Il ribelle dell'attesa
Capace di rispecchiare, in sé, il volto e la luce di Dio.
Capace di invocazione, di preghiera, di lode.
L’uomo non si fa da sé. Non è autonomo. Si riceve. Riceve l’essere “a immagine e somiglianza di Dio”, libero. Dio e l’uomo operano insieme. Dio dà all’uomo la sua terra, l’Eden, perchè la custodisca. E gli dona la custodia del fratello Abele, il prossimo.
La sede dell’uomo è meravigliosa: è quella di Dio. In essa c’è “l’albero della vita”.
“L’albero della vita” è di Dio, necessariamente. È lui l’invenzione della vita, il “sorgere” per essenza. Ma l’uomo “vuol essere come Dio”(Gen.3,5) e vuole perciò ”usare dell’albero”. È l’infrazione misteriosa, ma reale. L’uomo viene allontanato dal “Paradiso terrestre”, la sua vera dimora. La terra dell’Eden non è più sua. È, ormai, “la terra promessa”. E l’uomo diventa “ il ribelle dell’attesa”. Dio chiede all’uomo “di custodire il fratello Abele”, il prossimo. L’uomo è fatto dall’amore e può vivere soltanto per amore. La storia degli uomini è una sconvolgente smentita del comando di Dio: più che amarsi gli uomini si fanno la guerra.
Nella “pienezza del tempo”, Dio fa la “chiesa”, quale pienezza della speranza. La chiesa nella storia è “grazia del Signore”, è risurrezione di Cristo, è amore. Essa opera solo con le “beatitudini” del Vangelo. Valore è non possedere con brama, è capire la sofferenza, è avere compassione per il fratello. Nel campo di concentramento, Etty Hillesum ripeteva: “In questo mio inferno imparo a custodire la tua presenza, o Dio”.
La chiesa, nel concentramento brutale del mondo, esalta amorosamente la presenza del suo Cristo.
La preghiera più sincera della chiesa è “l’invocazione”. L’uomo deve uscire da un “io”, che da solo si avvilisce, e consegnare a Dio il proprio limite.
“Invocare” è sentire il Padre, è godere il Padre. Invocare è entrare nella sua intimità beata. È scoprire che “Deus interior intimo meo” : “Dio in me è più io di me stesso”.
“Invocare“, nella forma più vera, è adorare l’universalità della provvidenza di Dio, e compiacersi della sua infinita bontà. Allora risorge il sogno dell’Eden e si può rivedere ogni cosa nella sua prima innocenza.
E l’esultanza del “Cantico delle creature” raggiunge le note più felici della vita: Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le Tue creature, spetialmente messor lo frate Sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de Te, Altissimo, porta significatione. Laudato si’ mi Signore, per sora nostra Morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare. Laudate et benedicete mi Signore et rengratiate e serviateli cum grande humilitate.
Tonino Bello è certamente un personaggio nuovo. Con una vena poetica seducente e del tutto personale, sa trasfigurare le cose nella luce della loro verità originaria.
Sacerdote genuino, rifornisce di grazia la sua chiesa in una corrispondenza apostolica al Vangelo fedelissima e innovatrice. Discepolo del crocifisso, dona la vita per il bene della “sua gente”.
Tonino Bello è il nuovo Francesco della nostra chiesa. Nessun esemplare di santità oggi, benché grande testimone di Cristo, vive l’originalità, la libertà, la semplicità di fede di Francesco, come lui.
La rivelazione del Vangelo per il nostro tempo è evidente in Tonino. Con inventiva sempre nuova, vive la “forma Christi”, come Francesco, e diventa “il cantico delle creature” della chiesa e del mondo.