CULTURA

Iba Faye e il mondo di sabbia

Dal Senegal all'Italia, l'itinerario di un artista e dei suoi quadri di sabbia.
Monica Di Sisto (Roba dell’Altro Mondo)

Una figura di donna che veste i colori dell'oro, i profili di un villaggio e infinite dune che si rincorrono tra i riflessi caldi del tramonto. Sulle tavole di legno prendono vita paesaggi brillanti e lontani. Tra barattoli di colla e ciotolini di sabbia, mille mani di bambini cercano forme per la propria fantasia. “In Senegal non abbiamo nulla: né petrolio né diamanti. Ma la sabbia sì. Siamo legati: è l'unica materia che mi permette di esprimere la mia arte. Lavorare la sabbia mi fa ricordare l'Africa, ogni volta che la tocco mi sento a casa”.
Iba Faye è un giovane artista, è nato in Senegal e lo incontriamo a Milano, dove espone i suoi quadri di sabbia a Tuttaunaltracosa, la X fiera nazionale del commercio equo e solidale. Nel 2002 le persone che conoscevano i prodotti equi e solidali erano 8 milioni, quest'anno sono ben 12 milioni, con un incremento di quasi il 50% in un solo anno. Ma questo successo non dipende soltanto dalla qualità dei prodotti, o dalla scelta di giustizia che si fa quando si sceglie il frutto di un lavoro pagato adeguatamente, spesso a piccoli produttori esclusi da ogni altra possibilità di vita dignitosa. Tutti i prodotti del commercio equo, ciascuno a proprio modo, raccontano una storia, creano un legame tra persone e culture lontane, costruiscono comunità nuove, un modo diverso di stare insieme e di guardare la realtà.
Nei giorni della fiera, tra le tende dello stand della bottega del mondo Karibuni di Castello Brianza (http://www.missionariconsolata.it/karibuny ), Iba ha messo la http://www.insenegal.org/Iba_Faye.htm sua arte a disposizione dei più piccoli, ai quali ha raccontato i segreti dei granelli brillanti e del deserto. “Ho cominciato a lavorare con i bambini a Dakar, nella mia galleria – racconta – mi faceva male vederli in strada ore e ore, senza avere la possibilità di esprimersi, ma anche di imparare un mestiere che li portasse via di lì, almeno con la fantasia”.
Per Iba è stato difficile trovare la sua strada. Non tanto per motivi economici, visto che suo padre era stato militare di carriera nell'esercito francese. E Dakar è una città culturalmente molto vivace, sede della biennale dell'arte africana

Iba Faye
Sono senegalese, sono nato e cresciuto a Dakar.
Ho frequentato la scuola di belle arti di Dakar dove ho iniziato la mia vita di “artista”.
Sono un pittore che ama mescolare i colori, i colori caldi della mia terra.
Da dieci anni la mi a specialità è quella di creare dei quadri con le sabbie naturali africane…

http://www.insenegal.org/Iba_Faye.htm
Dak'art della quale è stato presidente anche il critico italiano Achille Bonito Oliva. “Sono cresciuto in un quartiere dove vivevano molti artisti – spiega Iba – volevo diventare come loro anche perché dentro sentivo di avere qualcosa che gli altri bambini della mia età non avevano. Insieme alla donna che mi accudiva ho incominciato a disegnare. Cavalli, ancora cavalli, ho riempito il quartiere con i miei fogli. Mia madre non capiva, secondo lei con l'arte non si poteva vivere, anzi pensava che conducesse a una brutta strada. I miei amici, poi, avevano altri sogni. L'aviatore, il notabile: dentro di me c'era l'arte, non potevo rinunciare”.
Il padre scommette su di lui: prima la scuola d'arte nella capitale, poi l'istituto d'arte in Belgio, e di lì Iba torna a Dakar, dove in boulevard Général de Gaulle apre la piccola galleria Positive Art. “Quando ho cominciato a passare intere giornate tra quelle mura, mi sono accorto che vivevo male la presenza dei bambini per le strade. Per più erano bambini senza padre, cui rimaneva solo la mamma, e che non avevano nemmeno il minimo, solo la carità”. Ma a fare colletta sulle strade di Dakar c'erano anche i piccoli allievi delle scuole coraniche. “I bambini delle nostre comunità – racconta Iba – dai quattro anni all'età della scuola, per chi è così fortunato da andarci, vengono affidati dalle famiglie al marabù. È un vero e proprio guru spirituale, legato alla nostra tradizione, che insegna il Corano, le preghiere, ma con il quale impari anche a comunicare con gli altri e a vivere nella comunità. È una scuola di strada, l'unica comune a ricchi e poveri, che si mantiene con i contributi dei genitori e con le collette che due volte al giorno i piccoli allievi raccolgono tra i passanti. Anch'io ho fatto quest'esperienza, insieme ad altri 23 bambini, e mi sono reso conto che il valore degli insegnamenti che avevo ricevuto era stato completamente annullato dalla fatica e dalla paura per quelle giornate passate in strada, nella polvere, tra le macchine. Un valore che, con le strutture giuste e i mezzi adeguati, avrebbe potuto essere senz'altro diverso”.
In miseria oppure no, Iba riviveva la sua esperienza e provava rabbia nel vedere quei bambini tutti i giorni sui marciapiedi, esposti, in pericolo. “È per questo che ho cominciato ad avvicinarli, a giocare a calcio insieme a loro. Piuttosto che dargli dei soldi pensavo fosse giusto insegnare loro un mestiere, e fare quadri da vendere poteva essere una soluzione. A tanti ho raccontato l'arte dei colori e delle forme. Cinque bambini, tre che vivevano in strada e due no, hanno cominciato a lavorare sul serio nella mia galleria, dipingendo e vendendo a cittadini e turisti. (c) Tuttaunaltracosa Avevano una parte artistica nascosta molto bella. Uno in particolare, sordomuto, aveva un talento addirittura superiore al mio. Gli altri bambini copiavano i miei modelli, mentre lui seguiva i suoi disegni. Portava impressa nell'anima la bellezza delle donne che aveva visto riflessa in sua madre e dipingeva quasi sempre volti di donne, spesso riflesse nello specchio. Il suo quadro più bello l'ho portato con me in Italia. E il commercio equo l'ho conosciuto proprio in quel periodo, quando gli amici di Karibuni hanno cominciato a vendere i quadri dei miei piccoli allievi”.
Nel 1998 Iba incontra attivisti della Cgil di Lecco, che gli propongono di allestire una mostra in Italia per raccogliere fondi e costruire un piccolo ospedale a Betenti, un'isoletta senegalese. “Sono arrivato a Lecco direttamente dall'aeroporto – ricorda Iba – mi ha colpito la diversità dei colori, gli odori più lievi, i rumori molto più attutiti. Ho cercato di trasformare la nostalgia che provavo in forza, è come se i miei quadri di sabbia abbiano preso vita da questa distanza”. Da quel momento è cominciata la sua sfida italiana: proporsi come artista, sconfiggendo lo stereotipo dell'immigrato alla deriva. “Ho avuto alcuni momenti molto difficili: sono stato insultato, un paio di volte persino aggredito. Mi chiedevo: che cosa faccio qui? Mi ripetevo: sono malvisto. Poi ho capito che ero io a dovermi creare uno spazio, ho deciso di costringere quelle stesse persone a conoscermi davvero”. L'occasione si è presentata tre anni fa, con il raduno estivo d'arte a Suvero, in provincia di La Spezia: “Ricordo alcune scene abbastanza paradossali: gente che chiudeva le persiane, si dava di gomito. Non ho voluto giudicare, mi sono forzato a superare il mio orgoglio e ad aprirmi una strada tra di loro. Oggi mi conosce tutto il paese, non c'è casa dove non sia stato, hanno scoperto che Iba è una bella persona e ho trovato dei buoni amici”.
Oggi Iba Faye vive a Sanremo, lavora in una bottega del centro storico, ma anche in Italia sono stati i bambini a prenderlo per mano: “Abbiamo ricominciato a Suvero a giocare insieme con la sabbia, proprio come succedeva in Africa. Alcuni erano curiosi, altri spaventati. Una bambina, ad esempio, mi si è avvicinata e mi ha strusciato le dita sulla mano, come per capire di che tipo di colore fossi coperto. Poi si è vergognata, ma io le ho teso la mano e le ho fatto affondare le mani nella sabbia”. I bambini italiani, al contrario dei piccoli africani, non hanno confidenza con la terra, “La toccano con due dita – rivela Iba – solo con il tempo riescono a tuffarci le mani e a far brillare i colori. Ma è proprio come se attraverso quei colori e quell'esperienza nuova riescano a conoscere la mia terra e me, la loro terra e se stessi fino nell'anima. Così io riesco a insegnare loro a esprimere tutto quello che hanno in fondo al cuore, che vadano oppure no, che sentano oppure no. In questa generazione di bambini c'è qualcosa di diverso. Sono curiosi dei mondi dai quali gli altri provengono, vogliono capire e capiscono di essere in un mondo ricco di diversità, di colori, di sfumature. Basta aprire una piccola strada e corrono incontro al mondo”. Basta poco: una piccola strada di sabbia.

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