PAROLA A RISCHIO

Risorgerò nel mio popolo

Sulle orme di don Tonino, invochiamo Romero perché la Parola di Dio possa essere incarnata nella storia, pronunciata senza sconti, fonte di denunce e di preghiere.
Salvatore Leopizzi

Noi t’invochiamo, Romero, vescovo dei poveri, intrepido assertore della giustizia, martire della pace: ottienici dal Signore il dono di mettere la sua Parola al primo posto e aiutaci a intuirne la radicalità e a sostenerne la potenza, anche quando essa ci trascende.
Liberaci dalla tentazione di decurtarla per paura dei potenti, di addomesticarla per riguardo di chi comanda, di svilirla per timore che ci coinvolga.
Non permettere che sulle nostre labbra la Parola di Dio si inquini con i detriti delle ideologie. Ma dacci una mano perché possiamo coraggiosamente incarnarla nella cronaca, nella piccola cronaca personale e comunitaria, e produca così storia di salvezza.
Don Tonino Bello

Lex orandi, lex credendi. Così si diceva un tempo. Ovvero – forzando la traduzione – dimmi come preghi e saprò come credi.
Anche nel piccolo brano dell’invocazione rivolta a mons. Romero, tu don Tonino ci fornisci non solo l’identikit essenziale del vescovo assassinato dal tracotante Potere, ma ci consenti anche di decifrare le incandescenti passioni e i sogni diurni che hanno ferito i tuoi giorni e incendiato la tua esistenza.

Vescovo dei poveri
Intrepido assertore della giustizia, martire della pace.
Come in uno specchio contemplavi in Romero l’icona del pastore secondo il cuore di Cristo, il pastore che sa offrire la sua vita per salvare le pecore dai lupi. E in lui vedevi realizzarsi il modello di Chiesa generato dal Concilio: Chiesa dei poveri, vigile sentinella della città, tenda della tenerezza divina, coscienza profetica della giustizia, laboratorio di pace, roveto ardente di speranza e fermento di globale riscatto...
Perciò andavi scrutando nelle pieghe degli eventi i segnali e le tracce del tempo già nuovo, il tempo degli uomini liberi che diventano amici. Ti si scaldava il cuore quando tra le comunità dei credenti riconoscevi le orme del Risorto nella coraggiosa fedeltà di tanti testimoni perseguitati e uccisi per la causa del Vangelo.
Intravedesti con gioia i traguardi del Regno quando nel 1989 a Basilea le Chiese cristiane si avviarono, con slancio davvero ecumenico, sui sentieri di Isaia per camminare insieme nella direzione di Pace-Giustizia-Salvaguardia del creato. Avverto ancora il brivido di commozione che provai quando, nell’Arena di Verona, la tua voce fiammeggiante riversava sul popolo della pace il vento caldo di quella terra che tu stesso solevi chiamare eutopia, la terra bella, buona e conviviale.
Finché per secoli e secoli nelle nostre Chiese abbiamo parlato di pace, nessuno ha contestato. Quando, sulla scorta della Parola di Dio, si è scoperta la stretta parentela della pace con la giustizia, si sono scatenate le censure dei potenti (dal discorso pronunciato all’Arena di Verona il 30 aprile 1989, nel terzo raduno organizzato da Beati i costruttori di Pace).
Delineavi l’ordine del giorno di una Chiesa che sa collocare la Parola al primo posto e in essa trova le sue radici e le sue ragioni, il suo alimento e il suo coraggio, la sua norma e il suo oltre.
Ti brillavano gli occhi ed esultava il tuo spirito quando indicavi in Romero, colpito con il calice in mano, l’immagine viva e convincente di una Chiesa che annuncia la Pasqua di Gesù e dei suoi fedeli discepoli, denuncia le agenzie della morte senza sfumarne i nomi e le cifre, rinuncia ai segni del suo abusivo potere per rimanere libera e solidale con le vittime.
Ed è la Parola pronunciata senza sconti e senza tornaconti che la rende forte nella parresìa di fronte alla minacce dei carnefici o alle lusinghe dei signori di questo mondo.

Soldati vi prego
Vi supplico, vi scongiuro, vi ordino: deponete le armi, non uccidete più…
E invece i sicari (cristiani?!) lo uccisero. Anzi, disse allora Padre Turoldo, Dio stesso lo ha sacrificato, lo ha voluto vittima su quell’altare del Salvador perché il mondo aprisse gli occhi,perché ogni vescovo potesse proseguire quella messa.
Anche tu, don Tonino, ripetesti più volte, soprattutto durante la prima guerra del Golfo: Soldato, ascolta la tua coscienza, non sganciare la bomba, scendi dall’aereo, non ammazzare i tuoi fratelli… ogni omicidio è fratricidio. E lo dicevi perché vescovo, servo, maestro e testimone della Parola. Una Parola che non hai decurtato per paura dei potenti, né addomesticato per riguardo di chi comanda, né svilito per timore che ti coinvolgesse. I guardiani di ogni Palazzo ti giudicarono imprudente, estremista, spericolato. La tua sembrò essere apologia di reato, istigazione a disertare, ma la Parola sulla tua bocca è risuonata sine glossa, integra nella sua verginità originaria. Tu non uccidere…
Rimetti la spada nel fodero perché chi di spada ferisce, di spada perisce… Il vostro parlare sia sì sì, no no… Sì alla vita, a ogni vita, a tutta la vita. Perciò no alla violenza, a ogni violenza che uccide la vita dal suo sorgere al suo tramonto.
Nella tua Chiesa, come Oscar Romero nella sua, hai mantenuto il cantus firmus di quella Parola senza adattarne le note e le tonalità alle esigenze dell’audience o ai flussi del mercato.
Tornasti dal Salvador, dove con Pax Christi avevi partecipato al decennale del martirio del vescovo fatto popolo, e raccontavi con accenti di ammirato stupore la bellezza di quella Chiesa fattasi anch’essa popolo di Dio in esodo tra diluvio e arcobaleno. Chiesa incarnata nei villaggi degli empobrecidos e che nella ferialità della cronaca, spesso nera e violenta, scrive le pagine di una corale e totale liberazione.
Partecipando in mezzo alla gente alla via Crucis in un barrio di periferia, provasti la sensazione che lì, tra quelle baracche, il fango della miseria fosse ancora impastato col sangue dei martiri e perciò dalle pozzanghere della paura traluceva il riverbero della speranza. Quella via crucis, e lo dicevi con evidente entusiasmo, non era solo il pio esercizio di un antico rito, ma la storia viva di un popolo che nel Crocifisso-Risorto aveva già intravisto la propria via Lucis.
Hai mantenuto alta la profezia del Vangelo.
Hai continuato a sognare e a costruire una Chiesa altra, soffrendo anche la pubblica accusa o i fraterni rimproveri. Una Chiesa che, richiamando un’espressione poetica a te molto cara di Danilo Dolci, nasce quando un bambino impara a costruire provando a impastare sabbia e sogni inarrivabili.
Tu, proprio come i bambini a cui di diritto appartiene il Regno, hai provato a impastare la sabbia dei tuoi giorni, quella della piccola cronaca personale e comunitaria degli umili, con i sogni inarrivabili di Dio. Ci hai mostrato che solo in questa direzione si produce e fruttifica la storia della salvezza.
E se oggi è sempre più difficile sentire la voce di una sentinella annunciare che resta poco della notte, allora, per amicizia e per grazia, continua a farlo tu don Tonino vescovo dei poveri, intrepido assertore della giustizia, martire della pace.
Continua a farci sentire l’eco delle parole di monsignor Romero: “Se mi uccidono risorgerò nel mio popolo”.
Ripetici ancora: “Vedrete come, fra poco, la fioritura della primavera inonderà il mondo perchè andiamo verso momenti splendidi della storia. Non andiamo verso la catastrofe. Ricordatevelo. (…) Amate i poveri. Amate i poveri perché è da loro che viene la salvezza, ma amate anche la povertà. Non arricchitevi” (dall’intervento di don Tonino al termine della Messa Crismale, 8 aprile 1993).
Con le stesse parole con cui tu invocasti il vescovo Romero ora anche noi vogliamo invocare te “… Perché il Signore ci dia il privilegio di farci prossimo, come te, per tutti coloro che faticano a vivere. E se la sofferenza per il Regno ci lacererà le carni, fa’ che le stigmate lasciate dai chiodi nelle nostre mani crocifisse, siano feritoie attraverso le quali possiamo scorgere fin d’ora cieli nuovi e terre nuove” (da Prega per noi, in ricordo di Mons. O. Romero, in “Parole d’Amore” di A. Bello, La Meridiana,Luce e Vita e Insieme, 1993).

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