PAROLA A RISCHIO

Capaci di ascolto

Gesù ci insegna a chiedere con umiltà piuttosto che presumere risposte e distribuire certezze.
Tonio Dell'Olio

Allora Gesù gli disse: “Che vuoi che io ti faccia?”. (Mc 10, 51)

Quasi non ce ne fossero state altre nel racconto, eccoci di fronte da un'altra svolta inattesa: Gesù, rivolgendosi al cieco chiede: “Che cosa vuoi che io ti faccia?”. C'è tanto di punto interrogativo. È una domanda vera e propria e non una richiesta retorica. Sulle nostre labbra, ci sarebbe da scommettere, avrebbero trovato posto immediatamente le parole di risposta al suo evidente bisogno. Gesù invece non fa finta di chiedere e in questo versetto non siamo di fronte a un artificio letterario: Gesù rivolge realmente una domanda a Bartimeo! E si tratta di una domanda che pone la sua stessa persona al servizio dell'altro. È accoglienza e disponibilità, è incontro e libertà. Gesù non presume, non dà per scontato, né colonizza l'altro con la propria sapienza restringendogli spazi di vita.
L'altro gli sta di fronte, alla stessa altezza, quasi a indicare che anche l'incarnazione non è un modo di dire, una sorta di fiction, è assolutamente reale e concreta al punto da accoglierne tutte le conseguenze. E Dio si lascia Donne in ascolto finalmente guardare negli occhi dagli uomini, a tu per tu! Non vi pare che in questa domanda semplice di Gesù a Bartimeo ci viene indicata una pedagogia? Sembra quasi che il Cristo si rivolga ai discepoli di ogni tempo, alle Chiese, alle donne e agli uomini di buona volontà… per implorare di non presumere, di non fornire sempre e soltanto risposte, ricette, indicazioni certe, sicurezze e verità, ma di essere in grado di porre domande.
Di essere umili cercatori delle risposte degli altri, piuttosto che portatori, a volte arroganti, delle nostre certezze. Una comunità credente che ha il coraggio e l'umiltà di chiedere, non solo si libera dalla tentazione di chi presume sempre di avere delle risposte già confezionate in tasca, ma si dispone a vivere la virtù dell'ascolto. Solo chi ha l'umiltà di chiedere, ascolta veramente e non fa finta. Quanto ci sarebbe bisogno anche oggi di una Chiesa capace di fare anche domande e non soltanto di distribuire orientamenti morali, certezze dottrinali, verità di fede! La Chiesa che ha riempito di speranza il mondo non è quella che emerge dai documenti dotti e inamidati della Congregazione per la Dottrina della Fede, quanto quella della Lumen gentium e della Gaudium et spes, in cui la comunità cristiana comprendeva l'importanza e il privilegio di porsi sui passi di un Maestro che indica la via dell'ascolto.
L'ascolto delle gioie e delle speranze del mondo, ma anche delle fatiche e delle ferite, dei fallimenti e della fierezza di un'umanità in cammino, di un creato che canta inni coi suoi colori e le sue stagioni, di una storia sempre gravida e sempre in procinto di partorire. Una Chiesa che proceda esclusivamente dalla nobiltà della propria ricca tradizione dottrinale piuttosto che dalla condivisione delle fatiche della terra, non solo rischia di ignorare il grido dei tanti Bartimeo, ma addirittura di essere condannata a non essere ascoltata e compresa. Persino nell'esercizio della carità, laddove ci si è attrezzati con dei centri di… ascolto, troppo spesso si deve constatare quanto, a dispetto del titolo e della retta intenzione iniziale, questi si siano trasformati piuttosto in centri di risposte preconfezionate a seconda della tipologia di bisogno e di povertà.
Manca in tutto questo la capacità di guardare negli occhi la persona che si ha di fronte. Si nega la possibilità che Bartimeo possa essersi già alzato e che abbia raggiunto la nostra stessa quota di dignità fino, appunto, a poterci fissare negli occhi. Non si coglie la sfida della tipicità, singolarità, individualità, irripetibilità di quella vita che incontriamo. Manca il coraggio di credere che Dio mi parla anche nelle frasi sconnesse di un ubriaco, nelle visioni di un cieco, nelle illusioni di un barbone… Non c'è l'apertura che possa farci almeno sospettare che Dio frequenti anche lingue come il senegalese, l'arabo, il dinka, il rumeno, lo swahili… E in quel caso siamo noi a perderci un'opportunità e non solo coloro che riceveranno una risposta con i piatti di plastica della mensa appositamente approntata, orgoglio della nostra azione pastorale caritativa!
La domanda di Gesù è destinata a intercettare il bisogno più profondo e più reale dell'altro e non solo quello che viene espresso a parole. Tant'è che la richiesta di recuperare la vista da parte di Bartimeo, viene compresa dall'ascolto profondo del Cristo, come esigenza di riscatto, di liberazione completa e integrale, di pienezza. Se fossimo capaci anche noi di ascoltare il vissuto profondo di quanti continuiamo a escludere dalla piena comunione, forse riusciremmo meglio a essere riflesso della misericordia di un Dio che non esclude mai nessuno. Nei confronti di Bartimeo, la risposta di Gesù sarà senza misura, sovrabbondante, molto al di sopra della richiesta esplicitata.

Caro Bartimeo,
fratello di tutte e tutti coloro che affollano le retrovie ignorate della storia. Questa volta vorrei tanto tu ci regalassi il sobbalzo del cuore che si prova di fronte al Dio capace di domandare invece che di fornire risposte. Sai, sembra quasi che sia stato lui, il Figlio di Davide, a rivolgerti una preghiera piuttosto che tu a supplicarlo. La sua richiesta ha prevenuto la tua, la sua umiltà ha sopravanzato la tua umiliazione quotidiana nel margine della strada di Gerico. Si dice che all'origine di ogni peccato vi sia sempre l'egoismo o l'orgoglio. Il primo è il rifiuto di dare e il secondo quello di ricevere. Forse non immagini quali devastazioni sta operando nel mondo un egoismo che assume persino forme e dimensioni collettive e planetarie, ma nel contempo anche l'orgoglio ci chiude in noi stessi rendendoci muti e sordi alla comunicazione autentica, fino al punto da considerare umiliante anche il chiedere in prestito, il domandare un aiuto.
In questa logica anche la preghiera in cui ammettiamo la presenza di Colui che è grande nell'Amore, diventa umiliazione insopportabile agli occhi di un animo che si considera egli stesso onnipotente. Eppure è esattamente in questo incontro umile che tu hai sperimentato con sovrabbondanza di grazia, in questa dinamica che si realizza il senso più profondo del Dio che si fa uomo, debolezza e fango. Aiuta pertanto noi e le nostre Chiese a vivere per intero il linguaggio, lo stile e le conseguenze dell'incarnazione quotidiana a cui il Figlio dell'uomo ci chiama. Aiutaci a impastare culture, fedi e umanità in quell'alba di sogno che si chiama liberazione. Incalzaci tu verso moti di fraternità che non tradiscano guardando dall'alto in basso e abbiano sempre il coraggio di riconoscere un pezzo di se stessi nell'altro.
Aiutaci, Bartimeo, a capire che camminiamo in cordata e che il proprio destino non è indifferente a quello degli altri. Suggerisci dolcemente alla mia Chiesa-madre di non lasciare impolverare il grembiule nell'armadio e di scendere lungo le strade, di incrociare il passo delle donne e degli uomini, delle loro fatiche e delle loro gioie e, col grembiule ben stretto alla vita, obbediente alla testimonianza del Salvatore, finalmente si rivolga ad ogni passante: “Che vuoi che io ti faccia?”

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