CHIAVE D’ACCESSO

Un'e-mail a Kimbau

Alessandro Marescotti

Ho un amico prezioso, Paolo Moro. È un volontario dell'Aifo (Associazione Italiana Amici di Raoul Follereau) che ha deciso di aiutare in Congo la dottoressa Chiara Castellani, nel lontano villaggio di Kimbau. La vita straordinaria di Chiara è narrata in un libro di recente pubblicazione: “Una lampadina per Kimbau” (Mondadori). Paolo la affianca nella realizzazione del complesso progetto di impiantare una piccola centrale idroelettrica per portare l'elettricità e con essa l'acqua nell'ospedale. È un vecchio ospedale del periodo coloniale. Lasciato dai belgi negli anni Sessanta era abbandonato e fatiscente, ma Chiara lo ha voluto ugualmente rimettere in funzione. Ora il suo sogno è quello di farvi giungere l'acqua, che oggi viene portata a forza di braccia e di gambe con i bidoni. Infatti non c'è elettricità e non c'è una pompa. Il piccolo gruppo elettrogeno dell'ospedale non ce la fa a “succhiare” l'acqua dal fiume. “Abbiamo soltanto l'acqua della cisterna che durante la stagione secca si rivela inadeguata per garantire uno standard minimo d'igiene”, spiega Chiara Castellani.
Il progetto dell'Aifo mira a portare l'acqua anche nelle altre strutture scolastiche e collettive della zona. Chiara e Paolo hanno la testa dura.
È bello mantenere i contatti con persone così preziose. “Ti potrò scrivere una lettera a Kimbau?”, chiedo. Paolo risponde: “In Congo non ci sono i postini. La posta giunge solo nelle grandi città e va ritirata a mano dalle caselle postali. A Kimbau non giunge la posta, siamo lontani”. Kimbau è ai confini con l'Angola nella regione occidentale del Bandundu. Vari villaggi vi ruotano attorno: oltre centomila persone con una sola dottoressa, Chiara Castellani. Partendo dalla capitale Kinshasa ci vogliono almeno due giorni per arrivarci, nonostante siano solo 500 chilometri. Ci vuole una jeep robusta. Si procede a 20 km/h sobbalzando su strada sterrata. “Nella stagione delle piogge – mi spiega Paolo – ti impantani nel fango, nella stagione secca la jeep si insabbia. I camion creano solchi enormi e a volte diventa impossibile proseguire. Allora crei un percorso alternativo. Vai sull'erba alta fino alla testa, controlli che non vi siano fossi, stai attento ai termitai e ad altre sorprese e… con la jeep ti fai una nuova strada fuori del percorso tracciato”.
Sembra proprio impossibile mantenere i contatti con Kimbau, ma Paolo mi illumina: “Scrivi una e-mail a Kimbau”. Infatti proprio lì – dove non arriva l'elettricità, l'acqua, il telefono e neppure il postino – arriva l'e-mail. Come? Un piccolo gruppo elettrogeno alimenta il computer. L'e-mail viaggia su

Per saperne di più
Notizie sul progetto di Kimbau sono su: http://www.aifo.it
Altro riferimento:
http://italy.peacelink.org/pace/indices/index_1417.html
Sul packet radio, cfr.:
http://www.geocities.com/acoslovich/txd/txd-pkt.htm
onde radio: è il “packet radio”. Nel 1996 – quando Enrico Marcandalli, Carlo Gubitosa e io scrivemmo “Telematica per la pace” – temevamo di essere criticati proponendo efficienti tecnologie “per ricchi”: le zone povere del Pianeta non sarebbero rimaste tagliate fuori dalla rete telematica? Cercammo allora delle alternative per il Terzo mondo. E scoprimmo appunto il packet radio: “L'interscambio telematico via etere – scrivevamo – è basato su una tecnica per radioamatori chiamata packet radio che fonde le tecnologie informatiche con le tecniche di trasmissione radio, rendendo teoricamente possibile il collegamento telematico con i popoli della foresta amazzonica”. Ora finalmente possiamo osservare il packet radio in azione. È la conferma che un'altra telematica è possibile. Si inerpica sui sentieri dei poveri e dà voce a Kimbau. “Quando l'e-mail funziona – dice Paolo – ci si sente legati al mondo, quando non funziona si è tagliati fuori e si va in angoscia. Una volta abituati a essere collegati con gli altri come si può tornare indietro?”.

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