Disarmare l’umanità
Nei giorni 11-12 aprile si è svolto presso il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace (PCGeP) un seminario internazionale dal titolo “Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale”. Al seminario hanno partecipato più di 60 persone appartenenti alle realtà più diverse. Un’occasione unica e un confronto alto e non sempre facile sul tema disarmo e pace.
Quali proposte?
Benedetto XVI ha inviato un messaggio ampio e puntuale sul tema. Raramente da parte vaticana il giudizio è stato così forte: il riarmo in corso come “segno dei tempi”’, la non liceità di ogni armamento, la stretta relazione fra disarmo e sviluppo (con riferimento ampio alla Populorum Progressio e a Paolo VI), le “guerre del benessere”, il rischio di una guerra totale, lo sforzo nel controllo del mercato delle armi leggere che alimentano le guerre locali e uccidono ancora troppe persone, il rilancio di un vero e proprio diritto alla pace.
Purtroppo il Papa non ha fatto parola nella sua visita in Usa e all’ONU, pochi giorni dopo, dell’ingiustizia “riarmo” e della scelta del disarmo integrale come prioritaria. Un’occasione perduta!
Mons. Gianpaolo Crepaldi, introducendo ai lavori, ha elencato le 6 questioni che preoccupano oggi il PCGeP e che hanno sollecitato l’organizzazione del Seminario:
1) il livello eccessivo di spese militare e armamento degli Stati e lo stato attuale del processo di disarmo e controllo delle armi;
2) la tendenza alla sovrapposizione tra economia civile e militare;
3) il terrorismo e la sicurezza internazionale;
4) i settori biologico, chimico e nucleare in pieno sviluppo;
5) l’indebolimento dei sistemi di monitoraggio nei settori chimico e nucleare;
6) il progresso tecnico-scientifico come mezzo per eludere le norme su disarmo e controllo di armi o come strumento di egemonia economica o militare.
Una persona armata?
Padre Sergio Bastianel s.j. interviene in modo lucido sul tema “Disarmo, una questione etica e spirituale”. “Che umanità vivono una persona armata, un gruppo armato, una nazione armata? Quale senso hanno per loro le relazioni fra le persone e i popoli? Chi sono gli altri? […] Non discutiamo la buona fede di nessuno e riconosciamo il peso delle circostanze (interiori ed esteriori) nel determinare la moralità concreta dei comportamenti. Ma non dimentichiamo che, in ogni caso, un’arma è uno strumento di relazione violenta, che si vuole efficace a danno di qualcuno, che viene costruita apposta per questo e non per altri possibili usi. Chi la possiede vuole avere a disposizione un tale strumento efficace di violenza, questo è il suo scopo, anche se preferisce non usarla, ma vuole tenerla pronta per l’uso, almeno ‘quando occorre’. E naturalmente non lasciando ad altri di decidere se e quando occorre. […] “Una logica di difesa, di possesso e dominio, ha animato e anima ancora l’interiorità di molti, nell’illusione di garantirsi così la propria vita e i propri progetti. Con ciò si costruisce una socialità attenta ai confini, preoccupata di darsi strutture adatte a ricercare un bene comune misurato sulla base del bene privato e di parte. Si progetta di fatto una convivenza di singoli , che si accordano in base all’interesse privato”.
Esiste un diritto alla pace?
Raymond Ranjeva, della Corte Internazionale di Giustizia, ha rilanciato il “diritto alla pace” come diritto fondamentale per le persone e per i popoli. “Il diritto alla pace, o più esattamente il diritto di vivere in pace, è un diritto acquisito del diritto positivo. La Carta Onu riconosce il diritto degli Stati alla pace. La Carta proibisce la guerra, l’uso della violenza e qualifica come crimine contro la pace ogni guerra di aggressione. Il diritto dei popoli alla pace è consacrato anche dalla Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli. Inoltre la Dichiarazione del 1984 dell’AGONU proclama il diritto dei popoli alla pace come diritto consacrato. Questo atto ribadisce l’obbligo fondamentale per ogni stato di preservare e promuovere il diritto dei popoli alla pace”.
Il problema serio è arrivare a una definizione condivisa di pace.
Il card. Raffaele Martino, presidente del PCGeP, ha proposto alcune conclusioni:
1) valorizzare la “Piccola enciclica sulla pace” che è stato il messaggio di Benedetto XVI;
2) senza una conversione dei cuori al bene e al giusto difficilmente si potrà realizzare un’eliminazione degli armamenti;
3) finché sarà presente il rischio di un’illegittima offesa, saranno necessari i mezzi per la legittima difesa;
4) concepire la legittimità di una difesa armata esclude qualsiasi uso arbitrario della violenza, o qualsiasi livello di armamento;
5) la complessità dell’analisi sul piano etico si ripercuote su quello politico, economico e giuridico;
6) preoccupa il fenomeno crescente del “dual use” di conoscenze e strumenti;
7) il PCGeP ha voluto ribadire l’importanza del dialogo, del multilateralismo, della cooperazione internazionale come base per un autentico processo di disarmo, per l’affermazione dei diritti umani e della pace nella comunità internazionale (diritto alla pace);
8) si tratta di moltiplicare gli attori della pace sulla scena globale e di sviluppare la partecipazione della società civile e dei gruppi di advocacy;
9) la trasparenza delle informazioni rende possibile all’opinione pubblica mondiale la conoscenza e la partecipazione alla costruzione del mondo;
10) se la guerra si fa diffusa e decentrata, quotidiana e smaterializzata… ebbene, anche la pace lo può essere, e lo deve essere;
11) Costruire la pace è anzitutto sottrarre il terreno alle ingiustizie e alle oppressioni che provocano la guerra.
La pace si costruisce a partire dalle proprie responsabilità nei confronti della giustizia, nei confronti del bene degli altri.
“Secondo me – ribadisce in un’intervista il card Martino – si devono fare tre cose: diffondere le necessarie conoscenze circa gli armamenti come presupposto di un’autentica educazione alla pace delle persone; poi promuovere un impegno ecumenico e internazionale delle religioni sul fronte del disarmo; e, terzo, fare proposte concrete che siano realistiche e percorribili per ridurre la produzione delle armi. Si deve soprattutto agire e operare affinché il disarmo venga collocato nel contesto di un rilancio di virtuosi processi di sviluppo umano, soprattutto dei Paesi poveri”.
Etica e disarmo
Mons. Pero Sudar, nostro caro amico e vescovo ausiliare di Sarajevo, coraggiosamente è intervenuto chiedendo che “un’assise così ufficiale come quella cui partecipiamo rimetta in discussione il concetto di legittima difesa e guerra giusta in quanto oggi non esistono uomini in grado di poter gestire in modo ‘giusto’ e limitato i sistemi di arma attuali. Ugualmente dobbiamo denunciare il fatto che alcuni interventi umanitari messi in atto in questi anni non sono tali e non possiamo sostenerli. Con le armi di oggi le guerre non hanno senso, non ci sono vincitori né vinti, ma solo vittime e impoverimento globale”.
Un dibattito così ricco e ampio non è ancora in grado di rispondere ad alcune questioni fondamentali che vorrei semplicemente elencare e che saranno oggetto di ulteriori approfondimenti:
1) La scelta nonviolenta come questione etica e spirituale: la nonviolenza è opzione evangelica?
2) L’obiezione di coscienza all’uso, alla produzione, al commercio delle armi è ancora valida e appoggiata dalla Chiesa cattolica?
3) Anni fa il principio di deterrenza era accettato dall’etica cattolica, poi sconfessato perché usato per il riarmo e non per il disarmo. Oggi non dovremmo mettere in discussione anche il “principio di sufficienza” per lo stesso motivo?
4) La confusione, voluta e progettata, fra militare, umanitario, cooperazione, missioni di pace e guerra è pericolosissima. Se vogliamo l’esercito, chiariamone il ruolo, limitato e ben definito. Perchè non creare altre agenzie e strutture adeguate?
5) La proposta della riconversione dell’industria militare e bellica, come via etica e responsabilità politica ed economica, è sostenuta dalla nostre comunità?
6) I Corpi Civili di Pace possono essere via decisiva per la realizzazione del Diritto Umanitario di Pace?