MEDIORIENTE

Fuori dal terrore

Zvi Schuldiner propone all’Europa un ruolo di mediatrice nel conflitto tra Palestina e Israele per restituire unità alla società palestinese.
Intervista di Fabio Dell’Olio

La soluzione del conflitto in Medio Oriente non sarà perseguibile con una politica di equidistanza, con un accurato bilanciamento delle reciproche responsabilità e le insincere “pacche sulle spalle” di una diplomazia paralizzata, ma soltanto partendo dalla chiara percezione di “aggressore” e aggredito”, “occupante” e “occupato”. Senza di essa l’obiettivo “due popoli due Stati” diventa pura astrazione, l’ennesima premessa da aggiungere alla lavagna dei buoni propositi.

Ne è convinto Zvi Schuldiner, israeliano, vice direttore della Commissione per la pace e la giustizia sociale, docente universitario e preside della Facoltà di Pubblica Amministrazione e Politica.

Qual è l’idea che ha l’opinione pubblica israeliana del suo vicino e quanta fiducia ripone Israele nel buon esito del processo di pace?

In Israele esiste una grossa ambivalenza. Il 65% della popolazione vuole la pace. Ma il problema è che non si è disposti a pagarne il prezzo. La maggioranza in verità non ha fiducia e anche i moderati sono scettici. E questo atteggiamento riproduce il clima culturale europeo e occidentale dopo l’11 settembre. In Israele, quando si subisce un’aggressione, non si ragiona sulle cause, sul passato e sull’occupazione. Si ragiona con lo stomaco anziché con la memoria. E la paura che si è diffusa crea isterismo e induce comportamenti di diffidenza.

In Israele è dominante la politica della paura. Bisogna anche considerare che c’è una diversa linea politica nella prima e nella seconda Intifada.

Mentre nella prima la violenza occupa un posto marginale, nella seconda entra in scena Hamas, che ha percorso le vie del terrore. La verità è che il nostro fondamentalismo è gemellato col fondamentalismo islamico.

Perché la comunità internazionale si limita a denunciare senza intervenire concretamente, magari con una risoluzione ONU, per porre fine a questa carneficina?

La questione non è il Medio Oriente. Oggi la comunità internazionale semplicemente non esiste. Era presente ai tempi del bipolarismo tra URSS e USA. Ma attualmente è una finzione perché, fino a quando Italia ed Europa continueranno a essere subalterni alla politica di potenza degli USA, non ci sarà alcuna soluzione.

È fondamentale che l’Unione Europea ritrovi la giusta autonomia. E occorre ricominciare a lavorare insieme contro l’occupazione. Infatti, la ritirata unilaterale da Gaza è servita solo a comprimere i palestinesi in una grande prigione e riprendere a negoziare. Per una vera pace dobbiamo puntare all’unità della società palestinese. Mentre il governo israeliano sta facendo di tutto per frammentarla.

Nel libro “Voce del verbo: amare”, David Grossman fa tesoro di un’esperienza tragica vissuta da ragazzo, cioè l’oppressione subita dagli israeliani, per ripensare all’importanza del perdono e al ruolo del suo popolo come costruttore di pace. Può un passato drammatico cancellare questa aspirazione e sedimentare rancore e odio piuttosto che sete di giustizia per sé e per gli altri popoli oppressi?

Il problema è la manipolazione del passato. La questione vera è che è necessario restituire verità al passato sia a livello personale che a livello di popolo. E poi è necessaria una nuova politica e una cultura in grado di combattere il darwinismo sociale. Anche a livello economico giudico preoccupante un forte incremento della teoria neoliberista.

Secondo lei, la UE potrebbe applicare a Israele sanzioni e dure azioni di boicottaggio per convincerla a desistere da azioni di offesa contro i palestinesi?

Un blocco economico verso Israele sarebbe controproducente. Boicottare settori significativi per lo sviluppo di un popolo, come ad esempio turismo e ricerca, non gioverebbe alla pace. Più utile sarebbe, invece, un boicottaggio mirato ai prodotti degli insediamenti nei territori occupati. Oppure non comprando azioni della Caterpillar che costruisce i bulldozer con cui si sterminano le case dei palestinesi.

Anche la diplomazia americana negli ultimi tempi sembra più volenterosa del solito e più determinata a fare progressi nel processo di pace. Saranno i nemici che nello scacchiere mediorientale accerchiano Washington, saranno le scadenze elettorali che impongono una inversione di rotta.

Per la pace non è mai troppo tardi, ma il tribunale della storia ha già emesso la sua sentenza.

 

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