Col coltello fra i denti
Le armi leggere, tra i detentori per uso privato e lucrosi commerci internazionali.
Le armi civili costituiscono 1/3 del valore complessivo delle esportazioni italiane di armamenti e nel decennio 1996-2005, le esportazioni di revolver e pistole, fucili, munizioni ed esplosivi, secondo i dati Istat, hanno superato i 3 miliardi di euro. L’importo dei materiali esportati ha seguito un’andatura tendente al rialzo con una crescita – dal 1996 al 2005 del 50% – in particolare nell’ultimo triennio alla fine del quale, nel 2005, le esportazioni hanno superato i 400 milioni di euro.
A chi vendiamo
Il Bel Paese ha indirizzato oltre i 2/3 delle sue esportazioni verso i Paesi dell’Unione Europea e gli Stati Uniti, che hanno importato oltre 2,3 miliardi d’euro (il 77% del totale delle esportazioni) con un ammontare rispettivamente di 1.3 miliardi (42%) e 1 miliardo (35%). I maggiori acquirenti in Europa sono la Francia e il Regno Unito seguiti da Spagna e Germania e con importi minori dalla Grecia e dal Portogallo. I Paesi europei non appartenenti all’Unione Europea hanno importato armi leggere civili per un valore di 209.8 milioni di euro (il 7% sul totale delle vendite) e traina il mercato la Turchia, che con 104 milioni di euro assorbe il 50% delle esportazioni italiane, seguita dalla Norvegia e della Federazione Russa, entrambe con circa 35 milioni. L’Asia importa il 5% delle armi civili italiane, equivalenti a oltre 161 milioni di euro. I maggiori importatori sono Giappone e Malaysia, mentre medi importatori sono le Filippine, la Corea del Sud, la Thailandia, Singapore, l’India, il Bangladesh e il Pakistan. Esportazioni di armi di piccolo calibro si sono registrate, per valori bassi, anche verso Taiwan, la Cina, il Kazachistan e Afghanistan I Paesi dell’Africa Settentrionale e Medio Oriente hanno fatturato all’Italia 134.4 milioni di euro equivalenti al 4% delle esportazioni di armi civili nel decennio in esame. I principali clienti italiani sono gli Emirati Arabi Uniti con 34.3 milioni di euro, seguiti dal Libano con 25.8 e il Marocco con 18.6.
Il materiale acquistato in America Latina ammonta a 121.1 milioni di euro (4% del totale). Il Cile è il maggior acquirente dell’area con una spesa totale di oltre 23 milioni di euro (di cui 16 milioni nel solo 2005). Tra i principali acquirenti di armi civili troviamo anche l’Argentina con 19.4 milioni, il Brasile con 15 milioni, il Messico con 14.2 e il Venezuela con 13 milioni.
L’ammontare di armi indirizzate all’Oceania è di 56.6 milioni di euro, ovvero il 2% delle esportazioni, ripartito tra l’Australia (44.9 milioni di euro) e la Nuova Zelanda (11.5 milioni).
Verso l’Africa Sub-Sahariana l’Italia ha indirizzato solo l’1% delle sue esportazioni per un valore di 32.7 milioni di euro. Il Congo Brazzaville e la Repubblica Sudafricana sono in testa alla lista dei clienti italiani con una spesa rispettivamente di 14.2 e 8.4 milioni di euro.
Seguono Etiopia e Camerun con poco più di 1 milione di euro ciascuno. Dai dati emerge, però, che nonostante i maggiori clienti italiani siano in Europa e America Settentrionale, non sono mancati casi di esportazioni a Paesi soggetti a embargo, teatri di conflitti o tensioni e oggetto di preoccupazioni da parte di Nazioni Unite e Unione Europea per la violazione di diritti umani. Tra i Paesi colpiti da sanzioni internazionali e destinatari di armi italiane a uso civile si ricordano l’Etiopia e la Sierra Leone (negli anni 1996-’97 immediatamente precedenti l’embargo dell’ONU) e la Cina, colpita da un embargo dell’Unione Europea. Tra gli Stati soggetti a conflitti interni si possono citare le Filippine, la Colombia e molteplici Stati africani e asiatici: il Sudan, l’Angola, la Costa d’Avorio, l’Uganda, il Burundi, e la Repubblica Democratica del Congo, sconvolta da un lungo conflitto e importatore dall’Italia di 120 mila euro di cartucce negli ultimi due anni, un basso valore a cui corrisonde un numero enorme di proiettili. E poi negli ultimi anni, in Iran sono arrivate 108 mila euro di sole munizioni e nell’Iraq 119 mila euro di armi da sparo.
Uso civile?
Le armi di piccolo calibro, anche se considerate a uso civile, in contesti di instabilità politico-sociale possono essere utilizzate – da gruppi armati, forze di polizia o anche da comuni individui inclini alla violenza – come strumenti di offesa alla persona e incentivare abusi. Nei meccanismi di controllo dei trasferimenti si rivelano, quindi, necessari un maggior rigore e una valutazione accurata della situazione politica e sociale dei singoli Paesi destinatari, al fine di impedire l’ingresso di ogni tipo di arma in contesti di conflitti armati o di violazione di diritti umani, qualora non vi sia certezza in merito alla destinazione e all’uso finale delle merci. Eppure queste armi non sono soggette alla disciplina e alle misure di trasparenza previste dalla legge 185 del 1990 che regola i controlli sulle armi da guerra.
Per un Paese come l’Italia, che si è impegnato in sede ONU a controllare la proliferazione di armi leggere al fine di evitare conflitti e violazioni dei diritti umani, un miglioramento dei controlli sulle armi civili sarebbe il passo più concreto verso questa direzione.
Famiglie armate
In Italia c’è un vero e proprio arsenale bellico “parallelo”: sono, infatti, circa 10 milioni le armi legali presenti in Italia, con almeno quattro milioni di famiglie “armate”, cioè in possesso di almeno una pistola.
È quanto emerge dal Rapporto Italia 2008 di Eurispes.
Nel 2007 risulta che 4,8 milioni di persone, pari all’8,4% della popolazione totale, detengono un’arma da fuoco corta o lunga, da caccia o da tiro a segno o ancora da difesa (Dipartimento Armi ed Espolosivi Ministero dell’Interno). Sono 34mila i privati che posseggono un porto d’armi, ai quali si sommano le oltre 50mila guardie giurate, i circa 800mila cacciatori con licenza per abilitazione all’esercizio venatorio e i 178mila permessi per uso sportivo (tiro a volo o tiro a segno).
Altri 3 milioni di italiani hanno denunciato, invece, la presenza di armi in casa, ereditate o inservibili.
L’Eurispes stima che ogni anno in Italia si producono 629.152 armi, con una proporzione di detenzione di un’arma ogni dieci persone. Un giro d’affari con cifre che sfiorano i 2 miliardi di euro tra produzione e indotto (abbigliamento, oggettistica, accessori). Una fabbricazione che raggiunge percentuali significative: le armi lunghe prodotte coprono il 70% dell’offerta europea, per le armi corte la percentuale scende al 20%; un business, dunque, quello italiano tra tradizione e tecnologia, con un considerevole epicentro a Brescia, dove l’incidenza percentuale di produzione nazionale in quest’area – che raccoglie 143 imprese del settore armieristico – sfiora addirittura il 90%.
Sono cifre, quelle sopra esposte, dalle quali si evince soprattutto la percezione del senso di insicurezza collettiva che dilaga nel nostro Paese. È forse proprio a causa del generale clima di insicurezza che i cittadini avvertono l’esigenza di munirsi di un’arma propria, da tenere in casa, un’arma che rappresenti una tutela.
Nel 2003, ad esempio, nella sola Capitale sono state avanzate 5.000 richieste per concessione di porto d’armi rispetto alle 9.800 richieste del 2005 e alle 11.250 del 2006, anno che ha visto l’approvazione della legge 13 febbraio n. 59/06 che ha modificato l’articolo 52 del C.P. in materia di “difesa legittima”.
Infine, si collocano in cima alla lista delle città più armate nel 2007 Torino e Milano, seguite da Roma e provincia, con circa 2 milioni di armi regolarmente detenute su un totale di 10 milioni di “pezzi” presenti sul territorio nazionale. Significativa anche la situazione nella provincia di Nuoro, in cui, agli oltre 1.200 possessori di porto di pistola rilasciati o rinnovati prima del 2007, debbono considerarsi anche i 17.700 cittadini con porto di fucile per uso venatorio, con una media pari a un’arma ogni 10 abitanti.