Una sola famiglia umana
Coniugare “conoscenza e solidarietà” per considerare, in modo corretto, il fenomeno dell’immigrazione. Tale tematica ha trovato ispirazione, in modo particolare, nella terza enciclica di Benedetto XVI: Caritas in veritate. Nell’oggi si sta sempre più affermando la convinzione che i problemi planetari – la povertà, la fame, l’ingiustizia, la guerra, la società multietnica – non richiedano impegno duro e faticoso per raggiungere soluzioni reali, ma sia preferibile rimuoverli, allontanarli da noi, seppellirli altrove.
È necessario riflettere sul significato che può avere il contatto di persone dotate di cultura, mentalità e comportamenti differenti. Sicurezza e immigrazione rimangono due problemi distinti. Oggi a ostacolare un autentico clima di pace e sicurezza sociale è l’eccessiva disuguaglianza nei diritti e doveri delle persone che vivono e lavorano insieme, piuttosto che il mancato riconoscimento delle relative identità culturali. Si tratta, pertanto, di collocare le nostre società dentro una prospettiva che garantisca a tutti, oltre sicurezza e legalità, eguale dignità.
Non si può pensare di alzare muri per impedire l’ondata migratoria, quando nel cuore dell’Africa si muore: è naturale che chi fugge non teme nessun ostacolo. L’impressione è quella di trovarci di fronte a una grande povertà culturale incapace di cogliere che gli immigrati per noi sono sì una “scomodità”. Ma una scomodità che fa crescere. Pertanto non c’è affatto bisogno di organizzare alcuni contro qualcuno, ma c’è bisogno di organizzarci in tanti a favore di tutti, a favore di una convivenza corresponsabile e partecipata.
Anche l’Agenzia europea per i diritti fondamentali ha sottolineato che la disinformazione e la scarsa consapevolezza sono fattori che fanno crescere facilmente il razzismo. Caritas e Migrantes invitano costantemente a non sottacere gli aspetti problematici che questo grande fenomeno sociale, culturale e religioso, quale è l’immigrazione, comporta, avendo però l’accortezza di non concentrarsi e chiudersi solo sugli aspetti negativi. Se ogni aspetto viene inserito in un quadro d’insieme, si può arrivare a una visione equilibrata della realtà e, pur con l’avvertenza di raddrizzare ciò che non va bene, si matura un senso di riconoscenza nei confronti di persone che hanno lasciato il loro Paese e spesso anche le loro famiglie, per cercare futuro attraverso il lavoro come collaboratrici nelle nostre famiglie o come lavoratori e lavoratrici nelle campagne, nell’edilizia, negli uffici e nelle fabbriche, dove noi italiani non bastiamo più.
Come giustamente gli italiani si attendono dagli immigrati disponibilità e riconoscenza, così gli immigrati cercano accoglienza dal volto umano, un clima relazionale costruttivo che consenta agli adulti e ai loro figli di crescere in contesti di vita armoniosa e di diventare, al più presto, i nuovi cittadini d’Italia. È doveroso e realistico affermare che una molteplicità di azioni fatte di incontro, conoscenza e relazione possono creare e promuovere maggiore solidarietà e integrazione.
Riflettere e confrontarci sui viaggi della speranza e sulle strategie dell’integrazione è uno straordinario test per capire di quale idea di società, di politica, di città, di comunità sociale e religiosa, (in una parola) di bene comune, noi siamo portatori. Tutto questo, però, impone un minimo di rigore intellettuale e la capacità di leggere complessivamente il fenomeno dell’immigrazione:
- non si può essere contemporaneamente per una società aperta, globalizzata e considerare di piena efficacia politiche di puro ordine pubblico che finiscono per avvitarsi in spirali di mera carcerizzazione;
- non si può esibire il tema dell’integrazione, non riflettendo contemporaneamente, soprattutto a partire dai territori, su cosa effettivamente comporta costruire e incrementare relazioni tra diversi, favorire fiducia tra diversi, accoglienza tra diversi nei quartieri, nei Paesi, nei servizi.
Tutti noi sappiamo che i processi sociali e culturali sono lenti e hanno bisogno di cura, di accompagnamento, di costante aggiustamento del loro percorso e del loro svilupparsi. L’occasionalità non serve a nessuno.
I nodi problematici
Il come gestire la complessità delle società multiculturali è ormai un interrogativo al quale nessuno può sottrarsi. A oltre tre decenni dall’inizio dei primi flussi migratori verso il nostro Paese, appare legittimo e urgente domandarsi quale sia la strada intrapresa verso l’integrazione e se, alla luce di quanto sta accadendo nei Paesi europei di più lunga e massiccia immigrazione, stiamo percorrendo la strada giusta. Un modello nazionale di integrazione, se di modello si può parlare, è ancora lungi dall’essere individuato. Il percorso è denso di incognite, prima fra tutte la capacità da parte del sistema economico e sociale di mobilitare e coinvolgere, in un processo di inclusione e partecipazione, gli stessi cittadini italiani.
Elenco alcuni elementi di complessità dei viaggi della speranza.
Per comprendere le difficoltà connesse all’integrazione, soprattutto se riferita ad alcune particolari categorie come i rifugiati e i richiedenti asilo, è comunque opportuno non trascurare alcuni elementi di complessità, che caratterizzano il quadro migratorio nazionale:
- La provenienza dei cittadini immigrati, rappresentanti, in Italia, i cinque continenti con circa 200 nazionalità. Ne consegue un’accentuata diversificazione di culture e appartenenze.
- La presenza di rifugiati, richiedenti asilo e vittime di situazioni di guerra. con intuibili difficoltà di inserimento nei Paesi di destinazione.
- La condizione diffusa di irregolarità. L’attuale normativa non facilita l’ingresso e soprattutto la permanenza regolare di immigrati sul territorio nazionale.
- La prevalenza di immigrati di prima generazione. Si tratta di persone partite con un progetto migratorio a breve o medio termine, spesso orientato a far ritorno dopo alcuni anni nel Paese di origine.
- La compresenza in continuo aumento della seconda generazione. I figli degli immigrati, nati in Italia o arrivati in tenera età, tendono a identificarsi con i loro coetanei italiani e non immaginano il proprio futuro nel Paese di origine dei genitori.
- La trasformazione dello stile di vita di alcune etnie di nomadi e la particolare situazione di emarginazione dei nomadi provenienti dalla Romania.
Quale integrazione?
Una riflessione sulle difficoltà a delineare un modello nazionale di integrazione (accoglienza, solidarietà, legalità e sicurezza), prende inevitabilmente le mosse dall’individuazione di alcuni nodi e problematiche che hanno caratterizzato e continuano a caratterizzare il rapporto con la realtà dell’immigrazione in Italia.
I cosiddetti nodi politici rinviano a una cura e a un governo dell’immigrazione che si sono dimostrati sino a oggi poco lungimiranti.
- L’impegno dell’Unione Europea nel promuovere politiche comuni in materia di immigrazione e asilo, è ancora fortemente condizionato dalla scarsa volontà dei singoli Stati membri di attenuare la propria sovranità nazionale. Gli sforzi più significativi a livello europeo sono ancora rivolti verso un’armonizzazione delle politiche nazionali sugli ingressi e in tema di contrasto dei flussi irregolari.
- Le politiche sull’immigrazione sono, anche in Italia, ancora orientate principalmente verso l’emergenza, il contenimento e il controllo. Il fabbisogno di nuovi lavoratori immigrati e l’emergenza causata dal flusso di immigrati irregolari oscurano le situazioni di esclusione che si stanno consolidando tra le molte presenze ormai stabili e che, nelle forme più gravi, rischiano di diventare vere e proprie trappole di povertà.
- Negli ultimi anni ha continuato a pesare una condizione di precarietà esistenziale del cittadino immigrato e della sua famiglia. Nel nostro Paese si è assistito, infatti, a maggiori investimenti sul fronte dei rimpatri, piuttosto che su quello delle politiche di integrazione.
- Nel contempo si è rafforzata la strumentalizzazione politica dell’immigrazione. In molte occasioni, infatti, gli immigrati sono diventati ostaggi di una politica e di un’informazione faziosa che ha preferito accentuare e generalizzare gli aspetti critici e problematici del fenomeno piuttosto che valorizzarne i punti di forza.
- In questo quadro si innestano politiche per l’integrazione deficitarie, per nulla meditate e pianificate sul lungo periodo.
I nodi sociali
I nodi sociali sono una diretta conseguenza di una politica deficitaria sull’immigrazione e più in generale si situano in un contesto socio-economico che risulta insoddisfacente anche per buona parte della popolazione italiana.
- La percezione generalizzata nell’opinione pubblica che l’immigrazione è di per sé un problema, che dà luogo ad atteggiamenti di aperta ostilità, è talvolta alimentata da un’informazione incompleta e fuorviante da parte dei media.
- Il lavoro degli immigrati, che svolgono per lo più attività usuranti e mal retribuite e, spesso senza un regolare contratto di lavoro; la riduzione, in non pochi casi, a vere e proprie forme di schiavitù, sia tra le mura domestiche che nei cantieri, nell’agricoltura o nei laboratori artigianali.
- Gli ostacoli nell’accesso a lavori qualificati, sia per la difficoltà di far accertare il valore dei titoli e delle competenze acquisiti altrove, ma anche per mettere a frutto i diplomi ottenuti in Italia.
- La preclusione a molti figli di immigrati di carriere professionali qualificate, dovuta anche a un percorso scolastico che in alcuni casi ne penalizza le effettive capacità di sviluppo.
- Il diffuso e pesante problema abitativo. La difficoltà a reperire alloggi, motivata spesso dalla non disponibilità dei proprietari verso gli stranieri e dall’obbligo amministrativo di adeguarsi a standard abitativi non richiesti ai cittadini italiani, costituisce, insieme alla nascita di veri e propri ghetti urbani in diverse città italiane, un’emergenza non più rinviabile.
- Il fenomeno della criminalità. Il necessario superamento dell’equazione immigrato uguale criminale, non deve far dimenticare che, comunque, una significativa percentuale di cittadini immigrati ha problemi con la giustizia. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta, però, di persone in posizione irregolare e per di più condannate per reati di lieve entità. Gli immigrati regolari delinquono percentualmente meno degli italiani.
- La valorizzazione del bagaglio culturale degli immigrati che raramente viene riconosciuto e che, al contrario, nel percorso di integrazione dell’immigrato, può rivestire un ruolo fondamentale.
- La difficoltà dei servizi a occuparsi degli immigrati nel loro contesto familiare e sociale.
- I problemi di molte famiglie immigrate nell’affrontare e risolvere i conflitti tra gli stili di vita della cultura di origine a quelli della società di arrivo.
- La vulnerabilità fisica e psichica di alcuni immigrati, a causa delle difficili condizioni di vita, alla quale non corrisponde sempre un adeguato supporto sanitario.
- L’incontro tra fedeli di religioni diverse non è sempre connotato da atteggiamenti di apertura reciproca e dalla volontà di valorizzare l’importanza del dialogo interconfessionale e interreligioso.
- La presenza, tra gli immigrati, individui, famiglie e comunità, di sentimenti di frustrazione e di risentimenti per un’esistenza in molti casi precaria e lontana dalle loro aspettative. Questa situazione porta spesso a sentire in maniera ancora più penosa la nostalgia dei propri affetti e della propria terra.
Pacchetto integrazione
In questo scenario diventa estremamente necessario un pacchetto integrazione che rischia invece di passare in secondo piano rispetto alla sicurezza. È ancora poco diffusa la convinzione che l’integrazione sia una prospettiva necessaria ad assicurare lo sviluppo del Paese. Coniugare insieme accoglienza, legalità, testimonianza, dialogo sembra essere l’imperativo dei prossimi anni. La Carta dei Valori, della Cittadinanza e dell’Integrazione, diffusa nel 2007 dal ministero dell’Interno, sottolinea un preciso impegno da parte dell’Italia affinché ogni persona presente sul nostro territorio possa fruire dei diritti fondamentali, senza distinzione di sesso, etnia, religione, condizioni sociali e contemporaneamente chiede che ogni persona che vive in Italia rispetti i valori su cui poggia la società, i diritti degli altri, i doveri di solidarietà previsti dalle leggi. L’integrazione, dunque, va intesa come un processo impegnativo e di lunga durata, con molteplici componenti e fattori, che mira a stabilire tra tutti i membri di una società, migranti inclusi, relazioni su base di uguaglianza, di reciprocità e di responsabilità. Quali sono dunque i cardini capaci di favorire una graduale integrazione che promuova un futuro vivibile tra diversi?
A partire da questo quadro migratorio, che evidenzia in Italia il persistere di una integrazione subalterna di tipo funzionale-utilitarista, ovvero un processo legato a doppio filo alla dimensione economica del migrante, è opportuno approfondire il significato e le prospettive di un approccio sociale e politico all’integrazione che intenda diventare contestualmente programma di azioni. Delle molteplici interpretazioni che sono state attribuite al termine integrazione, Caritas Italiana vuole proporre quella condivisa, costruita con Caritas Europa (47 Caritas nazionali in Europa) e contenuta nel documento della stessa sull’integrazione che poggia su tre concetti chiave: il rispetto reciproco dei diritti fondamentali, l’uguaglianza tra le diverse presenze, la partecipazione e responsabilità.
I processi sociali sono lenti, refrattari a pacchetti di provvedimenti, sicuramente spendibili sul piano del marketing politico, meno efficaci a produrre risultati immediati nei territori. Concludendo, evidenzio alcuni criteri per politiche ragionevoli e verificabili che possano contribuire a contrastare degrado e insicurezza.
a) Leggere i fenomeni. A Firenze, a Roma, a Milano… quanti sono i lavavetri? Quanti sono stati i casi di aggressione ai semafori e quindi i lavavetri coinvolti? Se non si lavora a partire dai fenomeni effettivi, correttamente letti, non si trovano soluzioni durature, ma si enfatizza, si fa crescere il senso di insicurezza.
b) Sviluppare forme di concertazione tra istituzioni, servizi, soggetti sociali e reti territoriali. Pensare di affidare al solo intervento repressivo la lotta ai fenomeni di degrado è una semplificazione assolutamente irrealistica. Identificate le questioni da contrastare, solo un rapporto virtuoso con le realtà territoriali, in termini di confronto, verifica, sollecitazione, potenziamento di quanto è già presente, rende duraturo ed efficace un intervento.
c) Educare e promuovere responsabilità diffusa. Le politiche che hanno la pretesa di incidere sulla qualità della vita a livello locale o passano anche come contenuti dentro la quotidianità delle agenzie educative del territorio o rimangono inefficaci. Scuola, associazionismo, comunità cristiane, famiglie debbono essere sollecitati e coinvolti nelle forme e nei modi dovuti e sviluppando tutte le sinergie possibili.
d) Rafforzare la credibilità e l’efficacia delle istituzioni. Chi in questi giorni ha sostenuto la necessità di tenere presenti anche altre priorità non ha torto. Se lo Stato in un quartiere periferico di una grande città è una scuola semidiroccata, servizi introvabili, inaccessibili e inesistenti o una rara e fugace pattuglia di polizia, quale credibilità hanno eventuali pacchetti sicurezza?
Se non si lavora per la costruzione di comunità territoriali innanzitutto coese, capaci di relazioni positive, rafforzando e non dilapidando il capitale sociale e la preziosa eredità di reti di fiducia esistenti, parallelamente alla costruzione di forme di protezione sociale adeguate a questo tempo, la sindrome dell’insicurezza e del degrado sarà destinata a crescere e l’integrazione ad allontanarsi sempre più.