Politica e antipolitica
In molti discorsi politici oggi i verbi più usati sono quelli della paura e dell’esclusione: da un lato fermare, blindare, bloccare; dall’altro respingere, cacciare, allontanare, spazzare via; a volte ripulire, eliminare, colpire, distruggere, bruciare. La volgarità espressiva diffusa non è solo una forma di folklore umorale, ma una necessità di marketing politico che agita il tema dell’insicurezza permanente. La volgarità fa parte della semplificazione brutale del vocabolario politico che alcuni studiosi hanno definito “nuova lingua del potere”, espressione di una “tendenza totalitaria”. Il pensiero sbrigativo del populismo (bossiano o berlusconiano) produce effetti devastanti sulla cittadinanza, sul senso di insicurezza-solitudine dei cittadini. In ogni caso il linguaggio è cultura, crea un clima, forgia modelli di comportamento. Alcune parole si trasformano facilmente in pugni, pallottole, coltellate. Alcune ordinanze padane “irrituali” hanno trovato l’opposizione anche del ministero delle Pari Opportunità e del suo Ufficio contro le discriminazioni razziali (Unar) soprattutto quelle in materia di iscrizione anagrafica e residenza volte a marcare la divisione tra cittadini di serie A e quelli di serie B o C, cittadini veri e provvisori di passaggio tollerati se utili, nel bresciano, a Brescia, Roccafranca, Castelmella, Bassano Bresciano, Chiari, Verolanuova, Gavardo, Adro, Coccaglio, nel veronese, Oppeano, nel trevigiano, nel friulano, nel bolognese…
Moderno tribalismo
Con il leghismo trionfa una logica tribale basata sulla gestione del mercato della paura, sull’ossessione della sicurezza, sulla ricerca del “capro espiatorio” verso il quale orientare l’aggressività impaurita. Tribù è sia un termine arcaico che indica legame di sangue e suolo che una moderna categoria sociologica (per Michel Maffesoli siamo entrati nel “tempo delle tribù”). In regioni ricche di risorse democratiche ma incattivite dalla globalizzazione, la proposta populista capitalizza ogni protesta politica e antipolitica, dall’estrema destra all’estrema sinistra. La figura del “nemico” plasma l’autocelebrazione identitaria, il comunitarismo proprietario. L’enfasi sulla microcriminalità degli “sbandati” e dei “molesti”, il messaggio xenofobo verso gli stranieri, la militarizzazione della sicurezza per una comunità minacciata costituiscono tre pilastri dell’egemonia leghista. Le sue radici stanno nell’idea di popolo come comunità organica, nella costruzione del nemico come parte di una religione civile settaria, nel progetto di un’Europa dei popoli (“cristiani”) identificati nelle regioni etniche. A supporto di tale progetto, come documenta spesso “il Sole 24 Ore” e un testo di Ferruccio Pinotti, sta il cemento di una nuova rete finanziaria che vede la Lega mescolarsi all’Opus Dei e alla Compagnia delle Opere.
Populismo e cattolicesimo ateo
Come ogni populismo, anche quello leghista fonde due reazioni: quella comunitarista contro la minaccia che graverebbe sull’identità del popolo-territorio per effetto della globalizzazione (e dell’immigrazione) e quella antipolitica verso la “casta” corrotta o i “poteri forti”. La voglia di pulizia è una miscela esplosiva, la cui matrice xenofoba appare come riflesso della natura escludente dell’idea populista di popolo e dell’immaginario manicheo su cui si fonda che promette sicurezza e prestigio. Alcune coincidenze ideologiche o terminologiche. Una è quella con l’ideologia della sicurezza nazionale sperimentata in Sud America, che ha cercato di coagulare neoliberismo economico, nazionalismo politico, neofascismo sociale, tradizionalismo religioso e autoritarismo violento. Un’altra riguarda Benito Mussolini: “Noi ci permettiamo il lusso di essere aristocratici e democratici, conservatori e progressisti, reazionari e rivoluzionari, legalisti e illegalisti, a seconda delle circostanze di tempo, di luogo, di ambiente” (23 marzo 1921). Il populismo non si identifica col fascismo, ma entrambi hanno necessità di disfarsi dello stato di diritto. Ciò che qui si vuole rimarcare è la tendenza di un progetto che si pone come avanguardia della riscossa occidentale. Una terza sta nel proclamato “superamento della forma di Stato” dichiarando che “i futuri soggetti territoriali costitutivi sono le comunità di popolo”. L’espressione è tipicamente nazista, presente nel programma nazionalsocialista fin dagli anni Venti (“volksgenosse” è il vero cittadino, membro del popolo-comunità, gli altri sono ospiti provvisori o cittadini di seconda o terza serie). È dal 1997 che la Lega Nord rilancia la “rinascita identitaria” per “il superamento della forma di Stato” dichiarando che “i futuri soggetti territoriali costitutivi sono le comunità di popolo per ‘opporsi all’annientamento della società operato dalla globalizzazione” (La Padania, 19.10.1999).
Al di là delle dinamiche specifiche tedesche, osserva Bauman, il nazismo nasce come cultura diffusa di negazione del diverso trasformato in nemico. Oggi in molte località si sta consolidando una nuova xenofobia. Rinasce un “cristianesimo senza Cristo” basato sul binomio sangue-suolo. Un cattolicesimo ateo pronto a brandire la croce come simbolo identitario contro una reale integrazione perché spinge tutti a rifugiarsi in comunità parallele e separate. Lo storico Pietro Scoppola, in merito ai movimenti di estrema destra pronti ad agire per la difesa escludente dei “valori cristiani”, osservava che in Italia è in atto una mobilitazione simile a quella dell’Action Francaise, il movimento di Charles Maurras sostenitore di “un cattolicesimo ateo, anticristiano, paganeggiante, intollerante, antiliberale”. La sua condanna per opera di Pio X nel 1914 e di Pio XI nel 1926 è stata lungimirante anche verso Mussolini che amava definirsi “cattolico non cristiano”.
ideologia anticonciliare
Nel leghismo sono presenti sia un momento della più ampia rottura costituzionale in atto, sia una sorta di religione civile guerriera che si vanta di difendere i “valori cristiani”. L’europarlamentare Mario Borghezio descrive i leghisti come “guerrieri crociati” che stanno guidando “un’avanguardia metapolitica pronta a impugnare la spada”, “eroi padani” che incarnano “lo spirito di Lepanto” contro il “conformismo cattocomunista”. Il ministro Calderoli attacca il “cattocomunismo” di vescovi come il cardinal Martini (ritenuto il “maggior campione” della presunta deriva relativista della Chiesa) e il cardinal Tettamanzi.
Ciò che spinge alcuni parroci, cattolici e loro associazioni a tollerare una religione simile non sono solo interessi, pur consistenti, “di bottega” ma alcune idee sacrali forti: la difesa di un’identità cristiana già formata una volta per sempre, l’esibizione ideologica del diritto naturale, l’esaltazione della “nostra gente”, la lotta ai vizi della modernità, la funzione di coesione sociale attribuita alla Chiesa pronta a sostenere le “comunità organiche” sentite omogenee alle parrocchie. L’uso della religione, ora morbido ora incalzante, è brutale in persone come Borghezio e Gentilini, prosindaco di Treviso, che polemizza coi credenti “traditori” del cattolicesimo, attacca preti e vescovi che “si sono messi contro la volontà popolare” e dichiara che “la Chiesa rischia di essere spazzata via”.
Ossessiva è la polemica verso il Concilio Vaticano II, ritenuto origine di ogni male. Per Zizola (“Rocca” n. 9, 2010) la Lega, presentandosi come il partito dei “valori non negoziabili” e di un territorio “cattolico”, sta diventando il nuovo soggetto emergente di un rinnovato patto concordatario. Un nuovo patto concordatario-costantiniano con la realtà leghista-berlusconista sarebbe il trionfo del relativismo, il nichilismo della fede dentro la pretesa di possedere e di difendere i valori cristiani, dentro l’apparente affermazione identitaria di tipo proprietario e guerriero. Un delitto perfetto!
La guerriglia federalista contro Roma, evocata spesso da Bossi, ministro della Repubblica, fa parte del “nuovo Risorgimento” riproposto nell’agosto 2008 da Giulio Tremonti al meeting di Rimini di Comunione e Liberazione, dove ha strappato un enorme applauso proponendo le tre magiche parole: “Dio, Patria e Famiglia”. La Lega vuole costruire un popolo, infondergli un’anima, dice Bossi che esalta la “magia leghista” ormai inarrestabile perché “abbiamo conquistato l’anima della gente”.