TESTIMONI

Obietto dunque sono

La storia e la testimonianza di Franz Josef Müller torna a risuonare in un tempo in cui la parola d’ordine pare essere solo la violenza bellica.
Francesco Comina

Franz Josef Müller è l’ultimo erede di una memorabile pagina di storia. Gli altri sono morti tutti, chi prima, chi dopo. I protagonisti principali sono stati ghigliottinati dal regime nazista nel 1943, i collaboratori sono stati arrestati e liberati soltanto dopo la fine della guerra. Franz faceva parte del movimento della Rosa Bianca-Weisse Rose, un gruppo di giovani studenti universitari di Monaco che per un anno – e attraverso sei volantini ciclostilati – ha messo in subbuglio il potere più terrificante della nostra storia moderna.
È stato arrestato nel 1943, condannato a cinque anni di prigione e poi liberato dagli alleati. Era di Ulm, la stessa città di Hans e Sophie Scholl. Loro erano protestanti, lui cattolico. Ha partecipato attivamente alla diffusione del quinto volantino. Lo hanno preso mentre tentava di entrare nella resistenza francese dopo averlo inviato al fronte come soldato: “Il ricordo più forte che mi porto dentro – ha raccontato – è il giorno in cui decisero di trasferirmi in un altro carcere, dopo avermi condannato a cinque anni di reclusione. Prima della partenza mi fecero transitare rapidamente per il cortile dove si trovavano i nostri compagni che erano stati condannati a morte. Sono stati pochi secondi ma non li dimenticherò mai: stavano aspettando, a 30 metri dalla ghigliottina che da lì a poco avrebbe tagliato loro la testa. Non sapevo cosa fare. Alla fine riuscii solo a dire poche parole: «Alles Gute!». Cosa mai si può dire in una situazione di questo genere? Non lo dimenticherò mai...”.
Oggi Franz Josef Müller ha 87 anni. Con la moglie Britta gira ancora volentieri a raccontare la sua storia. A Bolzano sabato 26 febbraio ha commosso una sala gremita all’inverosimile. Insieme ad altri protagonisti della cultura della pace, come Hildegard Goss-Mayr che, insieme al marito Jean, ha scritto una importante pagina di storia del vangelo della nonviolenza), Uschi Teissl-Mederer e Piero Stefani, ha partecipato al convegno organizzato dal Centro per la Pace del Comune di Bolzano dal titolo “Noi non taceremo. Nonviolenza e totalitarismo” in ricordo di Josef Mayr-Nusser, il presidente dei giovani dell’Azione Cattolica di Bolzano che il 24 febbraio del 1945 morì su un carro bestiame diretto a Dachau dopo aver rifiutato il giuramento a Hitler. Era il 4 ottobre del 1944. Il trentacinquenne padre di famiglia, sposato con Hildegard Straub, proruppe in un rifiuto che gelò la stanza dove le reclute erano state riunite per imparare a memoria il giuramento a Hitler: “No maresciallo maggiore, io non giuro a Hitler in nome di Dio”. Mayr-Nusser lo aveva scritto innumerevoli volte. Fin dal 1935 egli vedeva avanzare la notte dei tempi, l’ombra oscura di un tiranno a cui moltitudini di cittadini si erano genuflesse come fosse Dio in terra. Insieme ai giovani dell’Azione Cattolica e al suo assistente spirituale don Josef Ferrari, aveva letto il pensiero notturno di Hitler, lo aveva commentato e ci aveva ragionato sopra a partire dal Vangelo. E il commento era stato questo: “Intorno a noi c’è il buio, il buio della miscredenza, del disprezzo, della persecuzione. Ciononostante dobbiamo dare testimonianza e superare questo buio con la voce di Cristo, anche se non ci ascoltano, anche se ci ignorano. Dare testimonianza è la nostra unica arma efficace. Non la spada, non la forza non finanze né capacità intellettuali. Solo la testimonianza...”.
Subito dopo l’atto di ribellione Josef venne cacciato nella sua stanza in attesa di provvedimenti. I compagni lo raggiunsero pallidi, preoccupatissimi. Tentarono di convincerlo a ritrattare per il bene suo e della sua famiglia. Ma Josef rispose: “Se nessuno avrà mai il coraggio di rifiutare questo sistema, il nazionalsocialismo non finirà”. Fu arrestato, processato a Danzica, sottoposto a terribili torture e privazioni di ogni tipo, prima di essere condannato a morte e avviato al campo di concentramento di Dachau. Non arrivò mai a destinazione. Un bombardamento alleato distrusse la ferrovia e il convoglio dovette sostare a Erlangen per alcuni giorni. Josef era oramai ridotto a uno scheletro. Tentarono di farlo visitare all’ospedale della città, ma i medici fedeli al Reich lo rispedirono indietro senza nemmeno visitarlo. Il mattino del 24 febbraio lo trovarono morto. Aveva in mano un messale e il Vangelo: “Prega per me Hildegard – scrisse alla moglie in una delle ultime lettere dal carcere – affinché nell’ora della prova io possa agire secondo i dettami di Dio e della mia coscienza”.
“Noi non taceremo, noi siamo la voce della vostra cattiva coscienza, la Rosa Bianca non vi darà pace” avevano scritto Hans e Sophie Scholl al termine del quarto volantino nel 1942. Non tacere era stato il presupposto di molti altri eroi solitari che tentarono una disperata ribellione a Hitler. Non tacquero Mayr-Nusser, Dietrich Bonhoeffer, Franz Jägerstätter, Franz Thaler. Non tacquero molti tedeschi che salvarono vite di ebrei. Non tacque Otto Weidt che nella sua fabbrica di scope nel centro di Berlino assunse ebrei ciechi e sordi per difenderli dalla persecuzione.
“Noi sognavamo la libertà ed eravamo pronti a tutto per conquistarla”. ha affermato Franz Josef Müller. “Avevo diciotto anni quando venni arrestato. Oggi sarei considerato un adolescente, ma allora eravamo maturi molto presto. Dovevamo partecipare a un sistema fatto di continui divieti e di obblighi all’obbedienza. Come poteva conciliarsi la nostra ricerca di libertà con il dovere di marciare, di vestirci con quelle terribili uniformi color cacca, giurare fedeltà a un dittatore che voleva portare al macello il suo popolo e accettare la stupidità di un regime che non riusciva nemmeno a spiegare le ragioni insulse dei suoi ordinamenti razzisti e aggressivi? Quando un giorno mi arrivò il quinto volantino e mi dissero che era stato scritto da Hans Scholl, mi entusiasmai e dissi: “Sono pronto a fare la mia parte”. Josef acquistò francobolli, buste e spedì il volantino, lo portò in giro per Monaco. C’era scritta a lettere di fuoco l’immagine di una nuova Europa: “Eravamo convinti che nazionalismo e militarismo fossero le cause primarie della grande tragedia e che andassero individuate differenti soluzioni politiche. Già nel 1942 scrivevamo che solo attraverso un’ampia collaborazione fra i popoli fosse possibile una nuova costruzione europea. Pensavamo a una futura Germania federale, sognando di allargare il nostro progetto a tutta l’Europa. Per noi le basi della nuova Europa dovevano basarsi su libertà di parola, libertà di fede e difesa dei singoli cittadini dall’arbitrio degli stati criminali fondati sulla guerra e sulla violenza”.
Oggi Franz può sorridere con i suoi lunghi capelli bianchi e gli occhi vispi come quelli di un fanciullo. “Eravamo solo ventenni. Ci hanno tacciati di essere dei pazzi sovversivi idealisti. Oggi mi piace dirlo con forza: siamo stati profeti!”.
È da qui che scaturisce, ha aggiunto poi Hildegard Goss-Mayr. “la forza della nonviolenza che anche oggi da’ una prova grandiosa di sé con i portentosi avvenimenti che vediamo in tutta la fascia a sud del Mediterraneo. Non dobbiamo mai disperare, la forza nonviolenta arriva inaspettata”.
È la vita che, nonostante tutto, trionfa sulla morte: “Non solo chi salva una vita salva il mondo intero – ha commentato Piero Stefani – ma anche chi salva la propria dignità salva la dignità del mondo intero”.

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