Ricordi Romero?
A venticinque anni di distanza il martirio di Oscar Romero, assassinato nella cappella dell’hospedalito di San Salvador il 24 marzo 1980, rimane attuale e provocatorio.
Prima di tutto perché la sua esistenza e la sua morte violenta lo collocano nella linea di coloro che sono stati perseguitati e uccisi per causa di giustizia; e i martiri e i testimoni rappresentano una forma di memoria che esercita una pressione critica mai sopita sul presente. Sono i martiri a farci sentire quanto “pericolosa” sia, direbbe Metz, la memoria del Vangelo di Gesù Cristo. Pericolosa perché la teologia dei martiri non è una teologia a buon mercato, adattata al buon senso del mondo, accattivante o intrisa di slogan, non è una teologia addomesticata che abbassa le esigenze della fede. Al contrario essa è paradossalmente una teologia ‘di conservazione’, che bada a non perdere l’essenziale, che non esprime nessuna pretesa se non quella di richiamare continuamente alla sequela e alla logica del Regno; ma è, se così si può dire, una ‘conservazione rivoluzionaria’, che intacca il presente e ne mette in rilievo l’insufficienza e, soprattutto, l’ingiustizia.
Ma non c’è solo questo. Quel martirio continua a provocare perché la teologia che scaturisce dal martirio è anche una teologia politica: come fu anche per Gesù, i martiri di ogni tempo non vengono uccisi a caso, ma perché la loro teo-logia, il loro parlare di Dio non lascia nulla al suo posto e richiama a una giustizia di Dio che sovverte, nel presente come nel futuro, i rapporti di forza che sostengono la politica e i rapporti di potere fra gli uomini.
Forse per questo continuiamo ad essere interpellati ancora oggi dalle parole e dal martirio di Romero: perché la teologia dei martiri è una teologia essenziale, che mette al centro la ‘parzialità’ di Dio “verso ciò che è debole in questo mondo, i poveri, i disprezzati, gli emarginati nelle più diverse forme, i peccatori, verso tutti coloro per i quali vivere è un carico pesante”. Una parzialità essenziale poiché, scriveva un altro martire del Salvador, padre Ignacio Ellacurìa, “senza conversione ai poveri, come luogo dove Dio si rivela e chiama, è impossibile accostarsi adeguatamente alla realtà viva di Dio e alla sua luce chiarificatrice, e senza la presenza e la grazia di Dio dataci dai poveri e attraverso di essi, non c’è possibilità piena di conversione”.
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