Nulla di cristiano
Uno dei maggiori rischi della guerra in Iraq è che possa alimentare lo scontro tra il mondo cristiano e il mondo musulmano, facendo diventare guerra di religione e di civiltà quella che è soltanto una manovra di interessi materiali e di dominio politico ed economico. Credo che questa preoccupazione alimentasse la forza e l’insistenza con cui Giovanni Paolo II scongiurava che non si facesse ricorso alle armi ma si moltiplicassero gli sforzi di iniziative e soluzioni pacifiche.
È ormai chiaro che le alcune potenze occidentali volevano invece la guerra, prima in Afghanistan poi in Iraq, programmandola addirittura prima dell’attacco alle Torri del 2001, che sarebbe stato il detonatore e il giustificatore per le due guerre. Ne sono conferma le menzogne con cui s’è voluto motivare l’invasione dell’Iraq, e la superficialità con cui si sono ignorate tutte le conseguenze umane e sociali.
Che la rivendicazione della libertà e l’espansione della democrazia – che non si impongono certo con le armi ma si testimoniano con l’esempio, e che fra l’altro si sono volute esportare iniziando proprio da uno dei pochi Paesi arabi “laici”, tollerante cioè sul piano religioso, non integralista (ma… ricco del petrolio che fa gola) – fosse in realtà difesa della “propria” libertà e della “propria” democrazia viene purtroppo manifestato dalla leggerezza con cui si distruggono vite umane inno centi (gli errori “collaterali”) e dall’uso rivoltante della tortura, oltre tutto spesso su persone non sottoposte nemmeno a parvenza di giudizio.
La teoria delle “mele marce” – l’imputare cioè le torture all’iniziativa di alcuni soldati inferiori – è ridicola, trattandosi di… panieri di mele marce, che però non potevano essere sconosciute ai superiori, se addirittura non venivano da loro sollecitate e istigate. La tortura come strumento di pressione e di giudizio, che giustamente riproviamo nei sistemi giuridici (anche religiosi!) di alcuni secoli fa, non sono assolutamente ammissibili oggi, tanto più da nazioni che sono state pioniere e maestre di diritti umani e di rispetto per la persona umana. Sarà ormai impossibile persuadere della autenticità e superiorità dei nostri valori di civiltà Arabi che hanno visto la documentazione fotografica di quanto avveniva in quelle carceri. Il disprezzo umano raggiungeva limiti intollerabili quando arrivava a provocare la morte o molestie superflue e umilianti, come l’orinare sulle persone, rivoltolare nelle feci, far mangiare alimenti buttati prima nel water: credo davvero che sia difficile che quelle truppe, anche cambiando la bandiera, possano ormai essere viste come forze di liberazione.
È poi tragico e scandaloso che si sia voluto coinvolgere anche la religione. Costringere alla nudità e ad atti sessuali davanti a donne, obbligare ad alimentarsi di cibi vietati dalla loro religione (come la carne suina o l’alcol), obbligarli addirittura a bestemmiare il loro Dio… questo è rivoltante. Quando si mandano truppe a esportare civiltà e democrazia, bisogna prepararle e controllarle; altrimenti si diventa responsabili delle conseguenze, non solo di annullamento delle proposte positive, ma addirittura dell’istigazione alla resistenza e al terrorismo.
Quelle foto documentano la disfatta morale e umana dei nostri intenti. Il male non sta nelle foto, salvo quando venivano fatte per umiliare ulteriormente i prigionieri. Ora si colpevolizza chi le ha fatte e soprattutto chi le ha diffuse, ché anzi questo è il segno positivo di vera libertà e democrazia (noi, dopo decine di anni, non siamo riusciti a sapere chi ha messo le bombe a Piazza Fontana a Milano nel 1969, o chi ha abbattuto l’aereo civile a Ustica nel 1981!): il vero male è che sia cresciuta nell’opinione diffusa di quell’esercito una mentalità talmente orgogliosa di sé da autorizzarsi a umiliare e ad annientare chi viene considerato di razza, di cultura, di religione “inferiore”!
La “svolta” che si va predicando non può essere solo una modifica d’apparenza che conservi il dominio e gli interessi di chi ha provocato questo disastro e ha manifestato tanta insensibilità; deve davvero mettere quel popolo di fronte a nuove bandiere, a nuovi uomini, convincendoli finalmente che ci si impegna e si lavora (e talora si muore!) non per i nostri interessi, ma per i loro.
Se alcuni nostri capi invocano Dio per giustificare i loro soprusi e le loro deviazioni psicologiche (e patologiche), ebbene non li considerino cristiani. Il Cristo a cui ci appelliamo ha insegnato e praticato il rispetto del prossimo, anche del più piccolo e del più povero, ha insegnato e praticato la nonviolenza, preferendo lasciarsi uccidere piuttosto che uccidere. Chi fa queste guerre, con queste menzogne e queste oscenità, non è cristiano: se lo dice, non gli si creda. Siamo enormemente dispiaciuti che ci sia chi falsamente mette un’etichetta cristiana su comportamenti falsi, violenti, osceni, che non possono essere cristiani perché non sono umani.