Un colpo di mano
Oltre 7,5 miliardi di euro di esportazioni di armamenti autorizzate verso i Paesi del Sud del mondo negli ultimi cinque anni (cfr. tabella allegata). Tra i principali destinatari, nazioni attive in conflitti come la Turchia nel Kurdistan iracheno (1,5 miliardi di euro); Stati in cui la situazione dei diritti umani è “spaventosa” come l’Arabia Saudita (1,2 miliardi di euro) e dove vige la tortura come gli Emirati Arabi Uniti (682 milioni di euro); Paesi segnati da povertà diffusa e dove vige “l’impunità per le violazioni dei diritti umani” come il Pakistan (647 milioni) e l’India (594 milioni). Basterebbero queste cifre, per farci capire che una buona legge fortemente voluta da un ampio movimento della società civile, come la 185 del 1990, non è stata sufficiente a prevenire esportazioni di armamenti indesiderate. E che hanno contribuito a incrementare gli arsenali militari di nazioni il cui tasso di democraticità, di tutela dei diritti umani e di rispetto delle convenzioni internazionali non è tra i più brillanti.
Ma non è un buon motivo per mandarla in pensione, semmai una ragione in più per rafforzarla. L’impegno è oggi ancor più urgente di fronte all’annunciata modifica della legge: per recepire una direttiva europea (dir. 2009/43/CE) che “semplifica le modalità e le condizioni dei trasferimenti all’interno della Comunità dei prodotti per la difesa” il governo Berlusconi intende far approvare un disegno di legge delega e procedere al “riordino generale della materia”.
La novità c’è ed è rilevante. Riguarda sia lo strumento scelto (la legge delega), sia le modalità di approvazione: all’interno della legge comunitaria, la normativa omnibus che raccoglie le direttive europee.
“Con la legge delega – spiega Chiara Bonaiuti, direttrice dell’Osservatorio sul Commercio di Armi (Os.C.Ar.) di IRES Toscana – si riduce il potere legislativo di regolamentare una materia che tocca i temi della politica estera e di difesa italiana sottraendo al Parlamento e alla società civile una titolarità che era stata al centro di tutto l’impianto della legge 185/90”. La Rete italiana per il disarmo e la Tavola della pace hanno prontamente denunciato il “colpo di mano” del governo. La pronta mobilitazione delle due associazioni il 23 novembre scorso ha avuto il merito di destare l’attenzione di alcuni parlamentari che hanno chiesto (ma non ancora ottenuto) lo stralcio della norma dalla legge comunitaria e sono riusciti a far rinviare il voto in commissione. Ma non si può certo abbassare la guardia perché alla ripresa dei lavori è certo che il Governo – forte anche della rinnovata maggioranza – ritornerà alla carica.
La precedente legislatura del Parlamento Europeo si è conclusa dando alla luce tre nuove normative nel settore degli armamenti (cfr. Mosaico di pace di Aprile 2010, pp. 13-15). Due direttive, una sugli “acquisti pubblici di prodotti per la difesa e la sicurezza” (Dir. 2009/81/CE) e l’altra che stabilisce “nuove regole sui trasferimenti intracomunitari di armamenti” (Dir. 2009/43/CE) e una nuova “Posizione comune” (2008/944/PESC) sulle esportazioni di armamenti sono state approvate tra il dicembre 2008 e gennaio 2009. Le due direttive erano state proposte dalla Commissione europea nel dicembre 2007 nell’ambito del cosiddetto “Defence Package” e vanno recepite dagli stati membri entro il giugno 2011. La nuova “Posizione comune”, invece, ha portato a termine il processo decennale di revisione del “Codice di condotta” dell’Unione europea sulle esportazioni di armi del 1998.
L’intento proclamato delle due direttive è quello di “costruire un mercato dei prodotti della difesa efficace e trasparente” per garantire che “la concorrenza nel mercato interno non sia distorta”. Tutto ciò viene inquadrato nel più ampio contesto della politica estera e di sicurezza comune (PESC) europea allo scopo di “migliorare le forniture per le forze armate degli Stati membri e per il rafforzamento della base tecnologica e industriale europea per la difesa”. Il governo Berlusconi ha già formalmente recepito la direttiva sugli “acquisti pubblici di prodotti per la difesa” (Direttiva 2009/81/CE) nella legge comunitaria del 2009, ma singolarmente non ne ha ancora emanato i decreti applicativi. C’è ancora tempo, ma le recenti inchieste della magistratura su Finmeccanica, la principale azienda militare italiana, mostrano l’urgenza di trasparenza e di aprire la concorrenza negli settore degli appalti pubblici della difesa.
Per quanto riguarda invece l’altra direttiva, quella che stabilisce “nuove regole sui trasferimenti intracomunitari di armamenti” (Dir. 2009/43/CE), il governo non solo ha deciso di inserirla nella legge comunitaria, ma ha già presentato al Senato un disegno di legge delega (Atto Senato n. 2404) abbastanza definito, anche se – data la natura del dispositivo – non ancora sufficientemente dettagliato. Che prevede anche diverse norme che vanno al di là di quanto richiesto dalla direttiva comunitaria. Vediamone alcune.
Come prevede la direttiva europea, per semplificare le modalità dei trasferimenti dei prodotti per la difesa all’interno dell’Unione, il disegno di legge introduce tre tipologie di autorizzazioni: generale, globale e specifica. Ma, sebbene non sia richiesto dalla direttiva comunitaria, il disegno di legge prevede anche che tali disposizioni possano “essere applicate anche nei confronti dei Paesi terzi appartenenti o non appartenenti alla NATO” (art. 5. comma 1, m.).
Destinatari finali
Il disegno di legge non esplicita invece quale sia l’ambito di competenza che rimane al nostro Paese per quanto riguarda la decisione sul destinatario e utilizzatore finale dei materiali sottoposti a licenza generale e globale. La stessa direttiva europea non lo chiarisce specificando solamente che “gli Stati membri possono avvalersi della possibilità di richiedere garanzie circa l’impiego finale, inclusi certificati relativi all’utilizzatore finale” (art. 4, comma 6). Ma un conto è “richiedere garanzie” ben altro è mantenere la piena ed esclusiva facoltà di decisione sul destinatario finale.
Altro punto importante è l’esclusione dal disegno di legge governativo di tutte le operazioni che riguardano le cosiddette “armi comuni da sparo” per la difesa personale, sportive e da caccia e relative munizioni. Si tratta di tutta la tipologia di armi il cui controllo sulle autorizzazioni all’esportazione risale a una legge alquanto arretrata (la legge 110 del 1975) che conferisce al ministero dell’Interno, di fatto al Prefetto, la facoltà di autorizzazione all’esportazione. Secondo il registro delle Nazioni Unite (Comtrade) l’Italia è il principale esportatore mondiale di queste armi che sono reali “armi di distruzione di massa”: un motivo in più per aggiornare la legge (cfr. Tabella esportazioni italiane in armamenti).
Problema dei controlli
La direttiva europea prevede che il sistema dei controlli da parte delle strutture statali venga modificato da un sistema di autorizzazioni preventive (ex-ante) a uno di accertamenti successivi ai trasferimenti e alla vendita (ex-post). Che il controllo non sia soprattutto di tipo documentale come quello attualmente in vigore potrebbe rappresentare un miglioramento; ma è tutto da dimostrare che le future ispezioni si dimostrino realmente efficaci soprattutto se si considera che il costo dell’attività di ispezione ricadrà – come prevede il disegno di legge – sulle stesse aziende che dovrebbero essere controllate.
Per quanto riguarda l’informazione al Parlamento sulle attività autorizzate e svolte in materia di esportazioni il disegno di legge delega prevede genericamente solo che venga “redatta apposita relazione annuale dalla quale emergono le scelte di politica del Governo in materia di esportazioni di prodotti per la difesa” (art. 8, punto p). Ben diverso da quanto prevede la legge 185/90 che richiede relazione annuale contenga “indicazioni analitiche – per tipi, quantità e valori monetari – degli oggetti concernenti le operazioni contrattualmente definite indicandone gli stati di avanzamento annuali sulle esportazioni, importazioni e transiti di materiali di armamento e sulle esportazioni di servizi oggetto dei controlli e delle autorizzazioni previste dalla legge”.
L’intento del disegno di legge governativo è, in sintesi, quello di introdurre “semplificazioni normative e procedurali” per rendere le norme “più consone alle mutate esigenze del comparto per la difesa e la sicurezza, sia istituzionale che industriale”. Soprattutto industriale.
Sono necessarie, invece, regole più precise. Per questo la Rete disarmo e la Tavola della pace hanno presentato “dieci proposte per migliorare la legge 185/90” (vedi riquadro). Se davvero si vuol riformare della legge, è l’occasione per migliorarla.