LAVORO

I colori della crisi

Lavoro nero, morti bianche e conti in rosso: uno sguardo alla dottrina sociale della chiesa cattolica sul tema del lavoro.
Patrizia Morgante (Commissione nazionale Giustizia Pace e Creato della Famiglia Domenicana - www.giustiziaepace.it)

“Per un’economia fondata sulla vita” è il tema scelto dalla commissione domenicana per l’anno 2010, declinato, in particolare, su lavoro e occupazione. Quando questo tema è stato scelto non avevamo previsto che sarebbe stato di un’attualità sorprendente.
La crisi economico-finanziaria, esplosa alla fine del 2008 nei Paesi ad alto reddito, è ancora in pieno svolgimento, almeno sul piano degli echi sulla vita economica e sociale. A risentirne è il mondo dell’occupazione e la dignità di lavoratori e lavoratrici, in particolare nei Paesi più industrializzati. Si parla con disinvoltura di “jobless recovery”, cioè una ripresa economica dalla crisi senza occupazione.
La crisi ha fatto solo esplodere una situazione che già stava maturando da tempo: un livellamento verso il basso, quantitativo e qualitativo, del fattore umano “lavoro” nel processo di produzione industriale. Questo livellamento, tra le altre cose, si esprime con una tendenza a ridurre il peso dei costi fissi nella produzione e rendere tutti i fattori, compreso quello umano, costi “flessibili”, cioè dipendenti dall’andamento del mercato; il quale sappiamo agire e muoversi con criteri esclusivi di profitto, senza nessuna “interferenza” etica e morale. Ogni lavoratore vive con la certezza che ci sarà sempre un altro lavoratore nel mondo che sarà disposto a lavorare a un prezzo più basso del suo.
Oggi, la qualità del lavoro e i livelli di occupazione sono due temi centrali dell’attuale “questione sociale”. Alla luce di questo, ci sembra essenziale conoscere meglio la realtà dei lavoratori e della lavoratrici al fine di assumere una posizione coerente con il Vangelo. La nostra preoccupazione è la dignità e la felicità degli esseri umani; la Chiesa non ha il compito di risolvere tecnicamente i problemi del lavoro, ma di intervenire quando le politiche nazionali e internazionali mettono a rischio la giustizia e la pace. Ci preoccupa molto l’assenza di opzioni professionali per le giovani generazioni.

Il dio PIL
Viviamo una realtà globale dove, pur essendo presenti altri modelli di sviluppo, prevale quello occidentale, il cui “dio” è la “crescita economica” misurata dall’unico indicatore preso in considerazione che è il Prodotto interno lordo (PIL). In sintesi l’impianto economico (e finanziario) oggi si presenta come deregolamentato, globalizzato, interconnesso.
Rileviamo che sin dagli anni Ottanta si è assistito a una controrivoluzione, rispetto alla rivoluzione del secondo dopoguerra che aveva visto la conquista di numerosi diritti sociali ed economici in molti Paesi. Le caratteristiche della controrivoluzione sono emerse con lentezza, ma oggi la tela del quadro è definita: globalizzazione dei mercati e del processo produttivo, esternalizzazioni nelle aziende, delocalizzazione di parte o dell’intero processo produttivo, finanziarizzazione dell’economia. Di fronte a questi processi la politica si è trovata impreparata, incapace di rispondere alle nuove sfide. È mancata una governance globale per gestire, guidare la globalizzazione economica. Il perfezionamento e la velocità di sviluppo delle tecnologie informatiche hanno facilitato la mondializzazione delle operazioni economiche e finanziarie, rendendo anche più difficoltoso il loro controllo. Molte di queste operazioni sono legali, perché non infrangono nessuna legge, ma non tutte possono essere considerate legittime, sul piano etico del rispetto di tutti gli esseri umani.
Il lavoro è uno dei fattori del processo produttivo, sul quale si sta agendo già da molto tempo perché diventi sempre più flessibile, mobile, specializzato, adattabile alle esigenze del mercato, sostituibile. Dal punto di vista del lavoratore queste caratteristiche si traducono in precarietà, bassi salari, pochi ammortizzatori sociali e garanzie. Da un punto di vista esistenziale ed emotivo, significa sentirsi considerati meno della merce che si produce, sentirsi un oggetto che può essere “affittato o venduto” da un’impresa o da un’altra; sentire di non poter progettare e costruire; avvertire una minaccia continua di perdere il sostentamento.
Oggi i tratti del mondo dell’occupazione si possono sintetizzare in alta disoccupazione, soprattutto giovanile; disoccupazione di lunga durata; sottoccupazione; aumento del lavoro informale.

Cambiamenti
necessari?
Tutti i lavoratori e le lavoratrici vivono un momento di forte difficoltà: chi ha già un lavoro è costretto ad accettare i cambiamenti imposti dall’azienda se non vuole perderlo; chi lo perde dopo tanti anni di occupazione fa molta fatica a trovarne un altro, cedendo spesso alla disoccupazione cronica; chi è in cerca della prima occupazione, se vuole lavorare deve accettare ruoli che poco hanno a che fare con il proprio percorso di studi e con contratti poco dignitosi.
Le sperequazioni tra chi ha troppo e chi ha pochissimo si allargano sempre di più. I frutti del lavoro delle persone non sono suddivisi in modo equo. Gli operai spesso non possono acquistare e godere dei prodotti che loro stessi contribuiscono a produrre.
Quanto può durare un modello economico e politico fondato sulla disuguaglianza? Come può reggersi un sistema fondato sulla mancanza di occupazione per milioni di persone? Che conseguenze iniziano già a emergere sul piano umano, esistenziale, sociale, politico?
Viviamo in un contesto mondiale di alta complessità, dove le variabili da gestire allo stesso tempo sono molto numerose. Dobbiamo uscire dalla logica che il cambiamento del sistema produttivo italiano debba essere per forza a discapito della forza lavoro. Si deve pretendere un cambio che sia il frutto di un processo di dialogo e negoziazione tra i diversi interessi di tutte le parti in causa. Oggi il beneficio è totalmente sbilanciato a favore di chi detiene il capitale: i lavoratori non hanno potere di negoziazione, la relazione con le aziende è asimmetrica.
Si evidenzia una grande latitanza degli Stati e della politica a cavalcare il mondo economico: si riconosce che sono le grandi lobbies (gruppi di pressione) a dettare le agende ai governi, piuttosto che questi a dare al mercato delle regole.
Cosa chiediamo a chi governa? In primo luogo di “mantenere il più possibile le donne e gli uomini nel loro posto di lavoro” (dal Patto Globale per il Lavoro, adottato dalla Conferenza Internazionale del Lavoro, Ginevra 2009, nda); secondo di operare in modo prioritario per un lavoro decente e dignitoso per tutti; al terzo posto, ma non per importanza, in quanto questi tre punti sono interconnessi e imprescindibili, viene la promozione dell’occupazione per le giovani generazioni.

La Chiesa
L’organizzazione del lavoro che emerge dal nostro modello economico, le cui caratteristiche hanno provocato la crisi oggi in atto, ci dice che il capitale è più importante della persona umana, che il denaro è un fine e non più un mezzo che deve generare ben-essere integrale per tutti e tutte, che la ricchezza di pochi si deve fondare sulla miseria di tanti. La miriade di forme di lavoro diverse oggi esistenti rendono la relazione impiegato-datore di lavoro anonima e mediata da tanti passaggi, che spesso non si sa per chi e per cosa si sta lavorando. I cambiamenti repentini e veloci tra le multinazionali, attraverso fusioni, cessioni, ricostituzioni, avvengono tutte sulla testa dei lavoratori, che ne subiscono solo le conseguenze spesso a loro sfavore.
Come ci interpellano questi valori come cristiani?
Il lavoro è importante per la nostra Costituzione (dimensione laica) e per la Chiesa (dimensione antropologica-sociale-spirituale). Talmente importante che Giovanni Paolo II gli dedicò interamente un’enciclica, la Laborem exercens, del 1989.
Con la parola “lavoro” viene indicata ogni opera compiuta dall’uomo... ogni attività umana che si può e si deve riconoscere come lavoro in mezzo a tutta la ricchezza delle azioni delle quali l’uomo è capace. Il lavoro non è un castigo perché siamo peccatori, è uno spazio per conoscere ed esprimere le nostre potenzialità, è un veicolo per crescere in modo integrato.
La persona ha una tendenza innata alla produzione, a trasformare la materia, a darle una forma funzionale alle esigenze di vita e di sopravvivenza.
Il lavoro è un dovere umano, attraverso il quale raggiungiamo almeno tre obiettivi: procurarci i mezzi per soddisfare i nostri bisogni (talvolta anche qualche desiderio); contribuire al continuo progresso delle scienze e della tecnica, e soprattutto contribuire all’incessante elevazione culturale e morale della società. Il lavoro contribuisce all’evoluzione di una società.
Il lavoro porta su di sé un particolare segno dell’uomo e dell’umanità, il segno di una persona operante in una comunità di persone... Attraverso il lavoro la persona si esprime, evolve, si sviluppa, si conosce. Mette a frutto i talenti ricevuti.
Dio ci invita a essere fecondi e a “dominare” la natura (nel senso biblico di “proteggerla”): il lavoro è una parte della nostra risposta a questo comando. Il Creatore ci invita a continuare la creazione, a essere co-creatori con Lui: il lavoro è parte di questo.
Il lavoro non è solo attività materiale, è anche scoperta, ricerca e “produzione” di sapere e conoscenza. Ogni attività lavorativa dovrebbe bilanciare attività ripetitive e attività creative, la persona deve avere spazi dove può esprimere liberamente il suo potenziale creativo.
Il lavoratore non è un oggetto ed è superiore al valore del capitale. Il lavoratore ha diritto a una paga proporzionata ai bisogni, un salario che consenta a lui e alla sua famiglia una vita dignitosa, il soddisfacimento dei bisogni educativi, formativi e di svago.
La tecnologia è un insieme di strumenti a uso della persona umana per il suo lavoro (e quindi un “alleato” nella produzione). L’esistenza e lo sviluppo delle tecnologie mostra e conferma la nostra abilità e la nostra vocazione a “dominare” la terra. Può, però, anche essere usata per dominare gli altri; in questo caso la tecnologia è mezzo per strumentalizzare la persona, rovesciando l’ordine dei valori per fare della persona umana un servitore.
Oggi i lavoratori sono gli orfani, le vedove e gli stranieri della Bibbia, sono le vittime di un sistema che ci sta opprimendo, sono gli oppressi di una dittatura economica che invade tutto come un polipo affamato. Invade anche l’interiorità delle persone, la spiritualità e i valori che danno alimento e sostegno all’essere umano, come essere irripetibile e prezioso agli occhi di Dio.
Pane e rose, recitava uno slogan all’inizio del secolo scorso negli USA: non ci basta poter mangiare, abbiamo diritto alla felicità, al sogno, alla poesia, alla bellezza…
Chissà che un giorno nel Pil di un Paese possano entrare altri indicatori per definire il “ben-essere” di un popolo?

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