Fuori dal terrore
La soluzione del conflitto in Medio Oriente non sarà perseguibile con una politica di equidistanza, con un accurato bilanciamento delle reciproche responsabilità e le insincere “pacche sulle spalle” di una diplomazia paralizzata, ma soltanto partendo dalla chiara percezione di “aggressore” e aggredito”, “occupante” e “occupato”. Senza di essa l’obiettivo “due popoli due Stati” diventa pura astrazione, l’ennesima premessa da aggiungere alla lavagna dei buoni propositi.
Ne è convinto Zvi Schuldiner, israeliano, vice direttore della Commissione per la pace e la giustizia sociale, docente universitario e preside della Facoltà di Pubblica Amministrazione e Politica.
Qual è l’idea che ha l’opinione pubblica israeliana del suo vicino e quanta fiducia ripone Israele nel buon esito del processo di pace?
In Israele esiste una grossa ambivalenza. Il 65% della popolazione vuole la pace. Ma il problema è che non si è disposti a pagarne il prezzo. La maggioranza in verità non ha fiducia e anche i moderati sono scettici. E questo atteggiamento riproduce il clima culturale europeo e occidentale dopo l’11 settembre. In Israele, quando si subisce un’aggressione, non si ragiona sulle cause, sul passato e sull’occupazione. Si ragiona con lo stomaco anziché con la memoria. E la paura che si è diffusa crea isterismo e induce comportamenti di diffidenza.
In Israele è dominante la politica della paura. Bisogna anche considerare che c’è una diversa linea politica nella prima e nella seconda Intifada.
Mentre nella prima la violenza occupa un posto marginale, nella seconda entra in scena Hamas, che ha percorso le vie del terrore. La verità è che il nostro fondamentalismo è gemellato col fondamentalismo islamico.
Perché la comunità internazionale si limita a denunciare senza intervenire concretamente, magari con una risoluzione ONU, per porre fine a questa carneficina?
La questione non è il Medio Oriente. Oggi la comunità internazionale semplicemente non esiste. Era presente ai tempi del bipolarismo tra URSS e USA. Ma attualmente è una finzione perché, fino a quando Italia ed Europa continueranno a essere subalterni alla politica di potenza degli USA, non ci sarà alcuna soluzione.
È fondamentale che l’Unione Europea ritrovi la giusta autonomia. E occorre ricominciare a lavorare insieme contro l’occupazione. Infatti, la ritirata unilaterale da Gaza è servita solo a comprimere i palestinesi in una grande prigione e riprendere a negoziare. Per una vera pace dobbiamo puntare all’unità della società palestinese. Mentre il governo israeliano sta facendo di tutto per frammentarla.
Nel libro “Voce del verbo: amare”, David Grossman fa tesoro di un’esperienza tragica vissuta da ragazzo, cioè l’oppressione subita dagli israeliani, per ripensare all’importanza del perdono e al ruolo del suo popolo come costruttore di pace. Può un passato drammatico cancellare questa aspirazione e sedimentare rancore e odio piuttosto che sete di giustizia per sé e per gli altri popoli oppressi?
Il problema è la manipolazione del passato. La questione vera è che è necessario restituire verità al passato sia a livello personale che a livello di popolo. E poi è necessaria una nuova politica e una cultura in grado di combattere il darwinismo sociale. Anche a livello economico giudico preoccupante un forte incremento della teoria neoliberista.
Secondo lei, la UE potrebbe applicare a Israele sanzioni e dure azioni di boicottaggio per convincerla a desistere da azioni di offesa contro i palestinesi?
Un blocco economico verso Israele sarebbe controproducente. Boicottare settori significativi per lo sviluppo di un popolo, come ad esempio turismo e ricerca, non gioverebbe alla pace. Più utile sarebbe, invece, un boicottaggio mirato ai prodotti degli insediamenti nei territori occupati. Oppure non comprando azioni della Caterpillar che costruisce i bulldozer con cui si sterminano le case dei palestinesi.
Anche la diplomazia americana negli ultimi tempi sembra più volenterosa del solito e più determinata a fare progressi nel processo di pace. Saranno i nemici che nello scacchiere mediorientale accerchiano Washington, saranno le scadenze elettorali che impongono una inversione di rotta.
Per la pace non è mai troppo tardi, ma il tribunale della storia ha già emesso la sua sentenza.