AMBIENTE

In nome della scienza

Varata una direttiva dell’Unione Europea che, alla fine di un complicato iter legislativo, consente margini più ampi alla sperimentazione su animali. In rivolta animalisti e giovani rispettosi della natura.
Cristina Mattiello

“Un’altra ricerca è possibile”: era uno degli slogan della manifestazione contro la nuova direttiva dell’Unione Europea sulla vivisezione, che si è svolta a Roma lo scorso 25 settembre. Una manifestazione tutta nata dal basso – il tema è “di serie B”! – e che ha visto una partecipazione significativa ed emotivamente intensa. Già proposta dalle organizzazioni per i diritti degli animali per chiedere la chiusura di Green Hill, un allevamento italiano di cani Beegle destinati ai laboratori, è cresciuta, riconvertita poi sul tema più ampio della nuova legge, grazie ai collegamenti internet e soprattutto all’indignazione montata su Facebook, che ha anche osservato in forma di protesta quindici minuti di “silenzio”, ovvero di astensione dalla scrittura. Molti i giovani: un segno di speranza, in tempi così bui, in cui chiunque – esseri umani o animali – si trovi in una posizione di debolezza o esclusione rispetto alla società è un potenziale bersaglio di violenza e sopraffazione.
La nuova normativa ha avuto un iter complesso: inizialmente proposta per ottenere maggiore protezione per gli animali e incentivi ai metodi alternativi, soprattutto nei Paesi in cui la legislazione era poco chiara, in due anni di discussioni e correzioni è risultata completamente stravolta e riscritta sulla base del principio di una ricerca “libera da fardelli burocratici”. Il testo finale, approvato dal Parlamento Europeo tra le polemiche – 40 deputati hanno abbandonato l’aula per protesta –, è davvero una sequenza di orrori e si stenta a credere che proprio l’Europa dei diritti lo abbia prodotto. Eppure, addirittura vieta ai Paesi membri di mantenere, là dove fosse in vigore, una legislazione più restrittiva. È il caso dell’Italia, dove, grazie alle battaglie ecologiste di anni, erano stati fissati una serie di vincoli a protezione degli animali.
Ora, invece, anche da noi, con un voto che ha visto posizioni personali in controtendenza in entrambi gli schieramenti, sarà possibile, grazie anche alle numerose e ampie deroghe previste, sperimentare senza un preciso iter burocratico, quindi senza trasparenza, senza restrizioni né motivazioni gravi, causando dolore anche intenso (è stata alzata la soglia) e morte senza analgesici (ma con opportune mutilazioni, in modo che non ci sia il disturbo delle urla), su tutte le specie, anche sulle grandi scimmie antropomorfe catturate in libertà, su cani e gatti randagi e su specie in via d’estinzione, nonché, se il dolore è “moderato” (che cosa vuol dire?), sullo stesso animale più volte – per risparmiare, ovviamente!
È una grande vittoria per le lobby dell’industria chimica e farmaceutica – come la Bayer, la Novartis, la Big Pharma, l’Astra Zeneca, la Harlan, che ha in Italia un laboratorio vicino a Milano e uno vicino Udine – per gli allevatori di “animali da laboratorio”, fatti nascere cioè già al fine di diventare cavie, per larga parte del mondo accademico. Una legge salutata come una “amica della scienza”, per la quale, secondo la testimonianza dell’eurodeputata slovacca Monjca D. Murko, presidente poi dimissionaria della Commissione incaricata, è stato mobilitato “un apparato di pressione straordinariamente bene organizzato”: da un lato si puntava sul patetico, agitando lo spettro della morte di tanti bambini se si fossero fermati alcuni esperimenti, dall’altro si paventava un’inaccettabile limitazione della libertà della scienza.
L’oscillazione di molti deputati, a Strasburgo come in Italia, fino a casi di dissociazione successiva dal voto favorevole, dimostra l’importanza della sfera emotiva nell’analisi del problema.
Anche i difensori dei diritti degli animali, infatti, si erano mobilitati e le imponenti raccolte di firme dimostrano che il sentire comune non è dalla parte di questa legge. Gli argomenti da sempre utilizzati per giustificare la vivisezione, del resto sono stati confutati anche da voci autorevoli del mondo della scienza stesso. Non è vero che la sperimentazione su animali è l’unica via, tanto più oggi che i metodi alternativi, come il lavoro sulle cellule e le simulazioni al computer, possono raggiungere livelli tecnici altissimi, non è vero che i risultati ottenuti siano sempre utilizzabili in relazione all’uomo, anzi, spesso si è visto che la reazione è molto diversa.
È vero, invece, che molti farmaci hanno i brevetti ormai scaduti e sono diventati “generici”, acquistabili liberamente: allora riaprire la sperimentazione è un modo per incentivare la produzione di nuovi farmaci, spesso non necessari, che ripristino gli altissimi profitti per le case farmaceutiche.
I deputati che hanno lottato invano con questa vergognosa legge tendevano ad ampliare le garanzie per gli animali ed eliminare i test inutili, nella speranza di avviare un processo di graduale superamento di questa crudele pratica. Si apre, invece, uno scenario drammatico: se finora sono stati circa 12 milioni l’anno gli animali che perdono la vita solo nei laboratori europei – con un aumento del 40% dal 2000 – senza contare le cavie non censite e i non vertebrati, non considerati nelle statistiche, si calcola che almeno 4 milioni saranno immediatamente “sdoganati” grazie alle maglie larghissime della nuova normativa e si prevede una continua crescita.
Ma sono soprattutto le ricadute sul piano etico-culturale a preoccupare: l’attuale legislazione sulla vivisezione, fondata sulla convinzione che siamo i padroni del mondo e possiamo a nostro piacimento torturare le altre specie, alimenta la sottocultura della violenza e accelera la preoccupante deriva sul piano dei diritti cui stiamo assistendo.

 

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