L'ora del riscatto
E il cieco a lui: “Rabbunì, che io riabbia la vista”. (Mc 10, 51)
È finito il tempo di chiedere l'elemosina. Questo è il momento del riscatto totale e definitivo in cui col cuore gonfio che batte forte nel petto, Bartimeo abbandona ogni incertezza e tentennamento per osare l'impossibile. Proprio quello che i poveri non riescono nemmeno a sperare, a immaginare, a pensare…
Bartimeo osa chiederlo. All'inizio di queste riflessioni a partire da questa pagina evangelica dicevo che andavamo alla scuola dei poveri e che Bartimeo era il nostro maestro. Anche in questo passaggio, Bartimeo, dalla cattedra della polvere e della strada ci insegna che ai poveri deve essere conferita la forza di chiedere. Lui ha pure provato a urlare, quasi ad attirare l'attenzione, ora chiede. Anche i poveri, dopo aver gridato, devono poter legittimamente chiedere vita. È un loro diritto. I disabili devono poter chiedere di vivere il più serenamente possibile la loro diversità, la vasta schiera di categorie che abbiamo catalogato mentalmente tra “gli imprevisti” devono poter chiedere che almeno un pezzetto di mondo sia a dimensione loro, gli stranieri immigrati devono poter bussare alle porte della nostra accoglienza e scorgere l'uscio che si schiude, le vittime della violenza devono poter chiedere verità e giustizia…
Il chiedere è forzare lo scrigno della speranza. È quello che laicamente si fa incrociando le dita o spiando le stelle nei loro movimenti, è più di una candela accesa davanti all'immagine sacra e che le lacrime di dolore non riescono a spegnere, è un respiro più profondo degli altri perché vita chiami vita, è supplica silenziosa quando si è dato fondo ad ogni altro percorso umano, è parlare all'orecchio di Dio come una confidenza, è un'anima che si allarga alle dimensioni dell'oltre quello che vedo, che ragiono, che suppongo, ipotizzo, progetto…
È osare l'utopia. Nella speranza di Bartimeo ci sono tutte le speranze dei poveri del mondo. A volte mi capita di sorprendermi a pensare che la precarietà di sopravvivenza cui la miseria costringe milioni di persone è voluta per impedire che esse chiedano. Rovistare nei cassettoni dell'immondizia non consente a una persona né di scrivere poesie, né di progettare domande. La sopravvivenza ti inchioda, al contrario il chiedere lascia intravedere chiodi che si sconficcano. In questo ritengo che Bartimeo guidi la schiera dei poveri che marciano verso il riscatto pieno e definitivo, che pretendono vita, diritti, normalità, di essere pienamente simili com'era nel progetto del Creatore. Bartimeo rompe il cerchio asfissiante dell'elemosina e della pietà per osare chiedere liberazione.
Mio maestro
È importante sottolineare il tono con cui Bartimeo rivolge la richiesta. Non usa la parola ebraica Rabbi che significa maestro. Con una pennellata leggera leggera di tenerezza, dice Rabbunì, che personalizza il rapporto dicendo: “Maestro mio”. D'altra parte non poteva chiedere con il tono della rivendicazione. Egli sta bussando alla finestra accesa della gratuità di Dio e pertanto non può citare i commi di un contratto che non è stato rispettato. In secondo luogo perché la sua richiesta è stata provocata, sollecitata, voluta dall'altrettanta tenerezza di una domanda imprevista: “Che vuoi che io ti faccia?”. A una domanda così non si può rispondere con la pretesa che invece sarebbe legittimata da una chiusura. Qui l'apertura è totale fino a divenire servizio, disponibilità sensibile, incontro sulla stessa lunghezza d'onda. La folla cui il testo fa riferimento nel suo incipit sembra scomparire dall'orizzonte visivo di Gesù e di Bartimeo. Sono solo loro a parlarsi e a leggersi nell'anima visto che non possono scrutarsi negli occhi. Il tenore del linguaggio è solo conseguenza coerente di questo atteggiamento. Mi sarebbe proprio piaciuto esserci! Per spiare il colloquio non con la curiosità morbosa cui ci ha abituati la cronaca o per poter verificare di persona la realizzazione di quella sospensione della legge di natura, secondo l'antica definizione del fatto miracoloso. Avrei voluto esserne semplicemente testimone, senza la pretesa di riceverne un autografo o di filmarne l'azione, semplicemente lasciarmi toccare dentro anch'io da sguardi e da gesti che, se pure non mi appartenevano, potevano interferire con la routine scontata delle mie abitudini e parlare il linguaggio fresco e nuovo dell'autenticità di un incontro Perché qui i miracoli sono tanti, non è solo il riacquistare la vista. Ogni gesto di Bartimeo rivela la vita nuova che germoglia dentro di lui. Il coraggio di chiedere non è che l'ennesimo giro di boa che egli compie in questa giornata di Gerico.
Caro Bartimeo,
dimmi la verità: tu forse non avresti avuto nemmeno il coraggio di chiedere tanto. Forse dopo aver levato il grido, avresti chiesto a qualche passante di accompagnarti lontano da quel luogo per sfuggire timidamente alla spettacolarità che si stava creando attorno o per non tentare il Signore Dio tuo con una richiesta al di sopra delle righe. Oppure la richiesta ti si fermava in gola prima di fiorire sulle labbra perché un pianto l'avrebbe interrotta. Lacrime che avrebbero ancora una volta bagnato inutilmente il deserto dei tuoi occhi dai quali non nascevano visioni. Invece – come un miracolo – quelle parole te le sei ritrovate in bocca che inciampavano tra le labbra e i denti tanta era l'emozione e il desiderio. Ancora di più. Sembrava che quelle parole fossero sempre state lì sin dall'aurora dei tuoi giorni. Che qualcuno le avesse poste nel terreno con la stessa fiducia del contadino che sa che un giorno, spiando le zolle, vedrà il verde tenero di una vita nuova che si protende al di là della terra. Quelle parole ti sono rotolate fuori perché da sempre erano lì, sulla punta della lingua e dell'anima: Che io riabbia la vista. Erano litania di giorni tristi, sussulto di speranza, farneticazioni di un cieco… Ora sono l'ormeggio al porto della vita piena perché quel Rabbunì ti ha chiesto di chiedere. E non ti era capitato mai. Se solo anch'io imparassi la lezione di questo capitolo del libro della tua preziosa esistenza! Devo farmi prossimo, cioè accanto, cioè di fronte ad ogni Bartimeo e chiedere anticipando altre richieste. Solo così il chiedere dell'altro sarà a tal punto inconsueto e nuovo da risvegliare l'utopia, osare coraggiosamente, sfidare la speranza. Mi piace pensarti oggi pellegrino lungo i marciapiedi poveri del mondo, del terzo mondo, mentre racconti la tua storia e il tuo coraggio ad altri sconfitti. Come te non riescono a vedere la luce le vittime della violenza, del terrorismo e della guerra; come te hanno la morte nel cuore coloro che guardano impotenti i figli morire di malnutrizione tra le proprie braccia nei tuguri fatiscenti dei villaggi dispersi d'Africa e delle baraccopoli che assediano le metropoli del sud del pianeta; come te urlano – ma di dolore – quelle e quelli sottoposti a tortura; come te protendono mani stanche coloro che ogni giorno per strada…; come te sentono la vita sfuggire lontano la folla degli afflitti da AIDS… A ciascuno di loro insegna a chiedere. Devono osare chiedere dignità e liberazione, pace e giustizia. Sono diritti scolpiti nel cuore di ogni persona dal Padre che si è lasciato intravedere da quel volto d'uomo lungo le strade della Palestina.