Gesù, la guerra e la difesa
Quando si analizzano i brani biblici della “caduta” di Adamo ed Eva e si arriva a parlare del peccato originale, ci può essere un’incomprensione che può diventare rifiuto di quella dottrina.
La dottrina del peccato originale ci dice che “tutta la storia umana è segnata dalla colpa originale liberamente commessa dai nostri progenitori” (Catechismo, 390)
Sorge spontanea la domanda di sempre: “Ma noi, oggi, che c’entriamo col peccato di Adamo ed Eva? Possibile che Dio abbia condannato l’intera umanità a causa del peccato dei nostri due fantomatici progenitori? Che senso ha che, per quella storia del frutto mangiato disobbedendo a Dio, dobbiamo ritenerci tutti peccatori, coinvolti nel peccato originale?”.
I teologi aggiungono che, quello delle origini, è solo l’inizio della storia del peccato, nel mondo e del mondo, ed è a questa grande storia nel suo insieme che noi dovremmo attribuire il titolo di peccato originale. Non dobbiamo insomma dare tutta la colpa ad Adamo ed Eva. Il peccato originale è all’inizio di una serie di disobbedienze che si sono succedute nella storia e hanno creato una situazione di peccato nella quale i peccati personali sono conferma ulteriore e aggravamento di quello.
Io credo che la dimostrazione concreta più evidente del nostro stato di peccato, cioè l’espressione pratica di convivere nel peccato originale, sia la guerra, le guerre con le quali, ancora oggi, devastiamo il mondo e la fraternità umana.
La guerra è il ripetersi visibile, oggi, del peccato originale di Adamo ed Eva, che si propagò come un inarrestabile incendio devastatore, e che spinse Caino (e tutti i Caino dopo di lui) a uccidere il fratello Abele.
Le volte che ci poniamo in ascolto, sia Dio che la nostra coscienza ci dicono che la guerra è un frutto che non va mangiato, eppure continuiamo ad alimentarcene, pretendendo di sapere noi ciò che è bene o ciò che è male, ciò che è giusto oppure no… Siamo arrivati a teorizzare che una guerra omicida possa essere giusta. Da secoli cerchiamo di mantenere e riproporre questa follia, sulla base di ciò che noi reputiamo giusto.
La guerra è, insieme, la causa e l’effetto del peccato originale.
La disobbedienza a Dio di Adamo ed Eva, cioè il plenum del peccato originale, non può considerarsi completo senza implicare anche l’omicidio fraterno che ne consegue. Pare assurdo, ma Caino, roso dall’invidia, compie l’omicidio del fratello per essere gradito di più a Dio, che lo preferiva a lui (Gen 4,4-5); è come dire che il fine ultimo, per Caino, di quel gesto omicida è Dio. Proprio come avviene nelle guerre sante.
Il serpente diabolico, in mille modi, continua a suggerirci e a convincerci che la violenza, le guerre, sono la “mela” che va mangiata, disobbedendo al Dio che ce la vieterebbe solo per mantenerci ignoranti e bambini. Non c’è bisogno di fare il soldato per operare la scelta di cogliere quella mela. Più o meno direttamente, nelle tante situazioni della vita, noi stiamo obbedendo a questa indicazione del serpente; il nostro pensiero arriva a ritenere quell’indicazione normale, giusta, e così poniamo noi stessi dentro quel dramma primigenio, riattualizzandolo in eterno.
La teologia dovrebbe riformulare queste idee, per spiegare che, in quelle antiche pagine, il problema di fondo è la pace: tutto ha origine da lì…
La guerra, dunque, in un certo modo, è una rivelazione: non della “buona notizia”, ma del suo rifiuto; e al posto del mondo liberato e illuminato dal sole della resurrezione, la guerra rivela il mondo decaduto nelle tenebre e nella legge della morte. Nella Genesi viene detto che è Dio a far entrare la morte nel mondo a causa del peccato di Adamo ed Eva (cf Gen 3,19). Sarebbe come dire che Dio condanna a morte i suoi primi due figli. Sappiamo però che Dio non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr. Ez 18,23); sappiamo che Dio continua ad amare infinitamente ogni suo figlio, benché peccatore (cfr. Lc 15,4-32).
Non è Dio che ci ha puniti con la morte: nell’omicidio di Caino, siamo noi uomini che, rifiutando il Dio della vita, il Dio che rispetta ogni vita, abbiamo creato la morte. E con la guerra, abbiamo elevato questa morte all’ennesima potenza.
Gesù e la guerra
Ora, se è vero che la guerra è un peccato così grave, perché nei Vangeli non troviamo, da parte di Gesù, una esplicita condanna del ricorso alla guerra?
Il fatto che Gesù non abbia condannato esplicitamente la guerra, viene utilizzato da alcuni come prova che la guerra, proprio a causa del peccato originale, debba essere considerata inevitabile, necessaria, e in certi limiti stabiliti, anche lecita, legittima.
Sappiamo bene che Gesù ha confermato il comandamento del non uccidere. E la guerra non è forse un andare a uccidere e farsi uccidere? Non rappresenta forse la migliore delle occasioni per commettere omicidi?
Tutto l’insegnamento di Gesù è una contrarietà alla violenza: potrebbe egli forse non rigettare la guerra? Pretendere di trovare, nelle parole di Gesù, la negazione esplicita della guerra significa peccare di fondamentalismo, leggere senza interpretare, collegare, comprendere.
Eppure, questo silenzio di Gesù sulla guerra è stato strumentalizzato dalla teologia per giungere, con ragionamenti prettamente umani, a definire la dottrina della guerra giusta.
Dovremmo invece chiederci: tutto ciò che Gesù non ha esplicitamente condannato, è da ritenersi lecito e legittimo? Ciò che Gesù non ha definito esplicitamente come peccato, non sarebbe dunque da considerarsi come peccaminoso?
Gesù è sempre andato alla radice del male e del peccato. Il fatto che Gesù non abbia condannato, come grave peccato contro Dio e contro l’uomo, ad esempio, la tortura e la crocifissione, dovrebbe essere considerato come un’implicita accettazione di queste pratiche?
Credo che il rapporto che è intercorso tra Gesù e la croce sia illuminante, per poter dar risposta, nell’ottica di Dio, a certi silenzi di Gesù.
Gesù rispetta il dono della libertà che l’umanità ha ricevuto da Dio; ma dimostra chiaramente dov’è la vera libertà. Gesù non condanna ma, ponendosi a un differente livello, supera la legge. Egli vuole che, nella sua piena libertà, l’uomo comprenda la verità. Se la tortura e la morte di croce era ‘legge’ umana, Gesù la accetta, ma nel momento in cui la assume, la trasfigura. Dio, entrando nel peccato umano, lo illumina di significato, lo fa esplodere, smascherando ogni pseudoinnocenza che lo giustifichi. La croce diventa, in questo senso, lo specchio nel quale si riflette la violenza dell’umanità, il suo peccato.
Gesù avrebbe potuto dire, nei suoi insegnamenti: “La condanna a morte che infliggete a una persona non fa parte del disegno divino, ed è un gravissimo peccato”. Ma Gesù è stato più radicale. Dire, ad esempio: “Chi è senza peccato scagli per primo la pietra” (Gv 8,7) è un modo di denunciare la gravità di un’azione, ma senza opporsi alla volontà dell’uomo. Qualcuno, infatti, avrebbe forse potuto ritenersi senza peccato, e sentirsi libero di scagliare una pietra contro l’adultera. Se anche questo fatto si fosse, per assurdo, verificato, ciò non avrebbe tolto potenza e verità alle parole di Gesù, che come dicevo, intendono tagliare la radice del male e denunciarlo, senza per questo intaccare la facoltà dell’uomo di essere libero: libero persino di uccidere. La legge della morte per croce Gesù non l’ha condannata, ma ha fatto di più: l’ha accettata, si è sottomesso alla legge umana dimostrandone così, per sempre, l’assurdità, e dimostrando, nella risurrezione, che la verità è altrove.
Dunque, c’è questa verità, nel comportamento di Gesù, che va sempre ricordata, e che ci deve servire come ermeneutica dei suoi apparenti “silenzi”: Gesù, più che giudicare le leggi umane, le accetta, ma con le sue parole, e soprattutto con le sue opere radicali, indica la strada della loro trasformazione in opere di Dio. Gesù utilizza una metodologia nonviolenta in tutti gli aspetti della sua missione.
Un discorso analogo – che qui accenno solo, senza approfondire – va fatto sulla “legittima” difesa.
L’aggettivo aggiunto alla parola pretenderebbe indicarci che questa dottrina si fonda sulla “legge” (come facesse parte della cosiddetta “legge naturale”). Sappiamo che Gesù è venuto non per abolire la legge, ma per darle compimento (Mt 5,17), cioè per farla comprendere nel suo vero senso. È sempre la croce che ci indica la direzione divina di ciò che è la “difesa” secondo Dio. La vera legge naturale, dunque, non è la legittima difesa intesa come si è sempre intesa, con l’uso della violenza; ma una difesa è “legittima” (seguendo la legge rivelata, che è quella dell’amore) quando è nonviolenta, e quando tende alla conversione del peccatore: è il messaggio divino, raccolto da San Paolo, che il male si trasforma non con una sua condanna, ma opponendo al male il bene (Rm 12,21). Questo Gesù non l’aveva detto esplicitamente, ma Paolo l’ha capito e lo ha fatto comprendere anche a noi… Come ogni buon teologo dovrebbe fare.