decrescente” va riferito soprattutto al 2001 quando l’America Centromeridionale ricopriva oltre il 20% della torta delle autorizzazioni, con Brasile (89,9 milioni di euro) e Cile (73,9 milioni) ai primi cinque posti della tabella dei destinatari. Una lamentela che comunque non sembra giustificata anche perché il Brasile, dopo aver ricevuto 9,8 milioni di euro di autorizzazioni nel 2002, accresce nel 2003 la propria domanda di armi italiane che supera i 14,7 milioni di euro e il Messico passa dai 4 milioni del 2002 a 7,7 milioni di euro. Altre autorizzazioni di minore entità riguardano poi Venezuela, Cile, Argentina ed Ecuador.

Ditte esportatrici
Per quanto concerne le ditte esportatrici, la tabella delle prime dieci vede al primo posto la Galileo Avionica con ordini per quasi 286 milioni di euro, seguita dall’Alenia Aeronautica che ha concluso contratti per circa 259 milioni, dei quali poco più di 235 con la sola Grecia per la fornitura di aerei C27 in versione militare. Si segnalano poi Oto Melara (126 milioni), Whitehead Alenia Sistemi Subacquei (98 milioni), Microtecnica (87 milioni e mezzo), Alenia Marconi Systems (quasi 80 milioni), Agusta (circa 73 milioni), OerlikonContraves (54 milioni), Simmel Difesa (quasi 47 milioni) e Marconi Selenia Communications (poco meno di 40 milioni).
In un anno di forte crescita, aumentano anche le attività degli Istituti di credito, ai quali sono state concesse complessivamente 707 autorizzazioni per lo svolgimento di transazioni bancarie relative a esportazioni e importazioni sia temporanee che definitive, pari a un valore di oltre 1 miliardo e 155 milioni di euro: cifra che segna il top dell’ultimo decennio con un aumento del 50% rispetto al 2002. Un giro d’affari che ha portato alle banche compensi di intermediazione per oltre 42,6 milioni di euro.
Tre quarti delle transazioni degli oltre 722 milioni di euro di esportazioni definitive (vedi tabella) sono state negoziate da cinque istituti bancari: Banca di Roma che con oltre 224,3 milioni si aggiudica oltre il 30% delle operazioni; il Gruppo Bancario S. Paolo IMI che con 91,7 milioni euro migliora lo share dell’anno precedente, quando era del 10%, toccando il 12,7%; Banca Intesa (88,8 milioni euro di transazioni per il 12,3% del totale) che con Intesa BCI (operazioni per 8,5 milioni euro pari all’1,2%) porta al 13,5% la sua performance complessiva (era del 7% lo scorso anno); la Société Générale (70 milioni euro pari al 9,7%) che si aggiudica la mega fornitura alla Malesia e Banca Nazionale del Lavoro (BNL) che con 108 operazioni del valore 69,6 milioni euro raggiunge il 9,6%, in calo rispetto agli ultimi due anni quando ricopriva il 18% del totale.

La Campagna Banca Armate
Una notizia positiva: scompaiono dall’elenco tre istituti bancari che rispondendo all’appello della Campagna di pressione alle banche armate, promossa da Mosaico di Pace insieme a Nigrizia e Missione Oggi, hanno formalmente dichiarato di voler cessare i propri servizi per operazioni di compravendita di armi.
Si tratta di Monte dei Paschi di Siena, Cassa di Risparmio di Firenze e Banca Popolare di Bergamo-Credito Varesino.
Chi invece, continua a comparire nella tabella delle “nuove autorizzazioni” è Unicredit Banca d’Impresa che con 39 operazioni del valore complessivo di 30,1 milioni euro si aggiudica per il 2003 uno share del 4,2%. È venuto il momento che Unicredit cominci a fornire qualche dettaglio in merito a queste operazioni visto che le dichiarazioni dei dirigenti della banca di voler cessare l’appoggio al commercio delle armi risalgono al 2000. Finora la spiegazione è stata che si tratta di “portare a termine impegni assunti negli anni precedenti”.
Dottor Profumo, fino a quando dobbiamo aspettare?

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