GUERRE

Cecenia le radici dell'odio

Una violenza che schiaccia la popolazione civile tra l'esercito e le milizie fondamentaliste. E che si estende anche alla vicina Inguscezia, mentre l'Italia continua a girare la testa dall'altra parte.
Carlo Gubitosa (Paecelink)

(c) Peacelink È triste riconoscerlo, ma sui giornali la vita umana non ha sempre lo stesso valore. Per i media tre ostaggi italiani valgono più dei tre milioni di vittime della guerra in Congo, tremila vittime delle due torri valgono meno dei quarantacinquemila bambini che ogni giorno muoiono per fame e malattie evitabili. In questo “borsino” delle vittime la quotazione della Cecenia ha un valore oscillante. Le vite umane stroncate da questa guerra valgono una prima pagina quando si tratta di azioni eclatanti dei gruppi armati legati al fondamentalismo, ma diventano meno interessanti quando vengono scoperte fosse comuni sui territori controllati dall'esercito della Federazione Russa, come è effettivamente accaduto nel 2001 in mezzo a un assordante silenzio dei media.

Le due violenze
Oggi i riflettori su questo conflitto sono stati riaccesi dalle bombe che hanno esteso anche all'Inguscezia la scia di sangue che parte dalla Cecenia. Un attacco delle forze guerrigliere ha seminato il panico a Nazran, la capitale dell'Inguscezia: i ribelli hanno preso di mira la sede del ministero degli Interni, attaccando con granate e armi da fuoco diversi posti di polizia e installazioni militari anche a Karabulak, Sleptsovskaya e Nesterovskaya. Nel corso di questo attacco hanno perso la vita un centinaio di persone, tra cui il ministro dell'Interno inguscio, Abukar Kostoev, e il suo vice e capo della polizia Ziautin Katiev. Ma le cronache si fermano qui, e non ci raccontano perché le istituzioni della Federazione Russa e i loro funzionari sono diventati improvvisamente degli obiettivi sensibili per i gruppi violenti.

Una guerra dimenticata
1989 - Dopo la caduta del muro di Berlino, inizia un processo di disgregazione dell’Unione Sovietica. Diversi territori dell’Unione proclamano la loro indipendenza e l’autonomia dal governo centrale di Mosca.

1994/96 - Prima guerra in Cecenia.

1990 - La Cecenia proclama la sua separazione dall’Unione Sovietica, con una “dichiarazione di indipendenza e sovranità” ratificata all’unanimità dal parlamento della Repubblica.

1991 - Colpo di stato. Dzokar Dudayev , un ex generale dell’aviazione sovietica, sale al comando della Cecenia.

1992 - L’Unione Sovietica si scioglie ufficialmente. La Cecenia rifiuta l’appartenenza alla Federazione Russa.

1994 - Boris Eltsin autorizza un intervento armato contro la Cecenia. L’esercito russo entra a Grozny ma in seguito gli attacchi dei ceceni costringono al ritiro le truppe della federazione, che cercano un accordo con i guerriglieri.

1996 - La firma di un accordo di pace pone fine al primo sanguinoso conflitto tra la Cecenia e la Federazione Russa, una guerra durata 21 mesi e pagata con la vita di più del 10% della popolazione cecena e di circa 70 mila soldati russi.

1997 - Aslan Maskhadov viene eletto presidente della repubblica Cecena.

1998 - Le truppe regolari dell’esercito ceceno si scontrano con i gruppi armati eversivi legati al fondamentalismo.

1999 - Le truppe guidate da Shamil Bassaev invadono la repubblica del Daghestan. Le città di Mosca, Volgodonsk, Buinaksk e Vladikavkaz sono sconvolte da una serie di attentati dinamitardi. Le esplosioni vengono immediatamente attribuite a “terroristi ceceni”. Lo scoppio della seconda guerra in Cecenia diventa parte integrante della campagna elettorale che porta al Cremlino Vladimir Putin.

2000 - Dalle Nazioni Unite parte una dura condanna, con un rapporto dell’Alto Commissariato per i rifugiati in cui vengono descritte testimonianze oculari di esecuzioni di massa, bombardamenti di colonne di profughi e altre palesi violazioni dei diritti umani compiute dalle truppe della Federazione Russa.

2001 - L’organizzazione statunitense “Human Rights Watch “ documenta la creazione di fosse comuni da parte dell’esercito russo. Per il secondo anno consecutivo, la Commissione per i Diritti Umani dell’Onu adotta una risoluzione in cui si “condanna fortemente l’uso continuativo di una forza indiscriminata e sproporzionata da parte delle forze militari russe”. La Corte Europea dei Diritti Umani dichiara ammissibili due ricorsi presentati contro la Russia, ma dopo gli attacchi alle torri gemelle dell’11 settembre 2001, il cancelliere tedesco Gerard Schroeder invita l’opinione pubblica mondiale a “riconsiderare” il giudizio sul conflitto in Cecenia.

2002 - il Parlamento Europeo approva una risoluzione in cui si afferma che “la crisi in Cecenia si aggrava e che le preoccupazioni riguardanti le violazioni dei diritti dell’uomo da parte di entrambi i belligeranti sussistono”. In Cecenia si svolge un referendum contestato da alcuni osservatori, che denunciano cifre gonfiate per nascondere il numero delle vittime della guerra.

2003 - La popolazione cecena è chiamata alle urne per un referendum costituzionale. La votazione si conclude con il 96% dei voti favorevoli al testo della nuova costituzione, che viene elaborata senza la collaborazione dei rappresentanti ceceni regolarmente eletti, e senza la partecipazione del presidente ceceno Aslan Maskhadov. Le elezioni presidenziali, segnate da un clima di tensione e intimidazione, favoriscono Ahmed Kadyrov, il referente locale dell’amministrazione Putin, che qualche mese più tardi perde la vita in un attentato.

2004 - Le nuove autorità della Cecenia procedono alla chiusura e agli sgomberi forzati delle tendopoli dell’Inguscezia che ospitano i profughi ceceni.
Per capire le radici dell'odio basta conoscere cosa lo alimenta, ovvero la violenza istituzionale e “legalizzata” delle autorità russe, appoggiata e legittima ta anche dall'Italia, che si muove su un binario parallelo a quello della violenza criminale e armata dei gruppi ribelli.
L'altra faccia della guerriglia cecena è la scelta che ha portato l'esercito della Federazione Russa a scatenare tutta la sua potenza di fuoco contro un pezzo di terra grande quanto la Lombardia, colpevole unicamente di essere troppo prezioso dal punto di vista strategico, petrolifero e geopolitico. Gli ultimi attentati non sono il punto di partenza, ma il punto di arrivo di una lunga serie di abusi.
A marzo del 2003 un referendum costituzionale, definito truccato da molti osservatori, ha aperto la strada verso un'elezione presidenziale segnata da minacce e violenze verso i candidati sgraditi al Cremlino, e dopo questa “normalizzazione” legale, le autorità russe hanno dato il via alle operazioni di “bonifica” dei campi profughi, con una serie di sgomberi forzati delle tendopoli che ospitavano centinaia di rifugiati nel territorio dell'Inguscezia.
L'ultimo di questi campi è stato smantellato il 5 giugno scorso, con l'intervento di bulldozer che hanno raso al suolo le ultime tende rimaste. “Nessuno ha offerto ospitalità ai rifugiati dopo lo smantellamento delle tendopoli – racconta Ayub, uno i profughi sfollati – Ci trattano come bestiame. Ci hanno dato solo tre ore per fare i bagagli e andarcene, altrimenti avrebbero bruciato le tende assieme a tutti i nostri averi”.

“Solo ” ceceni
Queste e altre testimonianze sono state raccolte dal “Prague Watchdog”
(www.watchdog.cz), un osservatorio sulla guerra in Cecenia che nei mesi scorsi ha monitorato in dettaglio la “pulizia” dei campi profughi effettuata dalle autorità dell'Inguscezia su mandato del Cremlino, una serie ininterrotta di “bonifiche” che hanno tolto a centinaia di persone anche quel poco che avevano.
La violenza degli attentati mette in ombra anche altri episodi minori. Il 28 maggio il ministero della salute ceceno ha rivelato che il 90 per cento della popolazione soffre di disfunzioni alle ghiandole endocrine, associate alla mancanza di iodio nel cibo. Il 2 giugno a Grozny la polizia ha disperso con la forza un gruppo di donne che si erano raccolte all'esterno del palazzo governativo per reclamare notizie di 1500 familiari scomparsi durante le cosiddette “operazioni di pulizia”. La carica contro le donne è stata ordinata direttamente da Rudnick Dudayev, il segretario del Consiglio di Sicurezza, secondo il quale “tutte queste donne sono madri di banditi”.
A questo si aggiunge anche la recente sentenza di assoluzione che ha salvato dal carcere il capitano Eduard Ulman, un membro delle truppe speciali russe che l'11 gennaio scorso ha ucciso a sangue freddo con i suoi uomini sei civili ceceni. Dopo aver fatto fuoco sul veicolo che trasportava le sei persone, Ulman e tre commilitoni hanno sparato, uccidendo sul colpo, l'insegnante Said Alaskhanov, e successivamente hanno consultato il loro comandante, che ha dato l'ordine di freddare alla schiena il resto dei passeggeri, diventati ormai testimoni scomodi. La giuria popolare che ha assolto Ulman ha dichiarato che il capitano aveva effettivamente compiuto gli atti di cui era accusato, ma al tempo stesso non poteva essere ritenuto colpevole e doveva essere prosciolto per “assenza di reato”: l'omicidio va punito, ma in questo caso si trattava “solo” di ceceni, e poi Ulman aveva solamente eseguito un ordine.

E l 'Italia?
In tutta questa serie ininterrotta di abusi, crimini di guerra e violazioni dei diritti umani l'Italia non ha giocato un ruolo neutrale, ma è stata complice e connivente di quanto accadeva in Cecenia. Nell'inverno del 1999, mentre la popolazione di Grozny conduceva la sua lotta dignitosa per superare l'inverno in mezzo ai bombardamenti, il governo italiano stipulava accordi di cooperazione militare con la Russia. L'italianissima Eni è in prima fila per la costruzione degli oleodotti che portano nel Mediterraneo il petrolio del mar Caspio, e che avranno serie conseguenze per i diritti umani di migliaia di persone che vivono nelle regioni interessate. Nel 2000 l'Italia ha “salvato” la Russia dalla sospensione dal Consiglio d'Europa grazie all'intervento diretto del ministro Dini, che ha offerto garanzie sul rispetto dei diritti umani in Cecenia.
Nonostante la violenza locale e l'abbandono da parte della comunità internazionale, la popolazione cecena sta organizzando con fatica la propria società civile. Tra le iniziative politiche più interessanti degli ultimi mesi c'è il “Premio guerra”, un riconoscimento in negativo assegnato alle persone che hanno dato nell'ultimo anno il maggior contributo al proseguimento delle violenze che feriscono la regione. L'iniziativa, organizzata dal “Social Development Institute” di Nazran, è già entrata nella fase delle “nomination”. I candidati al premio di parte cecena comprendono due expresidenti: Jokhar Dudayev e Akhmad Kadyrov, ucciso in un attentato il 9 maggio scorso, e Shamil Basayev, il leader ribelle che nel 1999 ha scatenato le ire della Russia con una invasione armata del Daghestan. Tra le autorità della federazione russa, invece, i tre candidati al “premio guerra”, sono Boris Eltsin, Vladimir Putin e il giornalista Mikhail Leontyev.

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