AMERICA LATINA

Il dopo Lula

Brasile: risolvere il debito sociale per consolidare la democrazia, tema pendente per la nuova presidente Dilma Rousseff.
Cristiano Morsolin

“Lotterò con forza per sradicare la miseria. Il superamento della povertà estrema non è un atto di volontà, ma una conseguenza naturale di una politica macro-economica capace di portare una grande crescita economica (al momento attorno al 5% annuo)”. La presidente del Brasile Dilma Rousseff ha aperto con queste parole il suo intervento di fronte al Congresso inaugurando la 54esima legislatura, lo scorso 2 febbraio. Dilma ha definito “vergognoso” che “un Paese che produce milioni di tonnellate di cereali abbia ancora persone che soffrono la fame”, aggiungendo che i poteri repubblicani “hanno l’obbligo di approfondire la democrazia cominciando dalla necessità basica”; sono almeno 25 milioni i brasiliani che vivono in condizioni di estrema povertà. Nel suo messaggio, la presidente ha sottolineato anche che il consolidamento della democrazia “ci ha aperto un orizzonte promettente di giustizia sociale, di riduzione delle disuguaglianze, in tutte le loro forme”. In parlamento, Rousseff può contare sull’appoggio, almeno sulla carta, di oltre il 75% dei 513 deputati e degli 81 senatori.
Primo capo dello Stato donna del Brasile: è un risultato storico quello raggiunto da Dilma Rousseff, la ‘candidata-erede’ di Lula, che al ballottaggio è diventata il nuovo presidente del Paese battendo l’oppositore socialdemocratico Josè Serra. I dati usciti dall’avveniristico sistema delle urne elettorali del Brasile, dicono chiaramente che il colosso dell’America Latina ha scelto la continuità della sinistra progressista rigorosa e senza scossoni incarnata da Lula.

Voci e programmi
Egidio Bisol, neo vescovo “fidei donum” del nordest-brasiliano (Afogados da Ingazaeira, Pernambuco), vicino ai movimenti sociali come la Commissione per la Pastorale della Terra CPT, poco dopo il voto, ha commentato che: “Si è concluso, domenica scorsa, il processo elettorale che, oltre alla scelta dei governatori degli stati, deputati e senatori, ha visto la vittoria di Dilma Roussef come presidente della repubblica federativa, la prima donna ad assumere tale incarico in Brasile. Ancora una volta tutto il processo ha mostrato la solidità della democrazia nel Paese, la capacità di confronto delle idee e dei progetti presentati dai vari candidati e di valutazione critica da parte della popolazione. Nella campagna per l’elezione presidenziale, si è sentita forte la presenza attiva della legge della ‘Scheda pulita’ (Ficha Limpa). Pur non essendo ancora pacifica la sua validità per queste elezioni (la decisione definitiva spetterà al Supremo Tribunale Federale e al Supremo Tribunale Elettorale), ha già mostrato di poter essere uno strumento interessante per impedire l’accesso alle cariche pubbliche di candidati con pendenze davanti alla giustizia. La Legge della ‘Scheda Pulita’ è stata presentata da un plebiscito di origine popolare, approvata dal Congresso pochi mesi fa, ed è un marco fondamentale per la democrazia e la lotta contro la corruzione e l’impunità nel Paese”, conclude il vescovo “vicentino” Bisol.
Per Gilmar Mauro, del coordinamento nazionale del Movimento dei Senza Terra MST, il risultato elettorale non rappresenta solo la sconfitta di José Serra (PSDB), ma dei grandi media nel loro insieme. Mauro sottolinea che i movimenti sociali avranno con il nuovo governo una relazione improntata sull’autonomia e presenteranno le proprie rivendicazioni. La riforma agraria, per esempio, deve tornare in agenda. “Io penso che la riforma agraria sia una delle cose più moderne del mondo, oggi. Ma essa deve modificare il modello agricolo e di produzione, il tipo di cibo, il tipo di tecnologia e su questo dobbiamo aprire un dibattito con la società. Speriamo che il governo di Dilma ci possa aiutare nel senso di favorire, di creare spazi perché questo dibattito avvenga e la società partecipi alla discussione su una vera riforma agraria che modifichi la struttura fondiaria in Brasile e il modello di produzione nel nostro Paese”.

Conflitti sociali
In Brasile, Paese da sempre attraversato da forti disuguaglianze sociali, nei primi sette mesi del 2010 sono aumentati i conflitti sociali. A divulgare dati e cifre assai preoccupanti è stata la Commissione Pastorale della Terra (Cpt) che, nella sua indagine denominata “Conflitos no Campo”, ha denunciato un aumento del numero dei conflitti per l’acqua e per la terra e un incremento costante della violenza nei confronti di indigeni, piccoli agricoltori e comunità contadine. Il motivo principale del contendere è l’acqua. La relazione della Cpt, a cui ha dato ampio risalto Adital, sostiene che dai 22 conflitti per l’oro blu nel 2009 siamo passati ai 29 dal 1 gennaio al 31 luglio 2010. Inoltre, il numero delle famiglie coinvolte nei conflitti per l’acqua è passato da poco più di ventimila a oltre venticinquemila. E ancora: la maggior parte delle guerre per l’acqua che si combattono in Brasile sono dovute soprattutto alla costruzione delle dighe, che nel 2010 stanno interessando finora ben 14 stati della federazione.
In un misto di sindacalismo operaio e cattolicesimo di sinistra, Lula predica una società egualitaria: “Nessun attore della società deve restare escluso: è questa la mia eredità”.
Dilma Rousseff è a capo della Casa Civil, il gabinetto della presidenza che si incarica del progetto Minha casa, minha vida, costruzione di case per tutti e della ristrutturazione delle villas. Il progetto si propone di rimettere a posto le favelas e di portare acqua, fognature, elettricità, di far partecipare gli abitanti alla ristrutturazione piuttosto che di deportarli in altre abitazioni. Le favelas hanno una storia antica e violenta che è legata alla storia del Brasile, all’eliminazione tardiva della schiavitù nel 1888 e alla mancanza di progetto per i milioni di schiavi neri e indios che si trovarono liberi, ma senza alcuna risorsa e ancora discriminati. Ritiratisi sulle colline attorno alle città, in ghetti di miseria e risentimento, gli abitanti delle favelas non sono solo disperati alla ricerca di fortuna nelle megalopoli brasiliane, ma gente con un sistema di vita, un orgoglio, una storia di odio e violenza che va capita, come Lula ha saputo capire, e non solo spazzata via.

Il debito
La novità della gestione di questi ultimi otto anni consiste nella decisiva scommessa di far fronte al “debito interno”, mettendo in moto una politica sociale inclusiva, che ha permesso di riscattare dalla povertà milioni di brasiliani e di consolidare la classe media, mentre sia l’industria nazionale, sia gli investimenti provenienti dall’estero trovavano nella realtà economica del Paese un contesto favorevole.
Si deve continuare il percorso intrapreso dalla Commissione parlamentare di auditing per verificare la legittimità del debito pubblico brasiliano. Le prime anticipazioni presentate nell’aprile scorso rappresentano un risultato storico per la più grande economia latinoamericana che, secondo dati della Rete Giubileo Sud, ogni anno riserva oltre il 50% del prodotto interno lordo al pagamento del debito pubblico estero e interno. Se la Commissione dovesse accertare irregolarità nell’indebitamento pubblico, il governo brasiliano potrebbe decidere di non pagare la porzione di debito illegittimo che attualmente priva il Paese di considerevoli risorse economiche da destinare alla spesa sociale e allo sviluppo. Questa inversione di rotta potrebbe favorire l’inclusione socio-educativa di milioni di bambini lavoratori, un debito sociale tuttavia pendente per la presidente Dilma Rousseff, come ho scritto in un articolo pubblicato dalla Commissione Diritti Umani del Senato Federale di Brasilia (cfr. www.direitoshumanos.etc.br).

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