L'economia, l'Italia, il governo
La crisi economica non cessa di far sentire le pesanti conseguenze sulle fasce sociali più esposte del Paese: disoccupati e precari, pensionati e studenti, donne e immigrati. Dall’inizio della crisi più di 1 milione di persone ha perso il posto di lavoro. Povertà e diseguaglianze sono cresciute. Il potere d’acquisto dei redditi è tornato ai livelli del 2000. Alle previsioni attuali – concedendo una ottimistica, e per nulla scontata, ripresa economica – ci vorranno 7 anni affinché il Paese torni ai livello del Prodotto Interno Lordo di due anni fa. Molte fabbriche che hanno chiuso in questi mesi non riapriranno più. Con l’ultima manovra del governo più di 150mila lavoratori precari perderanno da qui al 2011 il loro lavoro nella pubblica amministrazione e nella scuola. In questi mesi il governo italiano ha sottovalutato la crisi, ha declamato facili ricette e ha sparso inutile ottimismo, si è reso colpevole di un ingiustificato ritardo e di un assurdo immobilismo. In due anni di governo sono stati emanati 12 provvedimenti “anti-crisi”, con l’abuso della decretazione d’urgenza e del ricorso alla fiducia (esautorando così il Parlamento) che non hanno affatto fronteggiato le conseguenze produttive e sociali di un declino economico sempre più grave: la situazione del Paese è, invece, progressivamente peggiorata.
Con i tagli all’ambiente, al welfare, alla scuola e all’università, al servizio civile e agli enti locali è stato indebolito il Paese, il suo capitale sociale e umano, la sua capacità di risposta alla crisi e nello stesso tempo tutto questo ha reso più grave la situazione economica e sociale di milioni di italiani.
Occasioni perse
Il “federalismo reale”, ben diverso da quello formale che si legge nei provvedimenti governativi, ha colpito in particolare le Regioni e i servizi e gli interventi essenziali da queste garantiti. Prescindendo dalla spesa sanitaria, le Regioni all’inizio di giugno calcolavano che gli effetti della manovra correttiva del luglio scorso avrebbero comportato nel biennio 2011-2012 tagli per 3,5 miliardi di euro al trasporto pubblico locale (in minima parte recuperati dal maxi emendamento n. 1500), di oltre 1,2 miliardi di euro agli incentivi alle imprese, di più di 1 miliardo di euro all’edilizia residenziale pubblica, di 461 milioni di euro all’ambiente. Parimenti, il governo italiano sta perdendo l’occasione di utilizzare la crisi come leva per una riconversione ecologica e sociale dell’economia, sempre più indispensabile di fronte alla necessità di una massiccia innovazione tecnologica e di un cambiamento dei modelli produttivi, dei consumi sociali e individuali, di un uso equilibrato e sostenibile delle risorse ambientali. Investire in produzioni e consumi nuovi – ecologicamente sostenibili e socialmente equi – è sempre più indispensabile. Ed è ugualmente indispensabile una profonda redistribuzione della ricchezza: necessaria condizione per crearne della nuova. Ma il governo sta procedendo in direzione opposta. Invece di investire nelle energie pulite, investe nel nucleare, invece di investire nella infrastrutturazione sociale e diffusa del Paese spreca i soldi nelle grandi opere, invece di investire nella ricerca, nell’innovazione e nella scuola/università getta soldi nelle spese militari, invece di redistribuire redditi e ricchezze premia gli evasori fiscali. I dati macroeconomici sono eloquenti. La ripresa italiana è, per usare le parole del governatore della Banca d’Italia, “fragile e lenta”. Nel terzo trimestre del 2010, il Pil è cresciuto dello 0,2% rispetto allo 0,5% dei trimestri precedenti e questo indica una brusca frenata. Se tutto andrà bene, la previsione di crescita del Pil nel 2010 potrebbe essere dell’1%, (a confronto del 3,9% della Germania, del 2,8 della Gran Bretagna o del 3,1% degli Stati Uniti) e soprattutto a questa crescita minima del Pil non corrisponde una crescita dell’economia reale: diminuiscono i posti di lavoro, chiudono le imprese e calano i consumi interni. Il rapporto deficit/Pil è al 5,1% mentre il debito pubblico ha superato il 120%.
Il Rapporto 2011
Il Rapporto di Sbilanciamoci prende le mosse dalla grave crisi economia e finanziaria che stiamo attraversando e che produce drammatiche conseguenze sociali sui cittadini e in particolare sulle categorie sociali più esposte: precari, donne, immigrati, operai delle fabbriche, pensionati, disoccupati e studenti, dipendenti a basso reddito. In pratica, la maggioranza della popolazione. Come ogni anno il rapporto analizza criticamente – a partire dalla Legge di Stabilità (nuovo nome della legge finanziaria) e dalla Decisione di Finanza Pubblica (così ora si chiama il vecchio DPEF) – i provvedimenti economici e finanziari del governo e/o approvati in parlamento degli ultimi mesi. Dall’altra parte viene avanzato il punto di vista delle organizzazioni della società civile e in particolare le proposte alternative in materia di spesa pubblica: proposte concrete e dettagliate, realizzabili. In questo modo prospettiamo una vera e propria “manovra finanziaria” alternativa non solo per le misure specifiche, ma anche per il modello di sviluppo che vorremmo: sostenibile, equo, di qualità. Negli ultimi anni la legge finanziaria si è progressivamente svuotata (e lo sarà ancora di più nei prossimi mesi con l’introduzione del nuovo Patto di Stabilità europeo); la trasparenza della sessione di bilancio (e la possibilità di far sentire la voce della società civile) è sempre più ridotta e i provvedimenti di spesa pubblica si sono moltiplicati durante tutto il periodo dell’anno. È diventato praticamente impossibile quantificare l’entità della manovra.
La legge
di stabilità
La legge di stabilità del 2011 fotografa i cambiamenti già introdotti dalla manovra di luglio (legge 122/2010) che di fatto ha anticipato la finanziaria (o legge di stabilità) del 2011 (per la analisi della 122/2010 si veda il documento preparatorio della Controcernobbio del 2010 su www.sbilanciamoci.org). Le novità introdotte con il testo della finanziaria sono relativamente modeste rispetto alla manovra triennale di luglio. Cambiamenti più sostanziali sono introdotti dal maxi emendamento presentato l’11 novembre 2010 per venire incontro alle esigenze di rifinanziamento di alcuni capitoli di spesa del bilancio di vari dicasteri e per “ammorbidire” gli effetti della legge 122/2010. In effetti il maxi emendamento (che vale 5,7 miliardi) sembra essere la “vera finanziaria”, dove sono contenuti gli interventi più importanti. Vengono ridati un po’ di soldi alle università, alle politiche sociali e agli enti locali, ma si tratta di briciole rispetto ai tagli di luglio. Inoltre vengono stanziati i soldi per le missioni militari (750 milioni) e qualche spicciolo per il 5 per mille per il volontariato e l’associazionismo: con i soldi a disposizione è diventato l’1,25 per mille... Come ha ricordato il presidente Giorgio Napolitano a proposito della finanziaria: “C’è una grande confusione, un grande buio, il vuoto sulle scelte e sulle priorità di destinazione delle risorse pubbliche”: parole condivisibili. Quello che emerge, oltre a ciò, sono sostanzialmente i tagli all’ambiente (-20%), alle politiche sociali (i fondi sociali diminuiscono di oltre il 70% dal 2008), della cooperazione allo sviluppo (-56%), del servizio civile (-60%). A tutto questo va aggiunto il massiccio taglio – come si è detto – al Fondo di Funzionamento dell’università, alle borse di studio per gli studenti, mentre mancano all’appello oltre 8miliardi di trasferimenti agli enti locali: tutto questo vorrà dire nei prossimi mesi meno servizi per i cittadini o tariffe più care. Nel frattempo aumentano le spese militari, si stanzia un miliardo e mezzo per il ponte sullo stretto e le grandi opere, si regalano 700 milioni alle scuole private e – mentre si tagliano soldi a parchi, ferrovie per i pendolari e la mobilità sostenibile – si danno oltre 150 milioni, non si sa bene a che titolo, ai padroncini dell’autotrasporto.
Le proposte
di Sbilanciamoci
Anche Sbilanciamoci propone di tagliare la spesa pubblica, ma non quella sociale, bensì quella militare (-4 miliardi), quella della missione di guerra in Afghanistan (-750 milioni), quella del ponte sullo stretto e delle grandi opere (-1 miliardo e 500 milioni), quella dei finanziamenti alle scuole private (-700 milioni). E con una politica di giustizia fiscale potremmo avere molte altre risorse: oltre 10 miliardi con una tassa patrimoniale sopra i cinque milioni di euro di patrimoni e 2 miliardi dall’innalzamento dell’imposizione fiscale sulle rendite finanziarie al 23%. Risorse fondamentali per far fronte alla crisi, sostenendo in quesrto modo i redditi e le pensioni, ampliando gli ammortizzatori sociali a tutti i precari e rilanciando un’economia diversa da quella che abbiamo conosciuto: sostenendo in questo modo l’“economia verde” e l’economia sociale, dando incentivi alle energie rinnovabili e non all’industria dell’auto, promuovendo un piano di “piccole opere” (riassetto idrogeologico, messa in sicurezza delle scuole) alternativo alle grandi opere, mettendo in campo una politica di pace (cooperazione allo sviluppo, servizio civile, corpi di pace) opposta a quella di guerra che abbiamo seguito sino a oggi, sostenendo il welfare dei diritti contro quello compassionevole di Tremonti. Non abbiamo bisogno di bonus bebè e bonus famiglia ma di asili nido (siamo tra gli ultimi in Europa) e di ripristinare il fondo per la non autosufficienza che la finanziaria del 2011 ha portato da 400 milioni a zero euro, lasciando da sole le famiglie ad assistere anziani infermi e disabili. Come abbiamo dimostrato con la controfinanziaria del 2011 (si vedano tutte le proposte e le tabelle su www.sbilanciamoci.org) si può mettere in campo una proposta diversa: noi abbiamo messo in fila interventi per 25 miliardi e 596 milioni, tutti coperti da maggiori entrate e minori spese. La nostra finanziaria è alternativa a quella di un governo che aggrava le diseguaglianze e favorisce i privilegiati. Di fronte a una politica regressiva e antisociale è ora di cambiare rotta e di rimettere al centro delle politiche economiche i diritti, la pace e l’ambiente.