ISRAELE

Obietto all'incubo

L'obiezione di coscienza sta diventando una pratica molto diffusa in Israele. Persone che amano la propria nazione ma si rifiutano di uccidere innocenti di un altro popolo. Una testimonianza di eccezione.
Nandino Capovilla

Ho cercato di immaginare quale profonda lacerazione interiore potevano provare i tanti, tantissimi soldati israeliani che, consapevoli dell'incubo in cui il loro Governo sta trascinando l'intera nazione, hanno cominciato a obbedire alla loro coscienza rifiutandosi pubblicamente di collaborare con lo sterminio del popolo palestinese. Con un coraggio straordinario e pronti a veder sconvolta tutta la loro vita, dalla famiglia agli amici al posto di lavoro, queste donne e uomini “refusenik” stanno diventando sempre più numerosi: il primo nucleo di pochi pazzi, subito incarcerati ed esclusi dalla vita sociale, è diventato un movimento di centinaia di persone e ora – speranza concreta per credere nella pace possibile – sono più di mille!
Ma qui sul Lungomare di Tel Aviv, di fronte a una spiaggia piena di gente, quello che più conta per me è che sto mangiando un'ottima pasta al pesto con un nuovo amico, Yonatan Shapira, solo leggermente preoccupato del cellulare sotto controllo e di orecchie indiscrete dal tavolino a fianco.

La vita non l'occupazione
È un pilota israeliano, Yonatan Shapira: uno dei firmatari dell'appello per il “rifiuto di partecipare a esecuzioni mirate nei Territori Occupati” del 24 Settembre 2003.
Prima di riversarmi addosso con l'entusiasmo e la forza dei cavalloni del Mediterraneo il suo racconto pieno di sofferenza e speranza, mi confessa con Israele - Conseguenze degli attacchi nelle città l'ingenuità di un bambino “I like the life, I like to fly... But I don't like the occupation of Palestine”. Occhi velati di amarezza quelli di questo giovane pilota che da sempre “ama la vita e ama volare” e per questo con ancor maggiore sofferenza ha trovato la forza per dire il suo NO a prendere parte a ‘operazioni' militari di sterminio. Rigidissimo nell'elencare una dopo l'altra le ‘missioni' che hanno avuto ‘successo':
“Nel giugno del 2002 un F16 dell'aviazione israeliana ha bombardato un sobborgo di Gaza. Per colpire un leader di Hamas sono stati uccisi 14 civili e tra loro anche 9 bambini. Questo è un crimine esattamente come è un crimine quello commesso da un kamikaze che si fa esplodere in un bus uccidendo gente innocente del mio popolo. Come posso continuare a convivere con una realtà in cui ci sono persone che commettono le stesse atrocità dei kamikaze con gli F16? Per un bambino morire in questo modo o con un'esplosione fa lo stesso; se sia un kamikaze o una bomba sganciata dall'F16 di un pilota buono e moralmente a posto, per il bambino non c'è differenza.”
E allora ecco la decisione, il lento processo che lo ha portato ad avere una Israele - Yonatan Shapira, obiettore israeliano consapevolezza sempre più chiara:
“Fino a poco tempo fa io ero a mio modo partecipe dell'occupazione, che è illegale e immorale. Ero una parte essenziale dell'intera macchina dell'esercito. È incredibile per me pensare che c'è voluto tanto tempo per rendermene conto e capire che mi piaceva tanto guidare l'elicottero… Era difficile cogliere la relazione tra il lavoro che mi piaceva così tanto e l'occupazione che odio così tanto. Ti assicuro che, quando sei dentro l'ingranaggio, sei del tutto convinto che quello che fai è per il bene del tuo Paese e per difendere la tua gente. È un lungo percorso di consapevolezza. Vai avanti a sbagliare e alla fine decidi che quel sistema è corrotto e non devi più eseguire gli ordini!”

Rompere il cerchio
Ecco. L'unico modo per non restare a “vagare dentro l'incubo” di un'inesprimibile catena di ingiustizie e di violenze è smetterla di cercare solo di scappare, lamentarsi, rassegnarsi o soccombere. Grossman propone un necessario salto fuori dall'incubo, dal cerchio soffocante di questo sistema di distruzione e autodistruzione.
La scelta straordinaria di Yonathan e di tanti in Israele comincia finalmente a frantumare i miti patriottici che per esempio vedono in esso il Paese che cerca sempre la pace e che sarebbe scuola di democrazia per il Medioriente.
“Io penso che se tu non ami una cosa, la lasci presto. Se tu non ami qualcuno o qualche posto, te ne vai. Il fatto che io sia ancora qui e cerchi di cambiare le cose è perché io amo questo posto, sono legato alla terra, alle colline, alle valli, al mare e anche alla gente. Proprio come l'altro popolo che vive non lontano da qui: ama la sua terra, è legato a quel luogo e vi abita da generazioni e generazioni. Questa è la prima cosa da dire su questo conflitto.”

Il pretesto della sicurezza
E l'onda della sua franchezza si schianta potente sull'ipocrisia di un sistema

Gli obiettori in Israele
Si stima che siano circa 1300-1400 i refuser che rifiutano in molti modi di collaborare all’occupazione. Alcuni lo dichiarano pubblicamente. Piloti, comandanti, soldati semplici e giovani che si rifiutano di servire nell’esercito. A questa obiezione dichiarata si aggiunge quella che viene praticata da coloro che, pur avendo paura di parlare, non compiono azioni che ritengono criminali verso innocenti. Ad esempio, alcuni piloti si rifiutano di prendere parte agli attacchi nei Territori Occupati, pur restando in volo con la squadra e, spesso con il tacito assenso dei propri comandanti.
militare tollerato e difeso dai Paesi occidentali, che sbandiera il motivo della “sicurezza” di Israele non come giusto anelito di un popolo inchiodato alla paura, ma come lasciapassare per i più efferati crimini compiuti giorno dopo giorno da un'occupazione totale che si fa sterminio.
“I nostri leader stanno usando la politica della paura, come i leader dell'Italia, dell'Inghilterra e certamente del presidente Bush. Così è evidente che il muro con questo tipo di separazione separerà noi stessi dalla speranza, ci separerà dal futuro! La gente deve capire che per aiutare Israele, per sostenere gli israeliani e i palestinesi, bisogna condannare ciò che il governo d'Israele sta facendo.”
Con la stessa franchezza mi ha confermato questo concetto anche Mons. Sabbah, Patriarca Latino di Gerusalemme: “Israele sta prendendo tutte le misure possibili per non avere la sicurezza che vuole; misure illogiche che producono tutto il contrario della sicurezza!”
Ecco allora la necessità e la forza dell'obiezione di coscienza: non accettare più di essere partecipi e corresponsabili di un crimine.
Il numero dei refuser è molto più grande del numero reale. Per me questa è proprio la punta di un iceberg, di un enorme iceberg che sta sotto la superficie. Ecco perché il sistema, l'esercito, il governo agiscono così duramente con noi: hanno veramente paura del nostro reale potere. È il potere della mente umana quando è libera: è libera e pertanto rappresenta una minaccia per il governo.”
La gente lascia la spiaggia serena e come sempre mi colpiscono i tantissimi ragazzi e ragazze in uniforme militare (direi quasi la metà dei giovani che si vedono per strada!): fanno le cose di tutti e quindi hanno da una parte il fucile e dall'altra la fidanzata.
Yonathan mi saluta con un impegno non più prorogabile: “Questa è una decisione che il governo d'Israele può prendere perché qui siamo noi la parte più forte. Noi abbiamo l'esercito più forte della regione e abbiamo tutta la possibilità e il potere di cambiare la situazione. La responsabilità è solo nostra. Dobbiamo cominciare a cambiare. Non dobbiamo aspettare una leadership migliore o un movimento di refuser in Hamas. Non è tempo di aspettare. È ora di agire. E subito.”

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