Giù le mani dai bilanci dei Comuni
La manovra finanziaria del governo (decreto tagliaspese), approvata a luglio con il voto di fiducia del Parlamento, ha avuto effetti pesantissimi sui bilanci delle amministrazioni locali, con forti riduzioni della spesa e della propria autonomia.
Il grido d'allarme è stato lanciato da tutti i comuni d'Italia, grandi e piccoli. A Venezia l'assessorato alle politiche sociali è stato listato a lutto e “impacchettato” con la scritta “Chiuso per i tagli del Governo”. I sindaci, senza differenze di colore politico, hanno denunciato di dover tagliare pesantemente servizi essenziali, con il rischio che ciò produca conseguenze drammatiche sui soggetti più deboli.
Un taglio netto del 10% su bilanci già approvati, su progetti già operativi, modificando regole e principi finanziari a metà anno. Ancora una volta si dimostra l'incapacità del Governo Berlusconi ad affrontare la crisi economica. Invece di ridurre la spesa statale (fuori controllo) e regionale, scarica il peso sui Comuni. Se poi si pensa alla manovra di 24 miliardi di euro prevista per la finanziaria del 2005 e a quali e quanti altri tagli verranno imposti, continuare a promettere la riduzione delle tasse, appare come una avvilente presa in giro.
L'operazione taglia spese e servizi, oltre a essere sconvolgente per le modalità con le quali è intervenuta (patto di stabilità al 30 giugno, senza preventiva notifica), svela con lampante chiarezza la volontà di Palazzo Chigi di intaccare il sistema di welfare urbano (servizi sociali, culturali, sportivi) peggiorando la qualità della vita di una intera comunità. Molte amministrazioni hanno scelto da tempo di mettere al primo posto l'elaborazione di politiche di prevenzione che rovescino i soggetti deboli da rischio a risorsa, anche attraverso quel bilancio partecipato che vuole coinvolgere nelle scelte della città i giovani, i bambini, i portatori di handicap, gli anziani, l'associazionismo di base.
Ma dove colpiranno i tagli? Un documento dell'Anci, l'associazione che raccoglie tutti i Comuni d'Italia, chiarisce: smaltimento e raccolta rifiuti, energia elettrica e illuminazione pubblica, manutenzione ordinaria degli immobili, servizio idrico, politiche per la mobilità e trasporto pubblico locale, servizi sociali (anziani, disabili, asili nido, mense scolastiche, scuolabus), cultura, sport, spese di economato (cancelleria, carburante, utenze telefoniche, spese postali, ecc.).
C'è una deriva centralistica sui bilanci, anche se questo Governo tenta di spacciarsi per federalista. È paradossale, infatti, che le forze politiche del centro-destra parlino, discutano, minaccino crisi sul tema della devolution, mentre invece gli atti concreti vanno in tutt'altra direzione, verso un progressivo soffocamento di quell'autonomia di governo che passa anche attraverso la capacità propria di spendere nei limiti delle proprie entrate.
Ciò che fa ancor più male di fronte a questa politica sono le scelte compiute, come ad esempio quella di togliere i soldi ai Comuni e di lasciarli invece al Ministero della Difesa. La concomitanza tra il decreto tagliaspese del Governo e l'inaugurazione della nuova e più grande portaerei italiana dà l'idea di quanto ancora le lobby industrial-militari condizionino le scelte politiche. L'Italia spende per la “Cavour” un bel mucchio di soldi: 900 milioni di euro, più le spese per l'armamento che si aggirano attorno ai 250 milioni di euro, mentre contemporaneamente impone ai Comuni il taglio delle spese correnti per un miliardo e 52 milioni di euro: il costo della portaerei. Un esempio di “stridente contraddizione rispetto alle condizioni di impoverimento di milioni di cittadini”.
E poi come mai i tagli non riguardano gli investimenti, le grandi opere e i lavori pubblici (ponte sullo stretto di Messina, il Mose a Venezia, ecc.)?
Sempre l'Anci ha chiesto modifiche al decreto e il ritiro della parte relativa al taglio del 10% della spesa per beni e servizi. A ciò è stata aggiunta la richiesta che la finanziaria del 2005 non contenga ulteriori tagli ai trasferimenti e ai livelli di spesa dei Comuni.
Accanto alla protesta, agli ordini del giorno, agli atti simbolici come la consegna delle chiavi delle città, si sta ipotizzando di scegliere la strada della disobbedienza civile. Qualcuno pensa di non applicare il decreto. E i Comuni ribelli potrebbero essere esclusi dal patto di stabilità e penalizzati dal punto di vista dei trasferimenti. Ma lo avrebbero fatto con l'intento di non dover scaricare quella parte di città più debole e indifesa che invece va posta al centro della politica.