Un salto all’inferno
Mercenari: un’accezione negativa che tutti comprendiamo appena incontrata; dai campi di calcio al luogo di lavoro, dalla politica agli avvenimenti quotidiani, la parola “mercenario” indica senza ombra di dubbio un comportamento gretto e una disposizione a lucrare sulle sventure o addirittura sulla distruzione altrui.
Messa in questa maniera, l’analisi di uno dei mestieri comunque più antichi della terra (si veda in tal senso l’articolo di Antonino Adamo incluso in questo dossier) sembrerebbe cosa facile o addirittura già fatta.
Una semplice “presa d’atto” che questa attività continua a essere praticata anche al giorno d’oggi, cozzando in qualche modo con l’opinione diffusa delle società democratiche e protese verso la pacificazione.
Eppure, sebbene sia comunque vera l’attuale esistenza di gruppi o individui che, in maniera residuale, vendono direttamente al miglior offerente le proprie capacità di violenza, la situazione è profondamente cambiata.
Nel mondo come nell’ambito della vendita di servizi militari privati.
I mercenari nel XXI secolo
A un certo punto, non molto tempo fa, qualcosa è andato in una direzione ben diversa.
I cadaveri degli uomini della Blackwater penzolanti dai ponti di Fallujah; gli spari su veicoli civili provenienti da un’auto in corsa dell’Aegis Defense Services e, in Italia, la drammatica vicenda del rapimento dei quattro operatori di sicurezza privata culminata con l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi (l’aspetto “tricolore” di questo tema è approfondito da Pierpaolo Lio). Tutti episodi, tutte immagini che hanno contribuito, con lo sfondo tragico dell’inferno iracheno, a catapultare con forza e crudezza alla nostra attenzione i nuovi attori dello scacchiere militare e di guerra: le compagnie militari private, le nuove compagnie di ventura del XXI secolo.
Uno shock che ha visto impreparata non solo l’opinione pubblica, ma anche gli analisti di ogni ordine e grado, incapaci di cogliere le dinamiche e la portata di un fenomeno comunque iniziato almeno qualche decennio prima dell’intervento della “coalizione dei volenterosi” nelle infuocate sabbie mesopotamiche.
La ripresa dell’affidamento a privati di servizi di natura bellica e militare (o anche di diretto uso della violenza), una tendenza storica messa da parte dall’avvento dello Stato moderno, è figlia di trasformazioni socio-economiche profonde che hanno investito i cosiddetti “paesi avanzati” almeno a partire dagli anni Ottanta del Novecento. Si può affermare, con poche possibilità di smentita, che l’esternalizzazione della guerra dagli ambiti pubblici e statali sia figlia della privatizzazione “di qualsiasi cosa” che ha avuto come genitori Margaret Tatcher e Ronald Reagan.
Lentamente, ma inesorabilmente, il processo che ha visto gli Stati cedere parti sempre più cospicue delle proprie prerogative, e anche della propria sovranità, ha coinvolto pure l’ambito più fortemente costitutivo del concetto di Stato moderno come comunemente lo si intende: il monopolio sull’uso legittimo della violenza.
Siamo, quindi, di fronte a un fenomeno che non è nato negli ultimi cinque anni, anche se ovviamente le campagne militari della comunità internazionale in Iraq e in Afghanistan hanno fatto esplodere in maniera epidemica qualcosa che semplicemente covava da diverso tempo. Diversi sono gli episodi che si potrebbero riferire riguardo alle operazioni condotte da alcune aziende di servizi militari in molti scenari, già a cavallo dell’inizio degli anni Novanta nello scorso secolo. Eppure non andremo in questo dossier a rivangare i “tempi eroici” in cui Tim Spicer e le sue aziende cercavano di contrabbandare armi in Sierra Leone ed effettuare colpi di stato in Papua Nuova Guinea, oppure quando la MPRI a stelle e strisce addestrava e coordinava l’esercito croato nella famigerata Operazione Tempesta. Pur nella problematicità e, spesso, nella crudezza di questi episodi non ci pare che la pericolosità maggiore sia nei misfatti compiuti, o in procinto di esserlo, da parte dei dipendenti di queste compagnie. Purtroppo questa è anche l’esperienza di molte missioni condotte da eserciti regolari. Il vero punto di svolta nella portata devastante di questo fenomeno sta, invece, nella sua capacità di incanalarsi nelle situazioni più ordinarie della politica e soprattutto dell’economia. Proprio la dimensione economica, con una capacità di innovazione “imprenditoriale” ormai ad altissimi livelli, è la vera cartina di tornasole del mondo delle compagnie militari private e dei loro affari. Ciò che ne caratterizza le strutture, gli obiettivi e le dinamiche.
Lo si capisce bene dalla parabola dei contratti che queste aziende sono state in grado di accaparrarsi. Dalla marginalità politica e remunerativa delle prime esperienze africane, asiatiche e balcaniche alla ferrea presa sul capezzolo della più inesauribile fonte di spesa militare che il mondo (e forse la storia) abbiano mai visto: quella dell’amministrazione statunitense. Che si porta a ruota le ancelle britanniche e anglosassoni e i paesi alleati che sono immersi nelle aree più a rischio del paese (Arabia Saudita in testa).
Con questa prospettiva, che vuole essere molto concreta e operativa (anche per stimolare scelte e prese di posizione da parte della società civile che punta alla costruzione della Pace) andremo a dare uno sguardo a questo rilevante fenomeno.
Sommario:
Un fenomeno nuovo?
L’evoluzione del soldato mercenario: i processi di privatizzazione della sicurezza nel tempo. Ma lo Stato ha il monopolio dell’uso della forza?
Antonino Adamo
Chi sono i contractors?
Schede e approfondimenti sulle compagnie militari private: classificazioni, servizi, risvolti e connessioni economiche e politiche.
Cosa c’è dietro il mercato della violenza?
A cura della redazione
Rambo made in Italy
Il mercato della sicurezza italiano: nomi, luoghi, sigle di chi vende la propria vita al servizio della violenza armata.
Pierpalo Lio
Privatizzazione della pace?
Le compagnie militari private come agenti di interventi di peacekeeping e umanitari?
Francesco Vignarca
Note
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