InFormAzione
L’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale (OISG) ha appena pubblicato il suo quarto rapporto, dedicato questa volta a un tema solo in apparenza marginale. Cosa dice e quanto dice il giornalismo italiano sulla salute del mondo? Come ne parla, e a quali logiche risponde la narrazione all’opinione pubblica su questi temi? Inoltre, come vengono formate le nuove professioni che si muovono intorno a questo ambito di lavoro – laureati in medicina, farmacia, biologia, economia, scienze politiche, giurisprudenza – sugli scenari e i conflitti di interesse che si muovono sotto la cruciale ma anche ambigua parola “salute”? Ancora: esiste in Italia una consapevolezza sui temi della salute in grado di muovere l’azione della società verso un più attento rispetto dell’articolo 32 della nostra Costituzione, che afferisce appunto al diritto alla salute? Ci sono azioni in questa direzione, basate appunto sull’evidenza dei fatti e la loro conoscenza?
Primi fra tutti
Parafrasando Giulio Cesare, si potrebbe dire che il mondo tutto è diviso in partes tres. Nella prima parte stanno i paesi a capitalismo avanzato, anzi maturo, forse un po’ marcio, dove la finanza la fa’ da padrone, con le conseguenze che conosciamo. Gli abitanti di questi paesi vivono, in media, al di sopra delle proprie possibilità, consumando tutte le loro risorse, e anche quelle degli altri. Che l’ambiente ne soffra, e ne soffrano anche gli esseri, umani e non, che in quell’ambiente vivono, non c’importa molto, come dimostra la nostra resistenza a cambiare. Questo sovra-sfruttamento di ambiente e di esseri umani ha permesso di accumulare ricchezza e di migliorare lo standard di vita (alimentazione, casa, lavoro, istruzione, ecc.), e quindi di salute. Beh, non è stato poi così facile e diretto; ci son volute delle belle e lunghe lotte per incamminare una parte delle ricchezze accumulate da pochi verso il bene di tutti. Ma è bastato allentare la presa sui beni comuni faticosamente conquistati per vederseli scippare da maghi della finanza e cavalieri del lavoro che a una scuola e a un centro di salute preferiscono un paradiso fiscale.
Lo scippo procede in un’indifferenza quasi totale. Ogni tanto qualche governante, colpito più duramente del solito da una delle periodiche crisi, ha un sussulto e cerca di cambiare strada, senza limitarsi a coprire i buchi col sangue dei più deboli. Angela Merkel vorrebbe imporre delle regole alla finanza selvaggia. Barack Obama ha tentato di rendere un po’ più pubblica la sanità privata del suo paese. Episodi isolati che non troveranno imitatori e seguaci? O segnali di speranza per uscire dalla crisi e, forse, superare il dogma del libero mercato che ha marcato la fine del XX e l’inizio del XXI secolo?
La seconda fascia
Nel frattempo i paesi di seconda fascia, Cina, India e Brasile in testa, cercano di imitare quelli della prima e vorrebbero raggiungere gli stessi risultati. Adottando politiche protezionistiche simili a quelle usate dai paesi “primi” decenni fa e non ancora del tutto in disuso, e sfruttando allo stesso modo uomini e ambiente, hanno superato la soglia critica di povertà che li teneva ancorati al cosiddetto sottosviluppo ed esibiscono tassi di crescita economica da rivoluzione industriale. Nel giro di pochi anni o decenni raggiungeranno traguardi di salute simili a quelli della prima parte del mondo. Ma a che prezzo per l’equità e l’ambiente? E ci riusciranno tutti, o qualche paese resterà indietro per raggiunti limiti ambientali?
I disperati
E i paesi che non ce la faranno, resteranno nella seconda parte, o scivoleranno nella terza? Questa comprende i disperati, quelli che chiamiamo paesi del Terzo o anche Quarto Mondo. Ci sta quasi tutta l’Africa subsahariana, ma non mancano paesi di altri continenti, da Haiti all’Afghanistan. Ci potrebbero precipitare anche paesi che si considerano “in via di sviluppo”, cioè con tassi di crescita dell’economia in aumento e relativi miglioramenti degli standard medi di vita e di salute, ma che, a causa di disastri naturali o causati dall’uomo, o per gli stessi “limiti dello sviluppo”, potrebbero non farcela a mantenersi a galla. Per la maggior parte di questi paesi il raggiungimento dei cosiddetti Obiettivi del Millennio resta un miraggio. Due recenti articoli del Lancet sembrano suggerire qualche speranza: le morti materne non supererebbero le 500.000 all’anno, come stimano le agenzie internazionali da almeno due decenni, ma si aggirano intorno alle 343.000, con riduzioni anche sostanziose in qualche paese dell’Africa subsahariana. Anche i decessi dei bambini al di sotto dei 5 anni potrebbero essere diminuiti da 11,9 milioni nel 1990 a 7,7 nel 2010, con netti miglioramenti nei paesi più impoveriti. Le cifre restano scandalosamente elevate, ma certo si tratterebbe di una tendenza nella giusta direzione. Sarà vero? Illustri ricercatori stanno discutendo sull’affidabilità di questi nuovi dati. Vale la pena notare, secondo chi scrive, che il finanziamento per la ricerca su queste nuove stime arriva dalla fondazione Bill e Melinda Gates, che ha tutto l’interesse a dimostrare che i miliardi di dollari che inietta annualmente nel cosiddetto aiuto filantropico stanno dando dei risultati.
Non solo aiuti
L’Osservatorio Italiano sulla Salute Globale (OISG) continua a volgere il proprio sguardo critico su diversi aspetti legati alla salute globale, tentando, laddove possibile, anche qualche prova di risposta. Il rapporto parla di salute e diritti umani. Di salute e crisi finanziaria. Alcuni capitoli tornano sul tema degli aiuti allo sviluppo, anche in questo quarto rapporto. Perché non siamo convinti che l’aiuto allo sviluppo, da solo e così com’è ora strutturato e realizzato, possa contribuire a ridurre lo scarto, in termini di reddito e condizioni di vita, tra Primo e Terzo Mondo. Non lo può fare né per la quantità di aiuto corrisposto, nettamente inferiore ai bisogni, né per la qualità dell’aiuto stesso, troppo spesso legata agli interessi dei paesi donatori rispetto alle priorità e alle politiche dei riceventi. Ma non lo può fare, soprattutto, perché non tocca i meccanismi di scambio ineguale che stanno alla base delle disuguaglianze di reddito nei paesi e tra paesi. E crediamo che l’aiuto allo sviluppo per la salute non costituisca un’eccezione positiva. Anche in questo campo, perché le risorse dedicate alla salute sono inadeguate rispetto ai bisogni, ma soprattutto perché solo in piccola proporzione sono dedicate alla priorità di quasi tutti i paesi a basso reddito: il rafforzamento dei sistemi sanitari. Per non parlare dell’estrema frammentazione degli aiuti e del dominio delle cosiddette alleanze tra pubblico e privato, la cui efficacia in termini di risultati è tutta da dimostrare.
Che fare, allora? Lavorare, ovviamente, facendo pressione su chi ci governa e può prendere decisioni in questo senso, ma anche dialogando con la società civile, dalla quale nascono molte iniziative grandi e piccole per la pace, la giustizia e la solidarietà. E a questo proposito, ci sembra giusto investire di più in informazione, formazione e azione per la salute globale, nella speranza di allargare la base di cittadini coscienti e informati.
Per questo, abbiamo dedicato questo quarto rapporto all’InFormAzione. Quella che fanno i media. Quella che si fa nelle scuole e nelle università, per operatori sanitari e non. Quella che si fa nella società.