La liberazione è donna
Cominciamo narrando di Teresa Subieta.
Per proseguire nei prossimi mesi.
Bolivia e Palestina sono i Paesi di origine di queste voci, che condividono la loro esperienza di resistenza in forme e modalità molto diverse. Sono donne eccezionali, non perché eroine, ma perché sapienti nella loro vita quotidiana. Non è possibile riportare tutto, soprattutto le “parole” dei loro occhi. Sono storie di sofferenza e di resistenza felice in quest’anno 2011 dove gli scontri e l’uccisione di civili in Palestina e le lotte per i diritti in Bolivia non si fermano.
Teresa Subieta, Bolivia
Sono una militante dei diritti umani, principalmente nella lotta per la liberazione della donna. Sono stata invitata in Italia e in Spagna da alcune associazioni, che ci stanno aiutando a costruire una piccola infrastruttura per la formazione di bambini e donne indigene, affinché possano dare il loro apporto alla comunità in questo processo di cambiamento che in Bolivia stiamo attraversando.
Questo tipo di carisma e di servizio verso gli altri mi è stato trasmesso dalla mia famiglia. Mia madre aveva 16 anni e mio padre 40, non andavano d’accordo, così sono stata affidata ai nonni, molto, molto poveri, che mi hanno cresciuta ed educata. La povertà sin da piccola mi ha insegnato che dovevo inserirmi in questo mondo di poveri al quale appartenevo. Mio padre era avvocato, della classe meticcia, supponente, perché si credeva appartenere all’alta società. Quando lo incontrai a 6 anni, decise che doveva educarmi nel migliore dei modi, per essere una buona cittadina dell’alta società. Io, invece, ero diversa. Mi piaceva giocare con i bambini poveri, umili, li portavo a casa e lui era contrariato. Non sono mai cambiata. La famiglia di mio padre mi insultava sin da bambina, mi diceva che ero figlia di una contadina, dell’ampa (la parte peggiore della società), mi dicevano “ci vergogniamo di te, devi diventare come noi e dobbiamo educarti”.
Non sono mai cambiata. Alla fine, proprio mio padre è cambiato un poco, quando mi ha visto imprigionata durante la dittatura banzerista negli anni 1971-78; sono stata in carcere per alcuni mesi e mio padre ha fatto di tutto per salvarmi la vita, nonostante non fossi dell’alta società. Era arrivato il momento di difendere il suo Paese.
Un altro avvenimento ha cambiato definitivamente la mia vita: la morte di una bambina di 3 anni tra le mie braccia per malnutrizione. La stavamo portando in ospedale, ma era lontano e non ce l’ha fatta. Questo ha segnato la mia vita per sempre e sigillato il mio impegno in favore dei più poveri.
Anche la circostanza di essere stata imprigionata durante la dittatura e di aver subito violenze e torture (corrente elettrica in tutto il corpo e nelle parti intime) ha influenzato le mie scelte. Non sono tra i desaparecidos grazie all’intervento di alcuni minatori.
Nel 1977 un gruppo di donne minatrici diede inizio a uno sciopero della fame contro la dittatura. Anche noi abbiamo aderito, supportate da Luis Esplinal, gesuita spagnolo che dedicò la sua vita al popolo boliviano durante la dittatura, lavorando in favore dei diritti umani, della libertà, della democrazia e per il diritto al ritorno degli esiliati. Luis Espinal è stato torturato e ucciso nel 1980. Per il popolo boliviano è stato un esempio perchè ci ha insegnato molto e ha lottato per quello che oggi abbiamo.
L’esperienza del carcere e della tortura mi ha insegnato a resistere. Ho dovuto dormire in piedi in una stanza di 2 metri per 2, con una buca dalla quale entravano e uscivano topi. Io avevo talmente paura che dormivo con un solo piede a terra, e poi cambiavo per riposare. Tutto questo oggi mi permette di resistere a molte cose.
Una seconda esperienza che mi ha fortificato molto è il gioco che i militari facevano durante la nostra ora d’aria: mettevano in fila delle lattine e ci facevano camminare vicine, e iniziavano a sparare alle lattine. Tutto questo ha aumentato la mia fede in Dio. Essere prigioniera e torturata, psicologicamente e fisicamente, mi ha fatto accostare a un Dio che non voleva tutto quello né per me né per il popolo boliviano. A un Dio che voleva solo la nostra liberazione. È la storia dei tanti crocifissi, come Lui.