DIALOGO

Semplicemente fratelli

Cosa accomuna e cosa divide le tre religioni monoteiste?
Come dar seguito, oltre ogni ostacolo, al dialogo interreligioso?
Intervista a Giuseppe Morotti dei Piccoli Fratelli di Foucault.
Intervista di Arturo Zilli (Ufficio stampa Caritas Bolzano)

In questo momento storico, in cui da molte parti si rievocano di continuo “scontri di civiltà” – siano essi fenomeni reali o creati artificialmente da parziali interpretazioni delle relazioni internazionali – in che misura è veramente possibile il dialogo tra confessioni diverse?

Cosa accomuna e cosa divide le tre grandi religioni monoteiste, aldilà delle nocive semplificazioni mediatiche che troppo spesso sono state propagandate negli ultimi anni? Ne discutiamo con il bolzanino Giuseppe Morotti che, per molti anni, ha fatto parte della Congregazione dei piccoli fratelli di Foucault, arrivando a esserne il principale coordinatore a livello mondiale.

Morotti, che adesso lavora come operatore presso “La Sosta-Der Halt”, il centro diurno per persone senza dimora della Caritas-Odar di Bolzano, conosce a fondo l’argomento quando si parla di “dialogo interreligioso” tra cristianesimo e islam: per dieci anni, a partire dal 1979, anno della rivoluzione khomeinista, ha battuto le strade polverose delle città dell’Iran del Nord, condividendo la sua vita quotidiana con tanti fratelli cristiano-caldei e altrettanti musulmani, avvicinandosi a chi credeva in un Dio diverso sulla base delle difficoltà quotidiane, affrontate e superate insieme, mettendo da parte le divergenze teologiche, e cercando un’intesa basata sulla condivisione, sull’accettazione e l’accoglienza dell’“Altro”, considerato come fratello.

Persona mite e gentile, Giuseppe Morotti, distilla ogni singola parola: parlando con lui ci si rende subito conto che tutti i suoi racconti poggiano su solide basi fatte di letture colte e di esperienze molto forti, spesso molto pericolose, che l’hanno portato a vivere in prima persona – al di là delle manifestazioni esteriori della fede – la profonda umanità di tanti suoi fratelli di diversa confessione. Morotti ripesca alcuni ricordi del suo intenso passato vissuto tra Medio Oriente, Africa e America Latina e li regala ai lettori di “Mosaico di Pace”.

Morotti, non tutti sanno come nasce e cosa fa la “Congregazione dei piccoli fratelli di Foucault”. Ce lo può spiegare?

La “Congregazione dei piccoli fratelli di Foucauld” si rifà a questo personaggio, Carlo de Foucault appunto, nato a Straburgo nel 1858. Era un giovane uomo che trascorse la sua giovinezza nei bagordi, sperperando la cospicua eredità paterna durante la propria giovinezza. Combatté nelle fila dell’esercito francese in Algeria, dove per la prima volta si pose il problema dell’esistenza di Dio, osservando come pregavano i musulmani. Aiutato da un prete di Parigi, De Foucault si convertì e decise di diventare religioso per seguire al meglio la propria vocazione.

Entrò in una trappa, ma ben presto si rese conto che quello non era ciò che desiderava.

Leggendo il Vangelo capì che la sua vita, come aveva fatto Gesù, avrebbe dovuto svolgersi in mezzo al mondo, alla gente. Per questo decise di recarsi a Nazareth dove aveva vissuto Gesù per vivere poveramente di elemosine, lavorando il giardino di un convento di suore e pregando. Ben presto ebbe un’intuizione che gli sconvolse nuovamente la vita: si disse “non devo vivere dove è vissuto Gesù, ma dove, oggigiorno, lui andrebbe, presso i più lontani dalla Chiesa, i poveri, gli ultimi”.

Si recò nuovamente in Algeria, nel deserto dell’Hoggar, dove mise in pratica il precetto che il Vangelo non deve essere predicato con le parole ma “deve essere gridato con la vita”. Lì visse in una capanna prima di frasche e poi in pietra in mezzo a quelli che lui chiamava i suoi “fratelli musulmani”, predicando il “Vangelo della fratellanza”, facendosi amico e sperando che tutti lo considerassero come amico e fratello.

Fu quindi una vita nascosta, ma che dette alla Chiesa un impulso missionario nuovo.

Certo, perché le indicò una maniera più moderna e più autentica di fare missione: non solo la parola, ma la condivisione. Una missione non concepita più solo come dare ma un arricchirsi reciproco, camminando insieme verso Dio e verso un’umanità più piena. Alla morte di De Foucault nacquero diverse famiglie religiose che si rifanno a lui e che portano avanti questa missione concepita come testimonianza di vita.

In Italia dove si trovano i “piccoli fratelli”?

A Spello, in Umbria, dove visse anche Carlo Carretto, che fu anche presidente dell’Azione Cattolica e ce ne sono anche in Veneto tra i Rom e i Sinti di cui condividono silenziosamente – senza essere i preti di riferimento – le ristrettezze e le difficili condizioni in cui vivono. Il fulcro della loro predicazione è il messaggio evangelico che dice siamo tutti fratelli.

Quand’è iniziata la sua esperienza nei “piccoli fratelli”?

Dopo aver fatto il noviziato, mi fu chiesto di recarmi in una fraternità in Iran, dove già vivevano tre confratelli francesi. Essi erano a Urmia, al confine con la Turchia, dove c’è una forte presenza della minoranza cristiano-caldea. Il mio arrivo avrebbe permesso di inaugurare una presenza in un luogo con maggior numero di musulmani. Io e un altro confratello ci stabilimmo sempre nel Nord, vicino al confine con l’Iraq, dove per dieci anni condividemmo la vita dei cristiani caldei e dei musulmani.

I rapporti tra cristiani caldei e i musulmani com’erano?

Io sono arrivato alla caduta dello Scià. Con l’avvento di Khomeini c’era, comunque, rispetto nei confronti delle minoranze cristiane. Più difficile era la presenza di gente come noi, stranieri. Anche noi una volta fummo prelevati dai “pasdaran” e imprigionati perché sospettati di essere delle spie. I nostri vicini musulmani vennero, però, a richiedere la nostra immediata liberazione perché ci conoscevano, vivevamo tra loro e lavoravamo come muratori e imbianchini. “Non sono spie americane, sono brave persone”, dissero ai guardiani della rivoluzione che furono costretti a liberarci.

La sua lunga esperienza a contatto con i musulmani cosa le ha insegnato? È un’utopia il dialogo interreligioso?

Penso sia difficile arrivare a un dialogo con l’islam partendo subito da discussioni teologiche. Secondo la mia esperienza è importante iniziare a diventare fratelli, amici. Il fatto che io e i miei confratelli siamo rimasti in Iran anche nei momenti difficili e pericolosi della guerra, mentre tutti gli uomini d’affari e i diplomatici stranieri se ne erano andati, ci ha facilitato in qualche modo un’esperienza di profonda di fraternità con i musulmani.

Il vero dialogo con i musulmani deve partire dal quotidiano, in cui prodigarsi e lottare insieme per la difesa dei diritti umani fondamentali: l’uguaglianza, la fratellanza, la libertà, il rispetto a partire dai più deboli. Anche a Bolzano, in Italia e in Europa, dobbiamo iniziare da qui per avviare un vero dialogo per fare cadere quei tanti pregiudizi creatisi durante la storia.

Sfatarli per ritrovarci fratelli e, in un secondo momento, discutere anche a livello teologico dei punti discordanti, che a quel punto non potranno che apparirci come differenze capaci di arricchirci ulteriormente e reciprocamente.

 

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