ULTIMA TESSERA

L'Iraq che amiamo

Fabio Alberti (Presidente di Un ponte per...)

Grazie.
Grazie a tutti voi che vi siete mobilitati con generosità per la salvezza di Manhaz, Ra'ad, Simona e Simona. Solo il vostro calore, unito al calore di tanti, ci ha permesso di sopportare questi giorni terribili. La mobilitazione è servita. Le quattro margherite sono state liberate grazie a questa mobilitazione e dal sentimento di unanime condanna che si è levato già poche ore dopo il sequestro in tutto il mondo arabo e islamico, a cominciare dall'Iraq. Simona e Simona sono state liberate per il loro lavoro di sostegno alla popolazione irachena.
Per una volta ancora la via della pace ha dimostrato di poter vincere.
Non piace questa semplice verità ai professionisti della dietrologia che vogliono a tutti i costi trovare spiegazioni oscure alla loro liberazione. Non piace questa semplice verità ai sostenitori della guerra che non sopportano l'idea che il dialogo possa essere un'arma più efficace dei bombardieri.

Il baratro della violenza
La nostra gioia è stata grande, ma non abbiamo nemmeno fatto a tempo a gustarla che nuove terribili notizie ci sono giunte dall'Iraq. Stragi di civili, a decine, sotto le autobomba, bombardamenti indiscriminati sulle città, uccisione di ostaggi, altri rapimenti. Un Paese che amiamo, l'Iraq, che la guerra “preventiva” ha sprofondato nel baratro della violenza. Una violenza inaccettabile ma sulla quale non possiamo fermarci a giudicarne gli effetti senza capirne le cause. E le cause sono in una guerra illegittima, in una occupazione militare inaccettabile per gli iracheni, ma anche nel concreto comportamento degli occupanti in questo anno e mezzo di occupazione.
Lo scandalo delle torture di Abu Grhaib è stato archiviato troppo presto e non si voluto capire che quella era solo la punta dell'iceberg, la parte più scandalosa e visibile di un comportamento violento e razzista generalizzato da parte dei soldati statunitensi e forse non solo. Un comportamento che troppi iracheni hanno dovuto sperimentare negli arresti arbitrari, nelle perquisizioni notturne violente, nelle umiliazioni ai check point. Non c'entra tutto questo con il presentarsi di forme altrettanto ripugnanti di violenza come le decapitazioni? Non c'entra tutto questo con il rafforzarsi delle tendenze estremistiche, e terroriste?

Società esclusa
Per due volte, prima con il Governing Council, poi con il Governo Transitorio, si è voluto escludere dalla rappresentanza parti consistenti della società irachena, giocando al divide et impera. Lo stesso avverrà con le elezioni previste in gennaio se prima non ci sarà un processo politico che porti a riconoscerle come legittime da tutti gli iracheni. Sono state attaccate dal cielo le città facendo indiscriminata strage di civili. Ci si può meravigliare se in questo contesto le formazioni armate hanno trovato sostegno tra la gente di queste città?
Si è voluto affidare la ricostruzione a imprese statunitensi che hanno speso ingenti quantità di denaro per la propria sicurezza e non hanno invece ricostruito un bel nulla, si è esposta l'economia irachena alla concorrenza estera impedendo la ripresa produttiva. La disoccupazione è ancora generalizzata. Ci si può meravigliare se giovani senza futuro si arruolano nelle formazioni terroristiche?

Semplici verità
Nessuna di queste considerazioni può bastare a giustificare delitti inaccettabili come le stragi di civili e i rapimenti, ma se si vuole davvero porre fine alla violenza e costruire un futuro di pace per gli iracheni occorre partire da queste semplici verità.
L'esercito che si è macchiato di delitti abominevoli e crimini di guerra non potrà mai essere elemento di pacificazione, e nemmeno i suoi alleati. Allo scontro militare occorre che si sostituisca un processo politico di dialogo tra le diverse parti della società irachena affinché le elezioni si tengano con il riconoscimento di tutti, la conferenza internazionale sull'Iraq può essere se lo si vuole il luogo in cui ciò avvenga. Le grandi somme di denaro stanziate per gli eserciti e le imprese estere vanno messe nelle mani degl'iracheni per gestire in prima persona la ricostruzione.
Ci sono in Iraq le capacità e le forze, nella società civile, per un'altra storia. Occorre che a queste forze, che non sono né nel Governo Transitorio né nella guerriglia e che sono oggi stritolate di fronte alla violenza si dia forza e strumenti.

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