Micro comunità

Qualità dei percorsi formativi, didattica ed edilizia scolastica. La riforma Gelmini e la scuola italiana. Tra realtà e progetto.

Gli ultimi provvedimenti del ministro Gelmini in termini di riordino dei cicli scolastici hanno presentato il lavoro del ministro come la riforma della scuola pubblica, quando in realtà sono andati a toccare solo parzialmente l’impianto dell’istruzione pubblica di questo Paese.
Il quadro in cui ci muoviamo e ci si sta muovendo negli ultimi 15 anni è stato di tentativi di riforma della scuola, che non hanno mai reso innovativa la scuola italiana, anziché provare a cambiare l’impianto ormai quasi secolare. È fondamentale che la persona venga messa al centro dei processi di apprendimento, con le proprie attitudini e sensibilità.

Una scuola per tutti
Ripensare, quindi, il sistema scolastico significa rivedere complessivamente tutto l’impianto del sistema partendo dalla scuola primaria. L’abolizione della legge 169/08 diviene un passaggio necessario in questo quadro. Il passaggio nodale della ragione per cui oggi gli studenti italiani quando escono dalle scuole elementari hanno un’alta formazione in campo europeo e quando finiscono le scuole medie balzano direttamente in fondo alla classifica, per ritrovarsi ultimi alla fine del percorso d’istruzione secondaria, davanti solo a Portogallo e Grecia, sta proprio nella scuola media.
A partire da ciò devono essere centrali: le competenze, ovvero insegnare un metodo in grado di interpretare e rielaborare saperi; le conoscenze, tramite tutta la gamma di nozioni, sapere e saper fare, che uno studente deve acquisire e, infine, apprendimento, stimolare e valorizzare le attitudini di apprendimento, attraverso un ripensamento dell’insegnamento volto alla cura del gruppo classe e delle individualità.
Tuttavia, quando vengono razionalizzati i percorsi liceali creatisi durante questi ultimi dieci anni e, per quanto riguarda gli istituti tecnici e professionali, soprattutto le ore laboratoriali. A questo tipo di disegno del ministro Gelmini, è necessario opporre un’idea diversa di ripensamento dei cicli scolastici creando un biennio unitario e un triennio specializzante.
Di fronte a noi abbiamo una scuola secondaria fortemente selettiva al suo ingresso, che seleziona gli studenti in tre percorsi formativi ben definiti: percorsi di serie A, i licei, percorsi di serie B, gli istituti tecnici e professionali, percorsi fuori serie ovvero la formazione professionale.
Il biennio deve essere l’opportunità per valorizzare le attitudini degli studenti, per questo deve essere un percorso unitario per tutti, che si pone l’obiettivo di elevare il livello culturale e, allo stesso tempo, rendere consapevole lo studente del ruolo delle conoscenze rispetto alla sua futura funzione produttiva. Il triennio oltre a fornire nozioni teoriche deve sviluppare una forte connessione di legame con il mondo del lavoro e con l’università. Bisogna costruire un graduale avvicinamento al metodo didattico e di valutazione universitaria, basata su una valutazione cadenzata nel tempo. Bisogna costruire un altro sistema di valutazione che rompe con l’idea della valutazione giornaliera negli ultimi due anni e prova, invece, a educare all’autonomia dello studio, difficoltà che soprattutto gli studenti più bravi hanno nell’intraprendere il percorso di studi universitari. Valorizzare gli stages formativi in ottica professionalizzante è certamente un altro obiettivo fondamentale.
La scuola non può più essere il luogo semplice di trasmissione della nozione, bisogna andare oltre. La necessità di rendere le scuole spazi aperti, dove poter studiare, dove poter socializzare e progettare. A questo riguardo, la didattica è una questione che spesso ha avuto un ruolo marginale nei numerosi processi di riforma che si sono succeduti negli ultimi 15 anni. La lezione frontale rappresenta solo uno dei grandi limiti della pratica educativa italiana. L’unilateralità del messaggio che passa attraverso lo svolgimento della lezione frontale è un atteggiamento diffuso nella scuola e questo rende, in modo implicito, ancora più rigida la gerarchia che esiste tra docenti e studenti. Inoltre, proprio perché la lezione cattedratica è caratterizzata da un linguaggio unilaterale non lascia lo spazio al confronto, al commento, alla critica, all’approfondimento dei temi trattati. A questo punto diventa importante creare o ricercare un nuovo linguaggio da utilizzare durante la lezione.
è fondamentale mettere al centro dei processi formativi lo studente rendendolo partecipe, attivo e protagonista della propria formazione.

Gli edifici
Non ci potremo mai considerare in un Paese innovativo finché non si investirà con serietà nella formazione e nella tutela degli studenti negli ambienti della formazione. In ambito di edilizia scolastica, le scuole italiane, intanto, registrano dati allarmanti: il 50% degli edifici sono stati costruiti prima del 1965, uno su cinque è ubicato in zone a rischio sismico, in circa la metà di essi sono presenti crepe nei muri e si verificano con frequenza crolli di intonaco, nel 39% dei casi gli studenti siedono su sedie in parte rotte, in una scuola su quattro sono presenti barriere architettoniche all’ingresso, il 90% delle palestre non possiede attrezzature per gli studenti diversamente abili, in un edificio su tre non esistono le scale di sicurezza.
La situazione di precarietà statica degli edifici, sommata alla scarsa considerazione delle norme di sicurezza e alla mancanza fisica di spazi, strutture, attrezzature, suppellettili e materiale didattico, ci dipingono un quadro nazionale, certamente variegato ma altrettanto sconcertante dal nord al sud del Paese. Situazioni a rischio fisico e morale che coinvolgono la maggior parte di quei 10 milioni di persone che ogni giorno si recano a scuola.
La mancanza di piani di investimento programmatici e straordinari sul tema dell’edilizia scolastica, la continua proroga all’adeguamento, stabilito per legge, delle scuole al decreto legislativo sulla sicurezza dei luoghi di lavoro n. 626/94; il mancato finanziamento della legge n.23/96 sulle competenze di comuni e province per la disponibilità e la riqualificazione delle strutture e il soddisfacimento del fabbisogno immediato di aule.
D’altra parte, la continua proroga decretata per l’adeguamento delle strutture scolastiche alla 626, che avrebbe comportato la chiusura degli edifici non a norma, indica una mancata volontà dello scorso governo di riparare quantomeno i danni.
In seguito a diverse inchieste e rivendicazioni, possiamo affermare, oggi, che i problemi legati alla sicurezza e allo stato degli spazi incidono notevolmente sulla qualità della vita dello studente, fino a condizionarne il rendimento scolastico o l’affiatamento reciproco con compagni e docenti.
In virtù di questo, riteniamo che non possa bastare una rivendicazione legata a scuole più sicure: gli studenti necessitano di ambienti nuovi e soprattutto di aree destinate all’aggregazione, alla realizzazione delle attività extrascolastiche.
Attualmente le condizioni in cui versa la scuola sono estremamente diverse e parlare di innovazione del sistema di istruzione nazionale ha un senso solo se articolato da più segmenti: dai cicli scolastici, alla governance, all’amministrazione scolastica.
Dobbiamo pensare all’innovazione della scuola su due livelli di proposta: uno strutturale e uno strettamente politico.

Diritto allo studio
Se alla fine degli anni Settanta il diritto allo studio diveniva materia di competenza regionale è necessario puntualizzare quanti pochi passi in avanti siano stati fatti da quel momento in poi. Infatti, ben troppe regioni hanno una legislatura in materia vecchia di oltre vent’anni (10 leggi su 20 sono precedenti al 1990), tre leggi regionali risalgono all’inizio degli anni Novanta e solo le rimanenti sette sono relative agli anni 2000. In questo quadro di estrema eterogeneità di date, in cui evidentemente una legge del 1978 (come in Abruzzo) è estremamente lontana dalle necessità degli studenti d’oggi e al quadro della società odierna, la situazione è appesantita dal fatto che sia assente una legge quadro nazionale sul diritto allo studio in cui vengano individuate le prestazioni minime cui una legge deve rispondere per permettere agli studenti di tutto il Paese un accesso all’istruzione, seppure variegato nelle modalità, comunque condiviso nella sostanza. A causa di questo vuoto legislativo è difficile inquadrare tra l’altro tutto ciò che è recente in una cornice positiva e quello che è vecchio in una negativa: esempio ne è il fatto che molte delle legge recenti sul diritto allo studio rispondano al modello del buono scuola, in virtù del quale il diritto alle borse di studio non è regolamentato dal reddito reale di una famiglia, ma dalle spese che quella famiglia fa per la scuola, senza alcun distinguo tra sistema d’istruzione pubblico e privato. Di conseguenza lo studente iscritto in una scuola privata avrà evidentemente costi molto più alti di quello iscritto in una pubblica, in cui comunque continuano a iscriversi gli studenti con reddito familiare più basso, per questo i fondi delle borse di studio in questi casi vengono prosciugate da chi non ha realmente bisogno e così viene provocata una grave stortura dell’idea del diritto allo studio da come la prevede la Costituzione Italiana all’articolo 33 “Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione, senza oneri per lo Stato” e 34 “L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie e altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”. Modello vincente si dimostra, invece, quello per cui le agevolazioni per l’accesso materiale al sapere (agevolazioni sui trasporti, gratuità nei libri di testo, diminuzioni delle tasse di iscrizione) sono integrate con forme di welfare per i soggetti in formazione e con un diritto alla cittadinanza autentico. Un modello in cui, in altri termini, le forme di agevolazione classica sono integrate con forme di reddito indiretto (agevolazioni su consumi culturali).
Rappresentanza e partecipazione studentesca
La vita nella comunità scolastica è regolamentata in maniera dominante dal Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di istruzione. Grazie a questo esistono triplici livelli di rappresentanza per gli studenti.
In primo luogo, nei consigli di classe (formati originariamente solo dal corpo docenti e dal preside) sono presenti anche due rappresentati eletti dagli studenti e due dai genitori; parallelamente importante luogo di vita democratica degli studenti sono organi come l’assemblea di classe, in cui gli studenti hanno diritto a riunirsi mensilmente per discutere di qualsiasi tematica o problematica ritengano opportuna. Immaginare le classi come delle micro-comunità in cui sperimentare una sorta di democrazia diretta, in cui costruire una didattica realmente alternativa e partecipata, con una profonda funzione pedagogica, dovrebbe essere il naturale proseguimento di questo percorso, solo che quest’ ipotesi è stata presa in considerazione solo in rari casi da “insegnanti illuminati” .
Secondo livello di rappresentanza è quello nei consigli di istituto, all’interno dei quali studenti e genitori hanno diritto a quattro o due rappresentanti a testa a secondo del numero di studenti che lo frequentano. In queste sedi, la presenza studentesca è minoritaria, nonostante costituiscano in media oltre l’80% della comunità scolastica; la loro rappresentatività è pesantemente penalizzata. Di conseguenza sarebbe importate costituire dei consigli di istituto paritetici in cui le istanze di ogni parte nella scuola siano rappresentate con eguali possibilità.
In forma parallela esistono nelle scuole anche due organi di rappresentanza distinti per docenti e studenti: il collegio dei docenti e il comitato studentesco. Se il primo ha potere deliberante in materia di funzionamento didattico dell’istituto e, in particolare, sulla programmazione dell’azione educativa, il secondo ha solo potere consultivo, ovvero le sue scelte non sono vincolanti all’interno della scuola. L’istituzione di una commissione paritetica sarebbe in grado di riequilibrare l’impossibilità di un organo di rappresentanza democratico degli studenti, quale il comitato studentesco, di incidere all’interno della scuola.
Infine, il terzo livello di rappresentanza è quello provinciale in cui, grazie alla consulta provinciale, gli studenti possono riunire rappresentanti di tutta la provincia, eleggerne un presidente che partecipa al consiglio nazionale dei presidenti di consulta, organizzare attività e iniziativa grazie a specifici finanziamenti.

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