EDITORIALE

Chi sta al timone…?

La redazione

La nave bianca del movimentismo cattolico è in mare. Ha mollato gli ormeggi per salpare. Ma sono in tanti, fermi sulla banchina a scrutare i marosi dei nostri tempi, le correnti e il bollettino metereologico per capire. Per capire innanzitutto chi sta al timone.
Dal momento che non sembrano sorte leadership talmente forti, condivise, universalmente riconosciute da proporsi come capofila… sarebbe molto importante comprendere se il comandante fa davvero parte dell'equipaggio oppure si tratta dell'armatore che veste ora anche quei panni. Gelosi dell'autonomia del laicato sancita solennemente con il vento del Concilio (quando c'erano le barche a vela!), non vorremmo che a suggerire la rotta anche nel dettaglio della navigazione fosse ancora una volta la Conferenza Episcopale Italiana. Sarebbe una manovra miope e azzardata come il comando di “indietro tutta”. In questo caso ci si illuderebbe soltanto di avere la nave piena di passeggeri. Tutt'al più si potrebbe trattare di una nave da carico, da trasporto merci, da commercio e non di una nave passeggeri.
A noi pare che il problema principale della Chiesa attuale sia piuttosto quello di ricucire la sua frattura con i credenti, o, più schiettamente, la frattura tra fede e vita. Il problema è così vasto che, ormai nemmeno più sottovoce, si parla di “scisma sommerso” da parte dei credenti, di un abbandono di fatto del cattolicesimo, nel quotidiano, della rinuncia a riconoscervi un insieme di valori utili a orientare concretamente la vita odierna. In molti casi poi, l'equipaggio si è professionalizzato, ha maturato competenze e qualità e non sembra più tanto disposto a lasciarsi trasportare secondo rotte di avventure già conosciute.
Ci sono voluti quasi quindici anni per elaborare il lutto della perdita del partito cattolico. Quindici anni per convincersi che il muro non era caduto solo a Berlino ma anche nel nostro Paese, ponendo irreversibilmente fine alla frattura tra “laici” e “cattolici”. Quindici anni per capire che il terremoto che aveva mandato in disordine il pianeta, a maggior ragione imponeva una profonda ridefinizione dei rapporti della Chiesa con la società italiana. In questi quindici anni ci sono stati “cattolici” che hanno preferito navigare in flotta piuttosto che in solitaria e hanno cercato temi, sfide e valori che costituissero una vera e propria mappa di navigazione comune anche al mondo laico visto che i muri ormai erano caduti. Parliamo di quello spazio di “valori agiti”, con elevata credibilità e vasto consenso, all'interno del composito arcipelago dei movimenti di volontariato, della solidarietà, della pace.
Ora, integrandoli all'interno di un disegno omogeneo si conta di riuscire a ricucire lo strappo con la società italiana e, magari, nel contempo di garantire loro anche una più efficace tutela del robusto drappello di opere che, in alcuni casi, come in quello della Compagnia delle Opere di Comunione e Liberazione, raggiungono un volume d'affari davvero ragguardevole. È questa la rotta che si vuole seguire? Se così fosse, saremmo di fronte a un'altra occasione perduta. Il mondo, e anche la società italiana non hanno bisogno di una Chiesa che si fa parte tra le parti, negoziando i suoi spazi di rappresentanza. Oggi più che mai, il mondo e questa società italiana abulica e “a pile scariche” avrebbero bisogno, al contrario, di una Chiesa che tragga lo slancio per costruire coscienze libere, capaci di assumersi la responsabilità di stare nel mondo. Una Chiesa autonoma, critica, partecipe delle “cose del mondo”.
Pensavamo che, dopo la fine dell'era del “mondo cattolico”, questa speranza fosse più vicina. Invece, ci ritroviamo una Chiesa che si dispone a essere semplicemente parte tra le parti. Ci sembra un atto di sfiducia profondo verso le potenzialità eversive di futuro del Vangelo. Allora, una ragione di più per riprendere a discuterne con la libertà e l'autonomia suggerite dalla navigazione in mare aperto e finendola di pensare di poter giocare con la barchetta di carta nella vasca da bagno.

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