EDITORIALE

Dove sono i pacifisti?

La redazione

Che fine hanno fatto i pacifisti? Era l’agosto 1992. Erano gli anni caldi della ex Jugoslavia, quando qualche giornalista interrogò provocatoriamente il popolo dei pacifisti, nella persona di Tonino Bello, sul ruolo della nonviolenza di fronte a quella tragica guerra che si consumava ai confini di casa nostra.
Che fine ha fatto il movimento per la pace? Ci chiediamo oggi. Che fine hanno fatto i colori vivaci delle bandiere, gli sguardi luminosi di quanti, nelle vie di Firenze e poi di Roma, hanno sfilato per dire ad alta voce che la guerra in Iraq era ingiusta e illegale?
Che fine hanno fatto i sognatori che hanno disegnato, con progetti lungimiranti e ben definiti, un “altro mondo possibile”? Si limitavano a sfilare/protestare o avevano un progetto più ampio, politico nel senso profondo del termine?
C’eravamo anche noi. Non erano sogni di bambini. Non erano utopie di sfaccendati. Eppure ci ritroviamo a questo punto. “Da cittadini a sudditi”, direbbe Danilo Zolo, “nel bel mezzo di un “processo di regressione politica oggi in corso nelle ‘democrazie del benessere’ occidentali”. Sembra davvero che lo status di cittadino si identifichi sempre più con quello di suddito e sia connotato sempre meno dal riconoscimento di diritti, di dignità, di appartenenza. Senza che peraltro gli stessi sudditi protestino troppo.
Proviamo disagio. Avvertiamo il vuoto, la nostalgia di una partecipazione politica e civile fondata sul senso di appartenenza e sulla solidarietà, che si riconosca in orizzonti comuni, che sappia costruire legami forti. Dove siamo? Siamo capaci di avere visioni ampie e di individuare percorsi praticabili? Di dialogare con le rappresentanze istituzionali? O il voto è qualcosa che non ha nulla a che fare con l’impegno per la pace?
Eravamo in molti. Eppure oggi ci ritroviamo sulla soglia di un’Italia che ci preoccupa: perché in così tanti hanno espresso, con il proprio voto, l’idea di una società escludente, chiusa in frontiere fredde e solide, segnata da rigidi steccati?
Ci rifiutiamo di credere che tutti costoro abbiano aderito in coscienza a un modello di società in cui è meglio pagare meno tasse piuttosto che sostenere il bene comune, in cui è preferibile scagliare pietre contro determinate categorie piuttosto che garantire il rispetto della legalità da parte di tutti. Non è possibile che così tanta gente abbia sposato appieno programmi politici che si fondano sull’idea di una comunità umana frammentata, definita dal rifiuto di quanto è diverso, straniero, lontano.
Che fine hanno fatto i sognatori? Ci limitiamo a sognare o ci esprimiamo anche attraverso il voto? Riusciamo anche a vedere lo scempio che questo modello di sviluppo compie sulla nostra umanità? La carneficina quotidiana delle morti bianche? La violenza strutturale in cui siamo immersi, il potere delle lusinghe facili, i sorrisi dei palazzi?
La realtà ci impone di fermarci, riflettere, chiederci quale mondo vogliamo. Per riconoscere che anche il nostro silenzio contribuisce a trasformare i diritti in favori, la cultura in qualcosa di superfluo, le istituzioni in barzellette, il valore delle persone nella loro capacità di consumare. Nonostante i numeri, noi siamo convinti di non esser i soli a credere che il fratello sia tale anche se il colore della sua pelle è diverso, se è giunto a casa nostra in modo clandestino o se semplicemente è nato in un’altra regione.
Continueremo a credere che l’impegno dei costruttori di pace è destinato a rimanere sterile se non è in grado di contribuire alla costruzione di un progetto politico, di contagiare la politica stessa, le istituzioni e le loro decisioni. Per questa ragione, con decisione, sposiamo la strada di un pacifismo politico come abbiamo ribadito anche nel dossier del numero di aprile scorso. Fare la pace con la politica oggi più che mai per noi è un impegno inderogabile.
Continueremo a riconoscerci, ancora e con più fermezza, nell’“uomo disarmato” di Benedetto XVI: “La guerra trova la sua origine nel cuore dell’uomo e il disarmo non interessa solo gli armamenti degli Stati, ma coinvolge ogni uomo, chiamato a disarmare il proprio cuore e ad essere dappertutto operatore di pace. La guerra non è mai inevitabile e la pace è sempre possibile, anzi doverosa! È giunto il momento di cambiare il corso della storia, di recuperare la fiducia, di coltivare il dialogo, di alimentare la solidarietà” (Seminario internazionale sul disarmo del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace).
Sì, può ancora rinascere l’uomo disarmato. E a chi difende le ragioni della violenza, risponderemo con la forza della nonviolenza. Proprio a 360 gradi. Neppure oggi, quindi, come nel lontano 1992, i nostri sono sogni svaniti del tutto. Non ci sarà più silenzio perché “la nostra fede in certi principi, che in fondo si identificano con le forti convinzioni del Vangelo, non subirà cadute di tono. Cadute di volume sì. Ma non di tono” (don Tonino Bello).

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