GIUSTIZIA AMBIENTALE

Il perché di un sì

Si scrive acqua, ma si legge democrazia. Tutti al voto.
Claudio Giambelli

Il 2 febbraio 2011 si è svolta presso la sede della FNSI, a Roma, così come in molte altre città d’Italia, la conferenza stampa del comitato referendario 2 Sì per l’Acqua Bene Comune.
Paolo Carsetti, presidente del comitato promotore, sollecitato dai giornalisti ha detto: “Non si sognino di scipparci i referendum sull’acqua, la volontà degli elettori è quella di andare a votare per la ripubblicizzazione. Non ci dimentichiamo che i referendum sono stati sottoscritti da un milione e mezzo di cittadine e cittadini”. Margherita Ciervo, anche lei del comitato referendario, ha insistito sulla straordinaria portata politica di un referendum che “ha già stabilito due primati: da una parte è stato quello più sottoscritto nella storia della Repubblica, dall’altro è il primo non promosso dai partiti ma direttamente da realtà sociali, associative e cittadini”. Stefano Rodotà, giurista e tra gli estensori dei quesiti referendari, ha sottolineato come ci sia “necessità di riattivare un dibattito pubblico sui beni comuni, a partire dall’acqua, a cui i partiti non dovranno sottrarsi”. Padre Alex Zanotelli ha tuonato contro la Legge Ronchi, definendola “una vera e propria bestemmia”, rivendicando come il movimento dell’acqua, in Italia, abbia già ottenuto straordinari risultati e di come adesso “dobbiamo vincere i referendum”.
Facciamo un passo indietro. La Corte costituzionale nella giornata del 26 gennaio aveva depositato le sentenze con cui motivava l’ammissibilità dei due quesiti referendari. Sentenze che rendono giustizia alle ragioni dei promotori dei referendum e che smentiscono l’ex ministro Ronchi che sosteneva che il suo decreto era un atto dovuto in attuazione di obblighi comunitari.
La Corte definisce che la abrogazione di tale provvedimento avrà come diretta conseguenza l’applicabilità immediata nell’ordinamento italiano della normativa comunitaria la quale prevede la possibilità per gli Stati membri di normare il servizio idrico come servizio a interesse generale o come servizio a interesse economico generale e di applicarne, nel primo caso, la gestione pubblica e, nel secondo, tutte le possibili forme di gestione (compresa quella pubblica).
La Corte, con riferimento al secondo quesito ammesso, chiarisce una volta per tutte che, con l’eliminazione del riferimento all’“adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, si persegue la finalità di rendere estraneo alle logiche del profitto il governo e la gestione dell’acqua; ne consegue una normativa immediatamente applicabile.

La battaglia dell’acqua
La battaglia dell’acqua è un percorso che viene da lontano e che ha sedimentato, in anni di lavoro, una nuova narrazione sui beni comuni: alle lobbies dei poteri forti della privatizzazione dell’acqua, si è contrapposta una proposta di legge, con oltre 400.000 firme che giace da oltre tre anni nei cassetti delle commissioni parlamentari, senza che alcuna delle attuali forze politiche si sia posta il problema di leggerla o di discuterla.
Nella primavera del 2010 oltre 1,4 milioni di donne e uomini hanno sottoscritto i quesiti referendari, chiedendo che il popolo italiano si potesse esprimere attraverso un referendum.
La cosa veramente particolare, che ha suscitato interesse e approvazione trasversale in chi veniva a firmare ai banchetti referendari, era che il soggetto promotore dei referendum fosse una nuova realtà politica di base: una amplissima coalizione sociale dal basso, senza padrini politici, senza potentati economici e nel più totale silenzio dei grandi mass media.
Ebbene, questo nuovo soggetto è riuscito a imporre all’agenda politica un tema fondamentale come quello dell’acqua e, per farlo, non si è affidata ad alcun vecchio o nuovo populismo rappresentativo, bensì ha costruito un percorso reticolare fatto di partecipazione e mobilitazione di tante persone alla loro prima esperienza di cittadinanza attiva, di connessione tra comitati locali, reti e associazioni nazionali, di obiettivi comuni tra culture differenti.
Come ha detto Carlo Petrini in un articolo su Repubblica del 5 febbraio 2011: “La politica dei partiti non ce la fa. Non ha strumenti né energie, in questo momento, culturali o intellettuali, per una simile rivoluzione. Occorre che i cittadini si attivino. Senza bandiere, né raggruppamenti di sigle: non importa a nessuno sapere che berretto abbiamo sulla testa, importa sapere che pensieri abbiamo dentro la testa e che azioni sappiamo produrre... Ma sbrighiamoci, perché abbiamo bisogno di queste nuove strutture, leggere, puntuali, attente, legate ai municipi, alle parrocchie, alle bocciofile, non importa: basta che coagulino persone che agiscano come presidi di cervelli e cuori sui territori, nelle grandi città come nei borghi”.

In attesa del voto
E adesso proiettiamoci in avanti nel tempo. Affinché il voto sia valido, si deve raggiungere il quorum di circa 25 milioni di votanti. Grande è la responsabilità di quelli già informati: la responsabilità di far fruttificare questa informazione, perché 1.4 milioni di gocce diventino un oceano di 25 milioni di votanti.
Il superamento del quorum avrà un’importanza politica enorme. Vorrà, infatti, dire che, a partire dall’acqua bene comune, si potrà approfondire il diritto di nuovi paradigmi per gestire i beni comuni: l’aria, le sementi, la salute, la conoscenza, l’educazione, la fertilità dei suoli, ecc. che non possono essere assimilati alla categoria di merci su cui fare profitto.
L’opposizione al successo del referendum è grande, come grandi sono gli interessi economici in gioco. Ecco allora che la segreteria del comitato referendario ha messo a punto un kit formativo: un insieme di strumenti semplici e immediati (opuscoli, diapositive, brochure, video, ecc.). Questo kit serve a formare gli attivisti dell’acqua bene comune.
Il kit riporta anche le critiche più frequenti e insegna a rispondere; ad esempio, a questa tipica contestazione: “Non è vero che l’acqua verrà privatizzata, l’acqua è e rimane pubblica”.
Risposta: L’acqua rimane formalmente di proprietà pubblica, ma la gestione attraverso S.p.A. comporta una privatizzazione sostanziale. Fin dalle ricerche economiche degli anni trenta di Berle e Means, è un concetto acquisito come il reale potere risieda nelle mani di chi ha l’effettiva gestione del bene. È, infatti, chiara la disparità che si viene a creare tra il gestore che, possedendo tutte le informazioni dirette, è in grado di prendere le decisioni, e il controllore che, privo delle medesime conoscenze, non ha la possibilità di intervenire a ragion veduta, determinando uno squilibrio sostanziale che rende impossibile il controllo.
Per averne chiara dimostrazione, basti pensare al fatto che gli investimenti previsti sono stabiliti dalle Autorità di Ambito Territoriali, l’organismo pubblico che dovrebbe definire le scelte di fondo del servizio idrico, ma sono poi affidati per la realizzazione alle S.p.A. che gestiscono il servizio stesso. Il risultato è che gli investimenti realizzati, negli ultimi anni, sono il 50% di quelli previsti.
Non dimentichiamoci, infine, del contemporaneo referendum contro il ritorno al nucleare: si sono formate collaborazioni e sinergie comuni per i due sì ai referendum acqua e nucleare. Questo nella responsabilità e nell’impegno comuni di raggiungere il quorum e avere la maggioranza dei sì.

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