Educhiamoci
Il documento per il decennio del cammino pastorale della Chiesa in Italia si propone di accompagnare e indirizzare le attività formative delle diocesi, gruppi e associazioni per i prossimi anni. L’attitudine a dare un tema generale ai vari impegni e al dinamismo presente nelle comunità cristiane, è ormai consolidato. Anche noi, aderenti a Pax Christi e lettori di Mosaico di pace, siamo chiamati a soffermarci, con attenzione e continuità, sul significato della scelta della Chiesa italiana. “Educare alla vita buona del Vangelo”, ecco il titolo del documento, che si apre con un’insolita citazione di Clemente di Alessandria, autore vissuto in Egitto nel II secolo, nella quale il cristiano è definito come colui che si fa allievo di Cristo educatore.
Il processo educativo ha, dunque, sempre impegnato la comunità cristiana così come pure la comunità civile. Negli ultimi decenni, però, si sono manifestati numerosi segnali di una speciale fatica a educare. L’ingresso nel quotidiano della tecnologia che sviluppa e rende accessibili a tutti i media è certamente una delle concause delle difficoltà dell’educatore. La modalità di trasmissione del sapere e degli esempi di comportamento che questi mezzi inducono, hanno fortemente incrinato, quando non sostituito, le modalità educative tradizionali. Ma la questione educativa si pone anche nei Paesi impoveriti, perché squilibri politici ed economici, lasciano una gran parte della popolazione in condizione di sottosviluppo educativo, con grande danno non solo di quei popoli ma di tutta l’umanità.
Se vogliamo riflettere sul compito educativo della comunità cristiana, ci accorgiamo subito che la questione della formazione delle persone si pone in maniera più ampia e più impegnativa. Siamo, infatti, d’accordo che l’educare comporta l’offerta di occasioni di crescita, in grado di aiutare le persone a sviluppare tutte le caratteristiche positive che portano in sé. È chiarificante, in questo senso, il fare riferimento alla parola stessa: educare, cioè trarre fuori, far emergere e far maturare.
Il punto d’arrivo è, dunque, la capacità della persona di utilizzare tutte le forze di cui dispone, psichiche, spirituali, morali, per affrontare e superare le sfide o le difficoltà che la vita gli pone così da poter camminare spedita verso la propria maturità umana.
Nuovo e diverso passo è, invece, richiesto per quanto riguarda la fede. Essa è un dono che viene da Dio; non lo possiamo esigere o conquistare. Secondo la Scrittura è fede il porre il proprio piede sulla roccia solida, dicendo ‘amen’ ‘così sia’ alla proposta di Dio. Fede è sostenere l’attesa del realizzarsi della promessa di Dio. Dunque, si può usare la parola ‘educare’ per quanto riguarda il cammino verso la fede, ma intendendo ciò come un aiuto offerto alla persona perché possa stare di fronte alla vocazione di Dio con tutta la libertà che è possibile, con la capacità di utilizzare tutto lo spazio di decisione personale che può impiegare.
PAX CHRISTI E I GIOVANI
La prima attenzione che oggi un movimento che sta nell’ambito della Chiesa deve porsi, è dunque questo. Come si pone il problema dell’educazione? Se ci soffermiamo soprattutto sul mondo giovanile, dato che spesso ci rendiamo conto che questo settore della società e della Chiesa non è presente alle attività di Pax Christi, è interessante farci accompagnare da qualche dato. Sul tema del rapporto tra giovani e fede sono stare realizzate, nel corso del 2010, alcune inchieste demoscopiche che hanno dato risultati molto simili. Proviamo a raccogliere i risultati della ricerca commissionata dalla rivista Il Regno.
Essa afferma che in Italia quanti hanno tra i 18 e i 29 sono coloro che credono di meno in Dio, pregano di meno, vanno di meno in Chiesa, hanno minore fiducia nelle figure istituzionali della Chiesa. Il fatto mostra certamente quanto incida su questa condizione l’affermarsi di una mentalità consumistica e secolarizzata. Ma evidentemente il problema è più ampio se, sempre secondo la rivista il Regno, le ultime rilevazioni indicano che la tradizionale differenza tra universo femminile – più disponibile alla prassi religiosa – e quello maschile, più restio, tende a sparire. Insomma, le giovani donne credono/non credono nella stessa percentuale dei giovani maschi. Questo dato è stato anche chiaramente confermato da un’altra delle indagini che prima ho richiamato, quella dell’Osservatorio Socio-religioso del Triveneto, che è già disponibile in volume (A. CASTEGNARO, a cura di, C’è campo? Marcianum Press, Venezia, 2010).
Insomma: più sei giovane, più sei istruito, più sei donna, maggiori possibilità hai di non essere cristiano/cattolico.
Che cosa è dunque capitato? Come mai ci troviamo in questa condizione? La spiegazione più semplice, quella a cui si ricorre con maggiore frequenza, è il rilievo mosso alla comunità cristiana italiana e alla sua relativa mutezza nei confronti di grandi e irrisolte necessità del nostro Paese. Un’apparente disattenzione ufficiale alle domande dei nostri contemporanei, quali l’inclusione sociale, il lavoro, l’etica pubblica, favorirebbe un distacco dalla fede di quanti sono sensibili a questi temi e, tra costoro, vi sono certamente in giovani. È indubbio che non si possono dimenticare queste cause; tuttavia la questione della disponibilità alla fede ha ragioni più profonde e difficili. Proviamo a indagarle.
Quando il bimbo esce alla vita, non può sopravvivere se qualcuno non si prende cura di lui. La pecora sa subito mangiare, il figlio di donna deve essere accudito in tutto e per tutto. La piccola creatura cresce e si sviluppa nutrendosi, per così dire, di stimoli esterni, ma in particolare sopravvive per la fiducia nell’altro. La fiducia è stretta parente della fede; tra il fidarsi di una persona, di una parola, di un’intenzione manifestata e la fede, il passo è breve.
Dal momento poi della nostra nascita in avanti, quante sono le azioni che noi poniamo solo in ragione della fiducia che ci fa dipendere dall’altro? E tutto questo, lo sappiamo bene, ci costruisce positivamente. Ma improvvisamente, all’età della vita nella quale noi possiamo liberamente decidere di vivere di fiducia nell’altro o di dare fiducia, ecco che in questi anni e nella nostra cultura europea, i giovani e gli adulti avvertono come aprirsi una grande voragine interiore. E si domandano: posso fidarmi di te? Altre volte addirittura si dicono: Posso fidarmi di me stesso, dei miei sentimenti, delle parole che dico e delle promesse che offro? Ci sono bellissime storie d’amore che non raggiungono mai la forza e la pienezza della fiducia in modo tale da diventare una avventura condivisa; non osiamo fidarci dell’altro fino in fondo. Ci sono storie familiari che soffrono a causa di separazioni per le quali scelte di alleanza vengono interrotte, generando fatiche e sofferenze profonde, capaci di coinvolgere per anni in cupi gorghi di depressione.
La conclusione è semplice: non si può vivere senza fede nell’altro, nei rapporti personali donati e ricevuti, nelle parole in cui esprimiamo l’animo più profondo di noi stessi. Se siamo in difficoltà a porre l’atto umano dell’avere fiducia, di porre fede nell’altro, come può la persona porre l’atto del credere in Dio? Educarci a una vita buona è anche educarci ad aprire l’animo alla proposta della fede. Ed è questa capacità che ci consente di farci allievi del divino pedagogo. Di questo parleremo la prossima volta.