Nuovi stili di vita
Le falle del sistema economico-finanziario richiedono l’impegno e la coerenza di tutti.
Se nell’articolo precedente si è fatto un ragionamento teorico d’impostazione del problema, ora è opportuno analizzare il rapporto tra cristiani ed economia nei suoi aspetti pratici, analizzando sia la realtà nelle fasi storiche sia il presente. Partiamo dalla fase storica.
Per scelta e per necessità
Il cammino storico della chiesa sembra quasi astenersi da questa problematica, così come intesa oggi, poiché solo sporadicamente alcuni mo¬ralisti hanno ragionato e approfondito la questione economica e finanziaria fino alla nascita della Dottrina Sociale della Chiesa nel 1891, con l’Enciclica Rerum Novarum.
Per il mondo cattolico, di fatto fino alla metà del 1800, l’interesse sui prestiti era controverso, se si poteva considerarlo usura o no, non essendo concretamente chiare le indicazioni e i casi particolari della lettera Enciclica Vix pervenit del 1745 di papa Benedetto XIV.
Prima di allora, e con gli approfondimenti su questo tema da parte dell’Aquinate e altri, si diceva che il denaro doveva essere sterile, nel senso che non poteva dar frutti, gli interessi, così come aveva intuito Aristotele all’interno di un’economia che lui definiva chrematistiké (creazione di ricchezza conseguente all’accumulo di denaro per se stesso) al posto di oikonomiké (funzionale al soddisfacimento dei bisogni della famiglia e della comunità). Ciò indubbiamente non ha creato le basi per uno sviluppo di un pensiero economico/finanziario adeguato epistologicamente ai tempi; fatto salvo che successivamente la ricerca di alti rendimenti è divenuta sempre più, anche all’interno di correnti ecclesiali, una costante…: possiamo dire che si è passati dal niente al troppo!
In origine molti padri della chiesa, e molti altri santi successivamente, hanno visto come aspetto prioritario nella loro scelta di fede intensamente vissuta la povertà praticamente assoluta: esempi da tutti conosciuti sono quelli di S. Antonio Abate, ecc.; i più famosi, in seguito, sono quelli di S. Francesco d’Assisi, S. Rocco Confessore, Pietro Valdo (ossia colui che poi diede luogo alla prima divisione all’interno della chiesa cattolica: i valdesi). In pratica per essere felici seguaci del Cristo bisognava lasciare tutti i beni terreni per acquistare l’unico bene. Di fatto venivano a esserci due categorie di poveri: i poveri per necessità e/o storia (povertà passiva) e i poveri per scelta (povertà attiva) che, proprio per aver intrapreso un’opzione di vita, divenivano riveriti e, magari inconsapevolmente, potenti (come ben si può leggere in G. Todeschini: Ricchezza Francescana. Dalla povertà volontaria alla società di mercato. Per approfondimenti sull’economia francescana è poi necessario leggere Bruni/Zamagni: Economia civile. Efficienza, equità e pubblica felicità.). Da queste situazioni, però, emergeva in ogni caso una tensione etica che man mano ha portato a una presa di coscienza tale che i francescani (partiti da Sorella Povertà) hanno iniziato a studiare a fondo l’economia per risollevare il povero e da loro sono nate quelle istituzioni creditizie che ben presto sarebbero diventate banche.
Le banche, ben diverse dai banchi dei famosi banchieri fiorentini, genovesi, milanesi, ecc., nacquero infatti dai famosi Monti di pietà, (o Monti Granatici o Monte dei pegni, ecc.) per combattere la piaga dell’usura, molto praticata all’epoca, in particolare ad opera di due grandi frati: S. Bernardino da Siena e da S. Bernardino da Feltre. Si pensi poi a frà Luca Pacioli che a Siena nel 1494 pubblicò i suoi scritti in cui esplicitò le sue invenzioni: la ragioneria e la partita doppia e la contabilità aziendale. Il fine era sempre quello di creare un mercato sociale e aiutare il povero.
Così da quell’intuizione di banca sociale nacquero successivamente le Casse di Risparmio, le Banche popolari e le Casse rurali.
L’etica del denaro
Studiando il cristianesimo successivamente sembra trovarsi un maggior interesse per il mondo sociale ed economico nel mondo protestante e, parrebbe, meno in quello cattolico (si ricordino le tesi di Calvino, Smith, Weber e di tutti i pensatori classici economici non italiani). Di fatto, si scorda la figura di un illustre presbitero, Antonio Genovesi, che – primo preside della I facoltà al mondo di economia a Napoli nel 1700 – illustrò il mercato sociale e l’economia civile e che solo oggi viene rivalutato. L’attenzione reale e quasi sistematica a questi problemi ha una prima forte apertura con l’enciclica Rerum Novarum. Da quel momento, infatti, la Chiesa si aprì e diede origine a nuove realtà economiche di aiuto, tra le quali spiccano sia l’enorme diffusione delle Casse Rurali di matrice cattolica per il credito al mondo contadino e artigiano e sia la nascita di parecchie banche private confessionali: ma le positive attese sulle loro potenzialità e sulla loro operatività sono, ahimè!, durate poco… divenendo queste ultime banche praticamente uguali alle altre.
La coscienza su questi temi era però non diffusa più di tanto, a parte i fulgidi esempi del Toniolo, Luzzati, del (Beato) Tovini (fondatore, tra l’altro, del Banco Ambrosiano), per non citarne che alcuni. La riflessione sull’etica del denaro, il chiedersi sull’uso proprio e giusto del denaro in senso sociale e non solo sull’accumulo per una visione erratamente capitalistica e libertaria, non ha dato grandi frutti e ciò risulta ancora da cattivi esempi di investimento da parte anche di istituti religiosi e addirittura di Conferenze Episcopali (si pensi ai vari problemi legati ai “banchieri di Dio”, ai problemi avuti da loro sulle perdite legate a operazioni finanziarie, ecc. Chissà, poi, cosa sta accadendo loro oggi con l’attuale grande crisi finanziaria mondiale!).
Insomma il voler guadagnare di più, con il loro risparmio, sui mercati finanziari per venire in ogni caso incontro a esigenze vere per la realizzazione delle loro mission (senza preoccuparsi di come e in che cosa andava investito) ha sempre più fatto venire meno, nei fatti, l’abbandono non solo al senso di giustizia, ma anche alla provvidenza, tipico del cristiano assiduo alla lettura del Vangelo e alla sequela del Cristo.
Questo per parlare solo della problematica finanziaria. Se prendiamo in considerazione la tematica economica (e giuridica) in modo più esteso, i problemi si aggravano: si pensi solo al concetto di proprietà privata che nella chiesa ha interamente seguito, invece della Bibbia, i dettami del filosofo inglese J. Locke che introdusse la fondazione deontologica della stessa col concetto che la proprietà privata è un diritto naturale, prima ancora che positivo (non si può non leggere la notevole Teologia Morale, vol. 3/1 di E. Chiavacci, cui rimando). Quanti problemi sono derivati da questo…!
I documenti conciliari, le encicliche sociali di Paolo VI di Giovanni Paolo II, il compendio della D.S.C. e molti altri testi episcopali hanno riproposto il problema (si ricordi solo il Giubileo del 2000): prima salutati con entusiasmo ma poi subito rimossi, sono stati ritenuti o utopia o al massimo un pio desiderio in un mercato divenuto sempre più capitalistico. Infatti, la conoscenza di essi è scarsa o inesistente ad ogni livello.
Cambiare si può!
Si può, quindi, dire che il cittadino cristiano è stato lasciato solo e non poteva fare altro che quello che ha fatto: vivere il suo cristianesimo e la sua cittadinanza in modo di¬scordante e controverso cercando di fare solo i suoi interessi che, come si sa, non sempre si coniugano con gli interessi comunitari. Ora chiaramente egli, che capisce che è arrivato il momento di cambiare strada, è imbarazzato: si trova in un mondo in cui le situazioni economiche sono difficilissime e non ha un retaggio culturale teorico e pratico cui rapportarsi e non sa più come gestire la sua situazione anche religiosa; manca, inoltre, di testimonianze vere e credibili tali che la sua scelta di vita può diventare una sequela per nuovi stili di vita che si capiscono giusti, ma non facili da realizzarsi. Saprà l’essere umano saper vivere all’altezza della missione cristiana affidagli?