AFRICA

Volontari in tempo di guerra

La guerra in Kenya tra paure, difficoltà e piccoli passi concreti di solidarietà e dialogo possibili anche in tempo di violenze.
Mino Spreafico (Africa Peace Point Onlus)

We belong to each other… we care, we share: “Ci apparteniamo gli uni gli altri, ci prendiamo cura, condividiamo”.

Questa frase, composta con cura al momento della fondazione, racchiude la mission di Koinonia Community.

Era una frase che suonava bene fino a poche settimana fa quando la si insegnava ai bambini e ai ragazzi delle strutture della Comunità; invitava a un atteggiamento solidale. Ora, invece, risuona con toni forti. Perché il tempo odierno ha messo a dura prova gli uomini e delle donne radunate in Koinonia.

Nel recinto di Koinonia si svolgono diverse attività socio-educative per giovani, di sviluppo, di impresa sociale.

Sono impegnati un centinaio di operatori e non sono sufficienti.

In questi anni le attività sorte nei vari Paesi (Kenya, Zambia e Sudan) hanno richiamato diverse organizzazioni soprattutto italiane: movimenti o gruppi informali di studenti desiderosi di vivere esperienze di volontariato, giornalisti che si confrontano sui temi dei conflitti in Africa, operatori di ONG internazionali e di enti locali che approfondiscono le metodologie della cooperazione allo sviluppo. Un ambiente vivace, ricco di speranza e di creatività, che invita al confronto.

Il 1 gennaio 2008 è come se, su tutto questo, fosse sopraggiunto d’un tratto un freddo intenso, è come se il satellite avesse scollegato dai nostri monitor il flusso di informazioni e di scambio che ci permetteva di seguire la vita di questa gente e a quest’ultimi di di partecipare ad alcune delle nostre vicende, di sognare e progettare azioni di Pace.

Quali demoni?

“Una guerra civile in Kenya? Impossibile! Il Kenya, definito da alcuni il Bastione della Pace nell’Africa Orientale si è incendiato”. Così affermava padre Kizito Sesana all’agenzia Misna lo scorso mese di gennaio: “È stato duro ammettere che il processo di costruzione della pace è una grande sfida che richiede una visione a lungo termine e una profonda conoscenza, e che in questi conflitti ci sono spesso attori potenti e nascosti. Ricordo che durante il lavoro di mediazione di Africa Peace Point e Amani People Theatre per gli scontri tribali in Kenya degli anni Novanta, dopo due o tre giorni di seminari le due parti erano pronte per la riconciliazione e noi suggerimmo agli anziani di mettere in atto i tradizionali rituali di riconciliazione. Ricevemmo questo tipo di risposta: ‘Non possiamo praticarli, sarebbero inutili e potrebbero essere discreditati. Perché i demoni che causano questi scontri e uccisioni non sono qui. Quei demoni provengono da lontano e sono cosi potenti che i nostri riti tradizionali non hanno forza contro di loro’. Dietro quello che sta accadendo in Kenya da circa tre settimane, oltre alla maledizione delle ricchezze naturali quali dèmoni si stanno agitando? Sono davvero di fronte soltanto etnie e ostinati esponenti politici locali? I grandi mezzi d’informazione non hanno finora aiutato a decodificare quella che sembra, per certi versi, un’inattesa follia che sta costando enormemente a uno dei Pafricani più importanti e finora più stabili.[…] E i mezzi d’informazione, fermandosi in buona o in mala fede alla superficie delle situazioni conflittuali (talvolta seguendo linee interpretative prestabilite in alto), più che notizia finiscono con il fare spettacolo. Rischiando di essere complici di tutti i dèmoni, vicini e lontani”.

Ci apparteniamo

Koinonia è composta in parte da popolazione di etnia luo e in parte da kikuio, ma sono molti anche i luya, i teso, alcuni masai , qualche samburu. Ci si interroga molto sulla relazione esistente e possibile tra la cultura tradizionale e la modernità, su quali modelli seguiranno i bambini una volta diventati adulti. Ma non è questo il contesto per queste analisi. Di fatto il dormire tutti insieme per terra o sotto una siepe, o l’entrare di nascosto nella baracca di altri quando piove particolarmente forte, con la complicità di tutti, ha creato una buona rete solidale. I sociologi usano la categoria del capitale sociale per misurare questa interelazione e la tensione, che unisce queste centinaia di migliaia di persone, è una dato concreto. Così, pur dentro i conflitti, resiste una trama sociale solida e una cultura di speranza che riesce a primeggiare sulla disperazione collettiva.

A partire dal 1 gennaio i bambini hanno cominciato a stare più uniti, i più grandi a fare piccole rappresentazioni di danza e di animazione teatrale per dire che siamo tutti fratelli. Poi è iniziata una vera e propria emergenza. I numeri dichiarati di persone sfollate sono stati 300 mila.

Ci apparteniamo significa che anche questa guerra, questi volti di sfollati ci appartengono: le alleanze internazionali, gli accordi con le superpotenze…

La storia di questa umanità ci appartiene.

Il monito: Ci apparteniamo, in queste ore, è come se si colorasse di un tono affermativo.

I problemi dell’uomo ci appartengono in quanto essere umani.

E a ciascuno il suo. È pur vero che le grandi organizzazioni di cooperazione hanno capacità e strumenti, con tutti i limiti noti, per intervenire nelle aree di crisi; va loro riconosciuto un ruolo necessario. Ma sento di dover proporre un altro punto di vista e di dar e piena dignità a tutte le organizzazioni di pace, più piccole forse, ma con grande idealità e capacità di lavorare per una vera riconciliazione. Come Africa Peace Point, nata non molto tempo fa sotto gli occhi diffidenti di tanti. Pensate anche a Peace Tree Network, che raduna oltre 300 organizzazioni di Pace che operano nell’Est Africa.

La pace ha un tempo di prevenzione e un tempo di cura per essere mantenuta.

Anche Africa Peace Point ha un ruolo, importante, in questo tempo di oscurità.

 

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