L'acqua nelle religioni
Come ha fatto ben rilevare Jean Rudhardt, nei mondi religiosi l'acqua assume significati complessi e di non facile decifrazione, proprio perché mai univoci e chiari all'interno di ogni singolo contesto. La complessità è tale da poter affermare, senza tema di smentita, che il valore simbolico dell'acqua negli orizzonti del credere tollera in sé le stesse ambiguità del sacro: essa, da un lato, rappresenta, con la sua fluidità, l'indistinzione che precede la nascita del mondo; da un altro, con la sua forza e la sua violenza, diviene ciò che distrugge, corrode e ricopre; da un altro ancora,
I più colpiti sono le popolazioni dei Paesi in Via di Sviluppo che vivono in condizioni di estrema povertà, tanto in città quanto nelle campagne.
Le principali cause di tali problemi sono rinvenibili nella scarsità di risorse economiche, nella carenza di sostenibilità dei servizi di rifornimento, di acqua e sanità, nella scarsa igiene e pulizia inadeguata di strutture pubbliche quali ospedali, centri di salute e scuole. Per ridurre le malattie causate da questi fattori di rischio è molto importante fornire accesso, in quantità sufficienti, di acqua sicura e servizi sanitari.
Fonte: OSM (Organizzazione Mondiale della Sanità)
Ovviamente, non potendo dar conto di tutta la varietà delle connotazioni simboliche in queste brevi righe, occorrerà limitarsi a individuare alcune grandi categorie dentro cui collocare i sostrati mitici più disparati, ma con l'avvertenza che questa operazione, seppur necessaria, finirà col tradire alcuni risvolti specifici insiti nei differenti percorsi di senso.
In principio era acqua
Il primo livello è, dunque, quello dell'indistinzione, direttamente connesso ai miti cosmogonici, ossia quelli che narrano la creazione. Le acque, in questo senso, sono la “totalità delle virtualità”, per dirla con M. Eliade, ossia sono l'assoluta potenzialità, il simbolo di tutto ciò che può cominciare a essere, proprio perché contengono tutte le forme che l'azione creatrice farà emergere. Le acque dei primordi sono indistinte, amorfe, fluide, ma racchiudono tutte le possibilità dell'essere, positive e negative, come dimostra una delle più celebri cosmogonie acquatiche, contenuta nell'Enuma Eliš babilonese. Secondo questa visione mitica, infatti, l'oceano primordiale è composto dalle acque dolci del dio apsu, da cui si originerà la terra, e da quelle salate di tiamat, orrorifiche e popolate di mostri tremendi, che verranno vinte dal dio guerriero Marduk.
L'indistinzione, poi, è anche la caratteristica principale di Nun, l'oceano che precede ogni creazione secondo le cosmogonie egizie di Eliopoli ed Ermopoli, dal quale prende avvio ogni realtà e, per prima, quella degli dèi. Il caos acquatico è, dunque, un leitmotiv delle religioni antiche, che consideravano l'acqua matrice di ogni concretezza anche perché la vita di quei popoli era legata in modo indissolubile alla presenza e all'abbondanza dell'acqua stessa. Per gli antichi, infatti, così come la terra proviene dal liquido indistinto, allo stesso modo ogni singolo uomo promana dalle acque materne, simbolo microcosmico di quell'oceano primordiale da cui tutto è scaturito.
Tale sostrato mitico rimane ancora oggi evidentissimo in molte culture tribali, per le quali morire costituisce un vero e proprio ritorno alle acque dell'indistinto: per gli zuni, ad esempio, gli antenati risiedono in un
Al Vertice di Johannesburg, uno degli impegni assunti dai governi del mondo con la Dichiarazione del Millennio dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite è stato quello di “dimezzare entro il 2015 il numero delle persone che non hanno accesso a una fonte d’acqua potabile e a servizi igienici adeguati”. Si tratta di un obiettivo cruciale.
Attualmente, infatti, 1,5 miliardi di persone nel mondo non hanno ancora accesso all’acqua potabile, 2,5 miliardi non possono utilizzare servizi idrici sanitari, 5 milioni di individui, in particolare bambini, muoiono ogni anno di malattie dovute alla pessima qualità dell’acqua.
L’ONU lancia contemporaneamente un appello a tutte le componenti della società civile chiedendo di contribuire al raggiungimento di questo obiettivo.
Il tema del diluvio
A questo livello neutro di significati, se ne aggiunge un secondo di segno in parte più negativo. Nel patrimonio scritturale e sapienziale di molte tradizioni religiose, infatti, compare il tema del diluvio, che assegna all'acqua il compito di cancellare e di annientare la creazione o gran parte di essa, macchiatasi di qualche colpa di ordine rituale o etico. Le acque del diluvio si riconnettono alle acque dei primordi nel senso che, come quelle degli inizi furono la fucina di tutto ciò che esiste, così le acque devastatrici hanno il compito di annientare per ri-creare, ri-generare un'umanità e un ordine naturale corrotti, rendendoli nuovi attraverso l'immersione. In particolare, l'umanità colpevole è destinata a scomparire per riapparire identica nella forma, ma rigenerata nella sostanza.
Le acque, dunque, cancellano le comunità umane ormai irrimediabilmente contaminate e non più reintegrabili, ma non segnano la fine definitiva del tempo e dell'esistere, perché ad ogni diluvio fa seguito un nuovo inizio, una riapertura del ciclo vitale. L'uomo vecchio è cancellato, ma gli dèi, il Dio, o, più in generale, il divino non perdono fiducia nell'idea stessa della creazione, che torna infatti a splendere di nuovo, rigenerata, diversa e, insieme, uguale a se stessa. Il diluvio, quindi, porta in sé i segni di una concezione pessimistica dell'umanità, come irrimediabilmente corrotta e impura, ma, nel contempo, ospita un'idea ottimistica dell'uomo e del creato, cui vengono offerte nuove possibilità.
Accanto all'accezione solo parzialmente distruttiva del diluvio, occorre rilevare che l'acqua può assumere nei contesti religiosi anche significazioni più chiaramente negative. Per i Greci, ad esempio, il mare era popolato di mostri, alcuni dei quali figli del dio Ponto, quali le Gorgoni e l'Idra, come di mostri era popolato anche il mare dell'Antico Testamento, basti pensare al Leviatano nel libro di Giobbe. Questa visione a tinte fosche era legata, ovviamente, alla concezione molto diffusa tra
Sempre nel 2002, 87 su 98 aziende di acque minerali, sottoposte a esame dal Ministero della Salute – denuncia l’Associazione di consumatori – sono risultate fuorilegge, e il 37% degli stabilimenti non sarebbe in regola. Il Ministero della Salute ha chiesto nuove analisi su 400 aziende del settore e l’Unione Europea ha richiamato l’Italia a norme più rigorose.
Fonte: http://News2000.libero.it
Una nuova nascita
Ma è innegabile che il significato simbolico dell'acqua nei mondi religiosi sia perlopiù positivo e salvifico. L'immersione nell'acqua, di cui il rito del battesimo è uno degli esempi più noti, riconduce proprio all'idea della cancellazione, della dissoluzione delle forme precostituite e, quindi, del peccato. Immergersi significa essenzialmente dissolvere, sciogliersi in una realtà più grande e assoluta, perdersi e morire a se stessi, mentre l'emersione corrisponde a una nuova nascita, a una trasformazione radicale e rigenerante.
È con questa precomprensione, ad esempio, che il credente indù si affida alle acque, possibilmente quelle correnti del fiume, ogni mattina, desiderando ardentemente rinnovarsi e purificarsi. E, mentre si immerge, le sue labbra recitano versetti degli antichi testi sacri, i Veda, e le sue mani, congiunte a coppa e piene di liquido attinto dal fiume, si levano sopra il capo per aprirsi e abbandonare nuovamente l'acqua alla corrente. L'acqua che è parte della totalità, che vive dentro e fuori ogni essere umano, è capace di riconnettere il corpo alla natura grazie al suo potere uniformante. È sempre l'acqua a trascinare via con sé le ceneri del defunto dopo che la combustione del corpo ne ha elevato lo spirito al cielo, quasi a significare che tutto, costantemente, è inserito in un circolo perenne di trasformazione.
Così, allo stesso modo, il musulmano ricorre all'acqua per purificarsi prima di iniziare le preghiere rituali, affinché bocca, naso, occhi e orecchi, oltre alle articolazioni e al capo, possano disporsi puri alla rivelazione del Corano, alla voce di Allah che risuona nelle parole stesse contenute nel testo sacro. E ogni singola abluzione è accompagnata da un'invocazione, affinché, ad esempio, Dio aiuti l'orante a sentire il profumo del paradiso, a sentire veramente e nella sua sconvolgente essenza di bellezza, la parola. E il senso della sottomissione come abbandono a Dio, che ogni buon musulmano deve tentare di praticare, viene metaforicamente interpretata dal grande mistico Al-Din Rūmī proprio come un annegamento nell'oceano divino. In un celebre dialogo tra il mistico e Dio, infatti, Allah così apostrofa l'anima inquieta di Al-Din Rūmī: “Tu sei del mio oceano la goccia: a che più parli ancora? Annégati in me, e l'anima conchiglia abbi piena di perle”.
Nell'elemento dell'acqua, dunque, l'uomo religioso riesce a far convergere il credente, il mondo, l'intero universo e Dio stesso, come dimostrano chiaramente anche le religioni afroamericane, come il Candomblé brasiliano che annovera ben tre divinità dell'acqua: la grande dea Yemanjà, divinità del mare, Oxun, dea dell'acqua dolce e signora dell'eros, e Nana-Buruku, dea delle acque paludose. Yemanjà, infatti, è una madre potente che conferisce una forma esistenziale alle divinità trattenendole nel suo liquido amniotico e partorendole all'individuazione; la giovane e avvenente Oxun, invece, è signora dell'acque dolci e insieme dea dell'amore, a sottolineare in modo lampante come l'acqua sia il simbolo per eccellenza di quella vita che l'esercizio dell'eros garantisce; infine, Nana-Buruku è l'anziana dea delle acque ferme e paludose, mortifere di per sé perché corrotte, impure, mischiate al fango che le contamina.
Attraverso le simbologie acquatiche, dunque, il credente medita, nell'evidenza della natura, sull'evolversi dell'esistenza terrena, che è nascita, crescita e morte, ed è sempre attraverso l'acqua, nelle cerimonie ad essa connesse, che il credente supera la dimensione terrena, venendo purificato da ogni corruttela possibile e rinascendo ogni volta nuovo interiormente.
Le religioni, dunque, prelevano le loro simbologie dal mondo naturale, che è teologia manifesta, e che, nelle infinite sfumature del suo mostrarsi, riesce a interpretare bene quel senso di complessità, di inafferrabilità e, spesso, anche di incomprensibilità, che caratterizza Dio, gli dèi o il divino in genere.